Basta alla Violenza di Genere: già Dante lo faceva notare

Stato Donna.it, 3 dicembre 2023. Non c’è più tempo. Sono ormai 108 i casi di femminicidio che riporta la cronaca per l’anno 2023.

E, nel mese di dicembre, in cui siamo, nel quale si tende convenzionalmente a fare bilanci e progetti per il nuovo anno, è il caso di dire che davvero è urgente ormai cambiare rotta.

Di riflessioni se ne sono fatte tante. Non solo negli ultimi giorni e nemmeno solo negli ultimi anni. Semmai, di riflessioni se ne fanno da sempre.

Come già in Dante Alighieri, per esempio, tra il 1306 ed il 1321, quando scriveva La Divina Commedia e in essa inseriva, raccontando dell’allegorico viaggio compiuto nell’Oltretomba, personaggi come quelli di Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei, Piccarda Donati. Forse proprio nell’intenzione di far notare che sfortunatamente nei primi anni del 1300  gli episodi di violenza nei confronti delle donne già esistevano ed erano di certo da condannare. Allora come oggi.

Nel V canto dell’Inferno, quello dove si parla dell’uccisione degli amanti cognati Paolo e Francesca, da parte del marito di lei e fratello di lui, che li aveva scoperti, Dante, pur rappresentando l’idea che essi erano peccatori, dal momento che li colloca tra i lussuriosi, ossia tutti coloro che preferirono l’amore carnale rispetto a quello virtuoso, che eleva fino a Dio, non manca tuttavia di far notare come egli stesso sia particolarmente toccato dalla confessione dei due lussuriosi e dal racconto della loro morte truce, fino al punto di commuoversi alle parole di Francesca e tanto da perdere i sensi: “Sì che di pietade io venni men così com’io morisse” scrive infatti nei vv. 140-142 “E caddi come corpo morto cade”.

Dante, però, non si ferma ad esprimere una sua generica compassione, né il suo intento è quello di riabilitare l’amore clandestino, che egli definisce, come già detto, comunque alla stregua di un errore.

Tiene, infatti, a fare una sottolineatura: colui che si è macchiato di un tale reato, l’assassinio dei due amanti, tra cui una donna, sarà punito. Perché la violenza non può mai passare inosservata.

E questo risulta chiaro nelle parole che fa pronunciare a Francesca nel verso 107 del canto in argomento: “Caina – cioè zona dell’Inferno dove finiscono dopo la morte i traditori dei parenti – attende chi a vita ci spense”.

Nel canto V del Purgatorio, Dante poi si spinge ancora oltre, prendendo, come dire, espressamente le difese di una donna uccisa dal proprio marito: la sua contemporanea Pia de’ Tolomei.

Con l’intenzione ancora più netta, a nostro parere, questa volta, di voler condannare un simile atto, non solo perché violento, e già questo basterebbe, ma perché rivolto ad una donna, Dante scrive dunque i seguenti versi 133-136 del canto V del Purgatorio.

“…Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: /salsi colui che ‘nnanellata pria/disposando m’avea con la sua gemma”: parole, queste, con cui Dante affida a Pia de’ Tolomei il compito di  presentarsi e tra le quali  non può non colpire quel “disfecemi”, con cui ella descrive, in un solo termine  inequivocabile, la morte crudele a cui il marito, “colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea”, l’aveva sottoposta. “Disfecemi”.

Storia di violenza è anche quella che riguarda Piccarda Donati, che Dante racconta di incontrare nel Cielo della Luna, canto III del Paradiso.

La donna, sorella di Forese Donati, amico di gioventù di Dante e di Corso, il violento capo dei Neri “più crudele di Catilina”, oltre che cugina della moglie di Dante, Gemma, è stata suora in terra e si ritrova nel Cielo della Luna perchè è venuta meno ai suoi voti religiosi.

Ciò che l’accomuna a Francesca e Pia, è tuttavia la violenza a cui è stata anche lei sottoposta e che – seppur in maniera indiretta – l’ha portata alla morte, come si evince dalla lettura dei versi 106-108 del canto di riferimento: “Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi”.

Emerge così, sorprendentemente, la similitudine tra la passione travolgente di Francesca, l’impotenza di Pia, la resa di Picarda, donne del Medioevo, con il sentire femminile di oggi, come ha fatto notare Lorenzo Scocciolini nel suo saggio “La violenza di genere nella Divina Commedia”, edito dalla casa editrice salentina “Edizioni Libere”.

Un sentire senza tempo che chiede però oggi, con forza, un agire, immediato, senza più indugi e senza ulteriori discorsi destinati a rimanere vuoti.

Ciò che è stato di brutto e di ignobile, non può ancora  ripetersi.

Di fronte alle 108 vittime nel 2023 in Italia, e le tante tristemente succedutesi nel corso dei secoli, bisogna dire una volta per tutte un “Basta!” concreto, propositivo e che porti ad una svolta quanto più ampia e decisiva possibile.

Daniela Iannuzzi

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