Statoquotidiano.it, 29.08.2024 – Come deve porsi il formatore in aula?Come deve gestire la comunicazione non verbale? Come deve usare il linguaggio del corpo? Non smettiamo mai di comunicare, nemmeno quando siamo in silenzio. Il nostro corpo continua infatti a parlare e a lanciare messaggi al nostro interlocutore o a chi semplicemente ci osserva. Si tratta di una comunicazione non verbale da ascoltare con gli occhi, per usare una sinestesia pertinente.
Scopriamo come il formatore deve rapportarsi alla comunicazione non verbale, in particolare nei riguardi della cinesica e della prossemica.
La cinesica è la scienza che studia il linguaggio del corpo
Oltre a quello che viene comunicato attraverso le parole, esistono una serie di altri messaggi che passano attraverso i movimenti del corpo. Si tratta di segnali prevalentemente inconsci, involontari o destinati ad accompagnare un discorso; un soggetto, osservando il suo interlocutore compiere determinati gesti, potrà raccogliere sensazioni, impressioni, informazioni sulla persona che ha di fronte.
Con le parole si può mentire, ma con la gestualità fisica no, poiché questa ha a che vedere con un mondo inconscio, difficilmente controllabile dalla volontà. Un’altra caratteristica dei movimenti cinesici è l’universalità: un determinato gesto è in genere condiviso da tutti i popoli del mondo.
Nel campo della formazione, è molto importante comunicare non solo attraverso le parole, ma anche attraverso la mimica facciale e la gestualità. Gli studenti presenti in aula saranno agevolati nella comprensione grazie al linguaggio del corpo, che permetterà di sottolineare determinati concetti importanti e attribuire una connotazione emozionale, e quindi più impressiva, agli argomenti che vengono insegnati a lezione. In questa maniera gli studenti potranno ricordare meglio le informazioni.
In particolare, il formatore deve abituarsi a marcare le informazione più importanti con gesti finalizzati a sottolinearne l’enunciazione. Per esempio muovendo le braccia verso il basso, flettendo leggermente la testa, fermandosi se sta camminando durante l’esposizione dei concetti.
Molta attenzione va fatta all’espressione del volto: chi parla mantenendo sempre la stessa espressione del viso risulta molto più noioso e pesante di chi accompagna i propri contenuti con sorrisi e cambiamenti rapidi della mimica facciale. Inoltre, i sorrisi stabiliscono facilmente una risonanza emotiva positiva con chi ascolta e in questo modo le barriere che possono essere sollevate dai discenti verso il docente si abbassano considerevolmente, rendendo più facile al formatore ottenere un solido consenso e soddisfare il suo pubblico.
La prossemica è invece il modo in cui ci si relaziona con lo spazio intorno al corpo
La prossemica, termine coniato dall’antropologo Edward Hall, si concentra sull’analisi dell’utilizzo dello spazio sociale e personale, come da lui stesso definita: “Lo studio dell’uso che gli individui fanno dello spazio sociale e personale“. In termini più semplici, possiamo descriverla come la disciplina psicologica che esplora gesti, comportamenti e, soprattutto, le dinamiche dello spazio e delle distanze nelle interazioni tra individui. In un certo senso, noi umani condividiamo con gli animali la necessità di definire un proprio territorio. Quando qualcuno invade il nostro spazio, proviamo disagio e istintivamente tendiamo a difenderci.
Spesso ci capita di fraintendere una persona solo perché la percepiamo come invadente, magari perché ha oltrepassato i limiti del nostro spazio fisico. Immaginiamo ad esempio una persona su un autobus con le gambe strette insieme: questo gesto potrebbe indicare un certo disagio e la paura di invadere lo spazio degli altri. Al contrario, chi tiene le gambe distese denota una maggiore sicurezza nel definire il proprio spazio, anche se alcuni potrebbero interpretarlo come invadenza. Comprendere la prossemica può rivelarsi estremamente utile nelle relazioni sociali, poiché influenza notevolmente il modo in cui giudichiamo gli altri.
Comprendere la prossemica è altrettanto cruciale quanto padroneggiare la parola stessa, poiché ci consente di imparare l’autodisciplina nel rispettare i confini appropriati. Mantenere la giusta distanza interpersonale non solo favorisce unacomunicazione più efficace, ma osservare anche come gli altri gestiscono lo spazio prossemico ci fornisce preziose informazioni sul tipo di interlocutore che abbiamo di fronte.
Nello spazio circostante le persone, che regola i rapporti interpersonali, ognuno possiede un’area virtuale che rappresenta inconsciamente la propria intimità. Quest’area, convenzionalmente definita come una zona di circa sessanta centimetri attorno al corpo, non è accessibile a tutti indiscriminatamente.
Anche se l’area di spazio personale esiste per ciascun individuo, la sua portata effettiva può variare da persona a persona, influenzata da fattori sociali e culturali propri della società di appartenenza. È comune che durante interazioni sociali, come un semplice scambio comunicativo, questa area venga invasa più o meno consapevolmente, senza necessariamente implicare intenzioni ostili da parte di uno dei due soggetti coinvolti. Tuttavia, tale invasione può generare nel destinatario un senso di violazione dello spazio vitale o addirittura di aggressione, anche se non è stata perpetrata con tali intenti.
Per garantire un’efficace comunicazione, è indispensabile prestare attenzione ai segnali non verbali trasmessi dall’interlocutore, compresi quelli che indicano un desiderio di allontanamento o avvicinamento, e adattarsi a una distanza relazionale che rispetti le preferenze dell’altro.
Gli studi condotti dall’antropologo Edward T. Hall sulla prossemica e sulle distanze interpersonali sono stati principalmente basati sull’osservazione dei comportamenti umani in varie culture.
Hall ha identificato quattro tipologie distinte di spazio: intimo, personale, sociale e pubblico.
Attraverso le sue indagini, Hall ha notato che le persone provenienti da culture diverse manifestano differenti livelli di comfort in relazione ai vari tipi di spazio.
Grazie alle sue ricerche, Hall ha acquisito una maggiore comprensione delle dinamiche umane nelle interazioni sociali, permettendogli di elaborare il modello delle distanze interpersonali, che include le quattro tipologie di spazio che le persone assumono nei rapporti sociali:
Le indagini di Hall hanno inoltre dimostrato che le persone adoperano quantità diverse di spazio a seconda del contesto e del grado di familiarità con l’interlocutore. Ad esempio, di solito manteniamo una distanza maggiore dagli estranei rispetto agli amici.
Hall ha inoltre individuato che individui provenienti da contesti culturali diversi tendono a utilizzare quantità variabili di spazio nelle loro interazioni sociali. Il suo lavoro ha evidenziato l’importanza della cultura nel modellare i nostri schemi comunicativi con gli altri, contribuendo così alla nascita del campo della comunicazione interculturale.
Gli studi condotti da Edward Hall sulla prossemica e sulla distanza interpersonale costituiscono una lettura imprescindibile per coloro che desiderano approfondire la comprensione della comunicazione umana.
Si tratta, come nel caso della cinesica, di una strutturazione inconscia che ha a che vedere con i cosiddetti microspazi. Il comportamento di un soggetto nello spazio fa riferimento al territorio intorno al corpo della persona che si chiama zona o area personale. La sua dimensione tende a variare a seconda della cultura di riferimento e a seconda del contesto sociale a cui ci riferiamo. Ogni contesto infatti ha le sue regole riguardo alle distanze da tenere tra le persone. Ad esempio in discoteca si tenderà a ridurle, come anche su un autobus nell’ora di punta, mentre la zona personale si espande nei luoghi meno affollati.
Nel campo della formazione, è bene che il formatore non stia in posizioni di chiusura; va mostrato un atteggiamento aperto e accogliente, e non timoroso e chiuso. Per aumentare il livello di fiducia e di coinvolgimento degli studenti, potrebbe essere utile che il formatore non rimanga trincerato dietro una cattedra, interponendo distanza tra la platea e il proprio spazio personale. Meno il pubblico dei discenti percepisce l’assenza della cosiddetta “quarta parete”, quella barriera ideale che separa chi si trova in cattedra o su un palco a parlare e chi ascolta dalla platea, maggiore è il coinvolgimento e quindi la predisposizione all’apprendimento. Per abbattere la quarta parete è utile che l’insegnante si sposti, si muova in direzione degli alunni, sia per catturare meglio la loro attenzione, evitando distrazioni, sia per comunicare apertura e un intento relazionale diretto con i suoi interlocutori.
Un altro aspetto da curare sempre allo scopo di ridurre la distanza tra formatore e allievi sono gli sguardi che il formatore stesso rivolge alla platea. Se si trova a insegnare a un numero non troppo alto di persone, durante la sua lezione il docente deve guardare continuamente negli occhi i suoi discenti, passando da una viso all’altro senza interruzione. In questo modo potrà raccogliere continuamente informazioni utili riguardanti il livello di attenzione, il consenso orientativo che riscuote man mano che esprime idee e concetti e anche la comprensione media di quello che ha spiegato. In funzione di quello che va rilevando momento per momento, il formatore abile potrà decidere come proseguire con la lezione: marcando maggiormente le parole con gesti e toni della voce per riattivare l’attenzione, ripetendo con altre parole un concetto che si è rivelato astruso, provando a fare delle domande o a indire un rapido question timeper capire meglio cosa non è chiaro o va approfondito o, in casi estremi, proporre una pausa per rinfrancare i discenti. Un altro vantaggio degli sguardi diretti è quello di stabilire una sorta di rapporto emotivo con ciascun interlocutore in classe, che si sentirà molto più coinvolto direttamente e quindi tenderà a stare più attento e a valorizzare maggiormente quello che il docente dice.
E se la classe è troppo ampia? In questo caso gli sguardi diretti non sono più possibili per via della distanza e dell’eccessivo numero delle persone. Ma anche in queste condizioni il formatore deve sempre guardare dritto verso la platea e dirigere lo sguardo e l’intero atteggiamento del corpo continuamente in più direzioni, in modo da dare la sensazione di parlare verso ogni porzione di pubblico presente.
E lo studente? Può anche questi imparare dalla prossemica a gestire i suoi comportamenti e a evitare eventuali errori?
Certo che sì.
Nell’affrontare una prova orale, è essenziale non solo prepararsi adeguatamente sul contenuto, ma anche considerare attentamente il proprio comportamento durante l’interazione con il professore.
Evitare gesti fraintendibili può contribuire significativamente a creare un’atmosfera di rispetto e professionalità, favorendo così un’esperienza di esame più positiva e efficace. Vediamo quali comportamenti evitare di fronte ad un professore.
Un errore comune durante una prova è quello di abbassare lo sguardo, cercando disperatamente suggerimenti nascosti sul pavimento. Tuttavia, è altrettanto importante evitare l’estremo opposto: fissare in modo persistente gli occhi del professore. Sebbene possa sembrare un segno di sicurezza iniziale, nel tempo potrebbe generare disagio e nervosismo, e potreste ritrovarvi ad affrontare domande insidiose come una sorta di vendetta inconscia.
Come ampiamente riconosciuto, incrociare le braccia durante un’interrogazione è comunemente interpretato come un segno di chiusura, diffidenza e rifiuto. Benché non sia necessario stringere amicizia con il professore, durante l’interrogazione è utile mostrarsi sicuri di sé, e talvolta anche un po’ audaci (senza tuttavia esagerare). Mantenete le braccia parallele al corpo o, al massimo, fate gesti prudenti e esplicativi mentre rispondete alle domande.
Gli italiani sono rinomati in tutto il mondo per il loro ricco repertorio di gesti, ma non sempre queste abilità sono ben viste. Specialmente quando siamo nervosi e ci troviamo a parlare senza riuscire a esprimerci in modo significativo, tendiamo a sfruttare al massimo le nostre mani. Tuttavia, tamburellare le dita sul tavolo o farle scrocchiare può risultare fastidioso e assolutamente da evitare. Anche nascondere le mani in tasca non è una buona soluzione, poiché può dare l’impressione di menefreghismo, oltrepassando il livello di sicurezza consigliato.
A volte, le interrogazioni avvengono mentre si è seduti al banco anziché in piedi alla cattedra. In questo caso, è importante ricordare che la postura corretta prevede la schiena diritta e lo sguardo rivolto verso l’insegnante. Appoggiarsi al tavolo con le braccia distese, nascondere il viso tra le mani, chiedere consiglio agli amici girandosi, o fissare la finestra sono tutti segnali di scarso interesse e poca preparazione. Tuttavia, è possibile alleviare lo stress mettendo le mani sotto il banco e muovendole liberamente (pur evitando gesti poco appropriati, che potrebbero essere segnalati da qualcuno).
Quando ci si trova impreparati, una delle strategie più comuni è lasciare che l’insegnante parli, cercando di anticipare le sue parole e mostrandosi d’accordo su tutto. Tuttavia, muovere continuamente la testa su e giù come un automatismo, oltre a causare fastidio al collo, può farvi sembrare simili a dei pupazzi a molla. Invece di mantenere una frequenza elevata di assensi, cercate di diminuirli e prolungare il movimento.
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