Caso Carini-Khelif insegni: no pregiudizi, no polemiche, sì a regole giuste e universali

Il caso di Imane, avversaria dell’italiana Carini nella gara di pugilato alle Olimpiadi, deve portare a delle riflessioni. Non polemiche, no. A delle riflessioni.

Prima di tutto: non era poi così diffusa la consapevolezza che esistono persone incluse dalla scienza nell’ampia categoria dell’intersessualità, o intersex.

Si tratta di persone con una serie di sindromi e condizioni genetiche, biologiche, fenotipiche diverse e che nascono con caratteri cromosomici, ormonali, sessuali ambigui.

Non lo scelgono. Ci nascono.

Si tratta di una condizione complessa per le persone che la vivono e per le loro famiglie.

Può capitare, per un intersex, e molte sono donne, che presenti importanti caratteristiche androgine, maschili, solo perché così ha voluto la natura. Come nel caso di Imane.

Una seconda riflessione, che diventa anche una domanda: è corretto che una persona che ha valori di testosterone naturalmente superiori alla media per ragioni biologiche possa competere a livello internazionale in gare femminili? …Sapendo che se una donna con valori normali assumesse ormoni per raggiungere quei livelli sarebbe squalificata per doping?

E così emerge automaticamente la terza riflessione.

Ossia: Stabilito che in casi come quelli di Imane non si tratta di doping e che il dolo non è in questione, stabilita la natura congenita dell’anomalia, senza entrare in dettagli privati, rimane il problema anch’esso delicato di regolamentare simili casi: da un lato per salvaguardare la possibilità per le altre atlete con valori nella norma per le donne di non essere tagliate fuori a priori dalla competizione, dall’altro per tutelare le persone intersex che, anche molto giovani e magari più fragili, si trovassero in condizioni simili a quelle descritte.

Una regolamentazione che garantisca le opportune tutele in termini universali non c’è ancora.

È emerso questo di fatto.

Come è emerso di fatto, che la via da seguire verso una corretta inclusione e una sana considerazione delle diversità è ancora lunga. E i pregiudizi sono ancora tanti.

La scuola cosa può fare a questo proposito, essendo centro di incontri, cultura, educazione delle menti?

Dalla ricerca nazionale sull’ambiente scolastico condotta da GLSEN (Gay, Lesbian & Straight Education Network) negli Stati Uniti e dalle ricerche svolte in Italia, anche dal Centro Risorse LGBTI, sappiamo che la maggior parte delle/ degli studenti in condizioni particolari, per così dire, LGBTQI+ non si sente sicura a scuola.

Vi è quindi una maggiore probabilità che perda giorni di lezione per evitare le offese, il bullismo e le molestie affrontate quotidianamente a causa del proprio orientamento sessuale, della propria identità o espressione di genere.

Le e i docenti, grazie al loro compito educativo e alla loro responsabilità nell’operare scelte utili a creare un contesto scolastico che supporti la popolazione studentesca LGBTQI+, possono però svolgere un ruolo prezioso nel creare un ambiente positivo di apprendimento.

Ogni docente, per esempio, è fondamentale nell’implementare la presenza di contenuti LGBTQI+ nel curricolo della classe o essere di supporto nell’organizzare assemblee, gruppi di incontro e confronto, attività extra curriculari di approfondimento, lavorando al fine di creare contesti di Classe che si potrebbero definire Arcobaleno, nell’ottica dei colori della bandiera arcobaleno della comunità LGBTQI+ raffigurati come un abbraccio che avvolge un cuore, per dare un senso di accoglienza e inclusione, e allo stesso tempo ricorda uno spazio sicuro, in cui essere se stess*.

La bandiera arcobaleno fu creata da Gilbert Baker come simbolo della comunità LGBTQI+ e apparve per la prima volta nel 1978, durante il corteo che si tenne a San Francisco in occasione del Gay and Lesbian Freedom Day.

In una società che stigmatizza coloro che non sono parte della maggioranza o del gruppo dominante, è molto importante, per chi ha il privilegio di essere nella maggioranza, agire in maniera solidale.
Questo significa che un individuo, che può appartenere alla maggioranza o al gruppo dominante, può prendere posizione ed essere solidale con una persona o con un gruppo stigmatizzato. Essere solidali significa impegnarsi per mettere fine alla tendenza ad avere pregiudizi tramite il sostegno e il supporto di coloro che sono stigmatizzat*, discriminat* o trattat* in maniera ingiusta.

Questo può avvenire in molti modi, ad esempio interrompendo chi compie azioni discriminatorie o portando avanti un’azione sistematica per eliminare le ineguaglianze e le ingiustizie.

La solidarietà può manifestarsi attraverso azioni come sensibilizzare le altre persone sul movimento per i diritti LGBTQI+, aggiornarsi sui bisogni della comunità, essere responsabili nel promuovere cambiamenti sistematici a vantaggio di coloro che vivono frequenti situazioni di disagio e sofferenza.

Dimostrare solidarietà è importante per far vedere che le persone LGBTQI+ non sono sole.

L’ambiente scolastico deve essere, dunque, reso accogliente in modo che a scuola possa essere sicuro fare coming out o essere visibili rispetto al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere.

È inoltre fondamentale ascoltare gli/le studenti LGBTQI+, per capire come immaginano una scuola accogliente e sicura, contribuendo così al loro impegno per realizzarla.

Ogni identità è un’esperienza plurale e plurali sono i bisogni, e tali dovrebbero essere le risposte alle diverse forme di pregiudizio.

Solidarietà, a tal proposito, significa mettere in discussione la molteplicità delle esperienze di oppressione, come ad esempio il razzismo, il sessismo, la discriminazione basata sulla disabilità, che ogni student* può subire.

Per chi non lo avesse già notato o riscontrato direttamente, stando ai risultati delle ricerche condotte da GLSEN e dal Centro Risorse LGBTI,  il linguaggio discriminatorio verso le persone LGBTQI+ è ancora presente in classe, nei corridoi, sugli autobus, in palestra e nelle zone ristoro della scuola. Dappertutto.

I risultati di queste ricerche mostrano inoltre che gli atteggiamenti discriminatori verso le persone LGBTQI+ influiscono negativamente sia sui loro risultati scolastici sia sulla loro salute mentale.

Tali risultati mostrano anche che, paragonati ai e alle loro pari non LGBTQI+, gli/le studenti LGBTQI+ hanno una probabilità, due volte maggiore, di perdere giorni di scuola in quanto percepiscono l’ambiente scolastico meno sicuro e non accogliente.

In questo contesto può essere importante avere insegnanti che si impegnano a favore di studenti LGBTQI+ e li/le appoggiano.

Senza dimenticare che, oltre al danno che possono provocare agli/alle studenti LGBTQI+, le discriminazioni possono avere un effetto anche sugli altri membri della comunità scolastica poiché creano un ambiente ostile e insicuro per tutt*. L’omolesbobitransfobia può essere usata per stigmatizzare, ridurre al silenzio e colpire le persone che sono percepite come LGBTQI+ anche se non lo sono. Se certe azioni o comportamenti sono stigmatizzati come “queer”, oppure considerati “da gay o da lesbiche”, alcun* studenti potrebbero evitarli per paura di essere vittime di discriminazioni.

Riguardo alla scuola, le ricerche dimostrano che avere uno staff scolastico di supporto ha un effetto positivo sull’esperienza educativa.

Ad esempio, studenti LGBTQI+ con insegnanti che li supportano hanno una minore probabilità di perdere giorni di scuola per il timore di non sentirsi al sicuro e ottengono risultati scolastici in media più alti rispetto a coloro che non hanno docenti a cui fare riferimento.

Avere docenti al proprio fianco può far sentire le/gli studenti più sicur* e maggiormente parte della comunità scolastica; in questo modo si creano le condizioni per vivere un’esperienza positiva e gratificante.

Oltre a dare fiducia individualmente a* giovani LGBTQI+, eventuali azioni di supporto mettono in discussione istantanea i comportamenti discriminatori e favoriscono un lavoro di collaborazione per assicurare una scuola più aperta e accogliente per tutta la popolazione studentesca.

Da non trascurare, un’ulteriore importante riflessione: Non si nasce con i pregiudizi.

Tuttavia, dal momento in cui si nasce, si viene inondati di numerosi messaggi, detti o non detti, a proposito delle diverse categorie di persone.

Molto spesso, quindi, stereotipi e pregiudizi si assimilano, senza nemmeno rendersi conto.

Tutt*, persone LGBTQI+ e non, prima o dopo, imparano cose a proposito delle identità lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex ed altre.
Analizzare i messaggi che si ricevono di volta in volta può aiutare a identificare certe idee e credenze, in modo da poterle mettere in discussione e svolgere meglio azioni di supporto.

Decisivo, quindi, a tal proposito può essere il giusto intervento chiarificatorio di un adulto, in famiglia o nella scuola, nelle parrocchie e nelle varie agenzie di aggregazione giovanile.

In tali contesti, tornando a credere sempre più nell’azione educativa e di orientamento nei confronti delle giovani generazioni, si possono costruire spazi enormi di tolleranza, accettazione dell’altro e di definizioni regolamentata e chiara delle relazioni e delle esperienze di lavoro, ricreative, sportive.

Importante anche riflettere sull’opportuna e sana presenza di regole e regolamentazioni, da definire  come strumento a tutela e a salvaguardia di ognuno.

Daniela Iannuzzi

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