“Dovete lavorare 20 ore in più”, o accettate o vi fanno fuori: se ci tenete al vostro lavoro dovete solo rassegnarvi

Giornata lavorativa, come cambia in modo critico (Canva Foto) - www.statodonna.it
Nel tempo, il concetto di lavoro ha assunto sfumature sempre nuove. Difficile definire le evoluzioni che subirà ancora in futuro.
Non è più solo una questione di presenza o assenza in ufficio, ma di equilibrio tra obiettivi, benessere personale e capacità di adattarsi ai ritmi che cambiano. In questo scenario, aziende e lavoratori continuano a cercare la formula giusta per “fare bene“, senza farsi travolgere.
L’idea che “di più è meglio” ha spesso fatto capolino nei luoghi di lavoro, ma oggi più che mai si scontra con una visione diversa, più sostenibile e mirata alla qualità. Non è raro che le strategie manageriali oscillino tra flessibilità e controllo, tra autonomia e richiesta di prestazioni elevate.
Mentre la tecnologia accelera ogni processo e aumenta la competitività, il tempo diventa una risorsa ancora più delicata da gestire. E in mezzo a questo vortice, emerge una domanda cruciale: quanto vale davvero ogni ora spesa a lavorare?
Il rischio, infatti, è quello di confondere produttività con quantità. Ma non sempre più ore equivalgono a più risultati, e la differenza tra impegno e sfruttamento può diventare sottile.
Quando lavorare tanto sembra l’unica strada
Recentemente, Sergey Brin – co-fondatore di Google – ha diffuso una nota interna destinata a far discutere: per raggiungere gli obiettivi dell’azienda, in particolare nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, sarebbe necessario lavorare almeno 60 ore settimanali, e farlo in presenza. Secondo lui, chi dedica meno tempo rischia di demoralizzare il gruppo e rallentare il progresso.
La logica è chiara: più tempo in ufficio, più dedizione, più velocità nei risultati. Brin parla esplicitamente di una “corsa finale” nel campo dell’IA, dove vincere è cruciale. Ma se da un lato la posta in gioco è alta, dall’altro gli esperti mettono in guardia: questa filosofia potrebbe rivelarsi più un freno che una spinta.

Il paradosso dell’efficienza
Diversi studi dimostrano che superare una certa soglia oraria non porta necessariamente benefici. Anzi: lavorare oltre le 50-55 ore a settimana può ridurre la lucidità, aumentare il rischio di errore e provocare un calo motivazionale. John P. Trougakos, docente di management a Toronto, afferma che più ore non significano più lavoro: spesso si impiega solo più tempo a fare le stesse cose, con meno efficacia.
Anche la CEO di Jobot, Heidi Golledge, fa un paragone calzante: “I nostri dipendenti sono come atleti professionisti”. Nessuno si aspetta da un giocatore di Serie A che scenda in campo sette giorni su sette senza riposo: perché dovrebbe essere diverso per chi lavora con la mente? In effetti, la qualità del lavoro spesso dipende da pause, recupero e concentrazione, più che dal tempo totale impiegato.