Silenzi di un’alba come un foglio bianco, e decidi cosa scrivere…

Più di mille sono le albe che ho guardato dalla finestra, con la tazzina di caffè in mano, da quel giorno. Mille albe splendenti nella luce che cambia con le stagioni, tutte diverse seppure nella monotonia del panorama che da troppo tempo non cambia. Mille albe e le più belle non hanno avuto bisogno di scie chimiche a rosseggiare come belletti vistosi.

Disegno, con la mano che non regge la tazzina, i contorni dei monti che ho davanti. Montagne che sono verdi ma non solo e non sempre, perchè in autunno sono dorate di sfumature calde e in inverno la neve appare anche solo per poche ore, a ricordare chi comanda. Seguo profili interrotti da rocche dove vissero maghi, alchimisti, bambine giocose ora presenze inquietanti, mariti traditi diventati assassini per vendetta. Rocche dalle quali se guardi bene vedi il mare.

Che non è il mare della mia terra, che ha il colore delle pietre preziose, zaffiri e acquemarine a seconda della riva dalla quale lo guardi.

Non è il mare dove Francesco è stato bambino felice e dove Archimede mi aspettava per chiacchierare o per ascoltarmi, o per stare seduti sulla riva e basta. Ma è sempre mare e fa compagnia lo stesso.

Anche ora che certe volte la solitudine grava, opprimente e cattiva, senza sconti o illusioni. Una solitudine anche reciproca di chi ti guarda ma non ti vede, smarrito e misterioso, tanto che non lo riconosci, a volte.

Una solitudine stanca che non si allevia con le retoriche che si leggono su certi libri o sulle veline che ricoprono cioccolatini dai nomi accattivanti, perché è una cosa più profonda, uno stato più che un malessere.

Una solitudine disillusa che si aspetta poco o niente e che non riesce a gioire neanche di quel poco, che in altri momenti avrebbe apprezzato.

E induce a bilanci che, come tutti i bilanci che si rispettano, non sono mai teneri. Per nessuno. Ciascuno a proprio modo, chi con dolore e sofferenza, chi con rabbia, chi con tristezza, chi con rassegnazione, qualcuno con allegria e ogni cosa ha dignità. Perchè la scala del dolore esiste sui libri, ma poi quando sei provato, poco conta a che livello sei arrivato.

Perchè mica la vita è un videogioco, che metti un altro gettone e riparti, così, come se nulla fosse. E “quante vite abbiamo ancora?” è una domanda che non ci possiamo fare, a meno che non siamo gatti o cantanti che giocano con le parole.

E certe albe vorresti che la vita fosse come quelle trasmissioni di Radiotre, dove una voce, ogni tanto, segnala “ecco, ora entrano i flauti” e tu ti prepari e li ascolti meglio, cogli subito la bellezza, il cambiamento, il movimento, la sfumatura, la verità. Ma non per niente, non abdichi a nulla, non rifiuti nessuna responsabilità. E’ che alle volte i ristori delle anime sono importanti, e anche che qualcuno allevii un po’ la nostra, di fatica. E poi i silenzi di certe albe.

Silenzi che fanno compagnia assecondando pensieri e sottolineando omissioni, silenzi che preludono invece ad azioni e diventano rumori di cose, silenzi come fogli bianchi e tu decidi cosa scrivere.

Silenzi che si fanno attesa e si preparano a quello che verrà, se verrà. Silenzi che poi si riempiono di presenza e ne sono ricchi, anzi.

Silenzi come quelli subìti e puoi decidere di riempirli di certa assenza, e nonostante l’assenza quel silenzio lo puoi dipingere di quel nulla che hai immaginato e desiderato e lo puoi rendere migliore. Lo faccio anche io, e lo faccio per me. Che credo nella bellezza della nuova alba che, per forza, verrà. Se non domani, prima o poi.

Simonetta Molinaro, 20 agosto 2023

 

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