A cura di Lorenzo D’Apolito.
Il professor Romano Prodi è stato un gigante nella storia italiana, pur a voler trascurare le numerose cariche pubbliche rivestite, ma solo a ricordare il grande risultato ottenuto di inserire, facendo salti mortali, l’Italia nel sistema della moneta unica.
Naturalmente vi è chi lo accusa proprio di questo e strilla come un’aquila per l’aumentare dei prezzi a seguito dei recenti eventi bellici. D’altro canto, ci si potrebbe chiedere cosa strillerebbe oggi se l’Italia dovesse fronteggiarli lontano dall’Europa, facendo leva sulla solitaria liretta e con la sua inflazione costante ben oltre le due cifre percentuali come accadeva allora.
La stessa Europa che gli stessi autonomisti e sovranisti nostrani giudicano arcigna e avida, ma che viceversa inonda da tempo l’economia nazionale di un imprecisato numero di miliardi di euro, in ultimo attraverso il PNRR, e che per inettitudine non si è in grado di spendere, nonostante le gravissime deficienze in sanità, giustizia, scuola, trasporti e via discorrendo.
Ad ogni modo, il citato professor Prodi oggi appare ancor di più un gigante, non solo perché ha mantenuto intatta la sua lucidità di pensiero nonostante l’età avanza e la grave perdita che lo ha colpito recentemente, ma perché l’attuale classe politica ed intellettuale appare ulteriormente regredita.
Infatti, in una live sul web, (https://www.youtube.com/watch?v=lmsMrvtY9oQ&t=4133s) con l’ottimo professore Boldrin ed un insolitamente silenzioso Alberto Forchielli, a domanda precisa su cosa pensasse delle proteste degli agricoltori contro le istituzioni europee, ha risposto con il suo solito colloquiare sornione e serafico, che non sarà mica colpa dell’Europa se i prodotti agricoli costano al consumatore oltre le tre volte rispetto a quanto vendute dai produttori.
Quindi se esiste una inefficienza della filiera e della grande distribuzione è un problema nazionale e non certamente europeo. Dunque, sarebbe opportuno dirigere i trattori verso altre sponde, magari superando le immemori divisioni sindacali e di categoria, piuttosto che contro le istituzioni europee che nonostante tutto, proprio a quel settore destina quasi un terzo del proprio bilancio, benché esso non rappresenti che meno del 3 % della popolazione europea.
Di conseguenza tutte le altre questioni inerenti alle crisi climatiche o la concorrenza sleale dei paesi sottosviluppati sono solo fuffa e politichese. Ovviamente l’eloquio semplice, diretto ed amichevole del professore (i professori non parlano mai in tal modo, ma sono sempre molto oscuri e saccenti) potrebbe persino indurre a ritenere superficiale il suo giudizio, ma i dati sono ineccepibili.
Spiegare poi perché mai nessun altro prodotto, anche deperibile come ad esempio quelli ittici, è venduto al consumo con simili rincari, non è semplice.
Allo stesso tempo e parallelamente, neanche si può escludere che una simile protesta possa risultare orientata politicamente contro le istituzioni europee al fine di disarticolarle, per volontà delle autarchie mondiali che utilizzano da sempre partiti e movimenti sovranisti. Istituzioni europee che senz’altro meriterebbero di essere ammodernate proprio al fine di fronteggiarli, in quanto profondamente antidemocratici.
Tanto più che la soluzione, adombrata dal medesimo professore, è senza dubbio procedere almeno per mano dei paesi che ne ravvisano l’urgenza, con maggiore democraticità piuttosto che il contrario. Cioè attraverso la abolizione dell’unanimità per le decisioni comunitarie e la modifica delle medesime istituzioni al fine di raggiungere una maggiore rappresentatività. Nient’altro.
All’obiezione sollevata dal prof. Boldrin secondo cui con tale metodologia si verrebbe a creare una Europa a due velocità, il mite e bonario emiliano non solo ha risposto che questo non sarebbe affatto una tragedia, poiché l’evolversi dell’organizzazione europea ha sempre proceduto con questi scatti in avanti ed improvvisi di alcuni paesi trainanti, ma soprattutto ha fatto notare che nel momento in cui gli stessi stati più rappresentativi, cioè Francia e Germania, iniziano a prendere atto di questa necessità, poi seguiranno gli stati più vicini politicamente, ed infine tutti gli altri che certamente non vorranno rimanere esclusi dal circolo ristretto dei decisori ed essere condannati alla irrilevanza politica globale. Semplice e lineare.
Dopodiché, ha precisato, o gli stati europei procedono in questo senso in tempi ragionevoli, o comunque la storia si incaricherà di renderlo inevitabile, in ragione del tema della sicurezza europea che non è rinviabile. Già oggi una guerra sanguinosa minaccia i confini dell’Europa, mentre non solo l’alleato americano mostra chiaramente di non aver più alcuna intenzione di provvedere alla sicurezza del mondo e dell’Europa, ma il possibile futuro presidente Trump minaccia persino di abbandonare la Nato.
La stessa che i noti pacifisti italiani giudicano soverchiante e che viceversa appare oltremodo stanca ed entro pochi anni potrebbe persino sparire con l’abbandono degli USA. Di conseguenza la palla passa agli stati maggiori europei, cioè i veri trattori d’Europa Germania e Francia, con l’Italia un gradino sotto, ma dal peso non del tutto irrilevante.
Se la Germania, con una decisione storica, ha perfettamente compreso il rischio deflagrazione dell’Occidente per come lo abbiamo conosciuto, mettendo sul piatto cento miliardi di euro da utilizzare immediatamente per la difesa, che va ad aggiungersi al 3 % annuo per tutti gli altri anni a venire, la Francia ingenuamente si considera protetta dal suo considerevole apparato nucleare. Ma in realtà tutto questo è solo illusorio, visto che fino a pochi anni fa poteva considerare quasi l’intera Africa sua esclusiva zona di influenza e viceversa oggi non gli rimane che la Costa D’Avorio e poco altro ancora, mentre tutto il resto è stato spartito fra Russia e Cina. Ma addirittura sono bastati 1000 mercenari per deporre il governo del Mali che era più di amico fraterno. Dunque, a giudizio del professore, e soprattutto quest’ultima a dover fare i conti con la nuova realtà geopolitica, innanzitutto perché è necessario, ma anche per una altra ragione imprescindibile.
L’Europa divisa e senza una politica estera e di difesa comune, spende un terzo in più della Cina ma è quasi del tutto irrilevante sul piano strategico. Cedere sovranità alle organizzazioni europee è senz’altro inviso ai singoli popoli in ragione del proprio orgoglio nazionale, ed infatti i sovranisti locali si mostrano sempre molto avvezzi a queste prospettive, ma la realtà e disarmante nella sua semplicità.
Essere divisa e bloccata rende l’Europa marginale ed insicura ed in più spende davvero uno sproposito ed inutilmente per le sue forze armate.
Quando i risparmi derivanti dall’adozione di una difesa comune saranno evidenti, e di conseguenza quindi una politica estera comune, soprattutto in tempi di vacche magre in ragione delle nuove guerre e per il costo dell’energia, muteremo tutti prontamente opinione.
fonte image: ilquotidiano.net
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