Lo spot di Esselunga? I bambini mai responsabili dei mali del mondo

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Foto Agi

Raramente ho visto una pubblicità così ben raccontata, fotografata e altrettanto ben recitata, con personaggi assolutamente appropriati al contesto sociale cui appartengono: una famiglia borghese, benestante, con una casa, quella della mamma, molto ben arredata. Dove mamma e figlia vivono momenti di sorrisi, giochi e serenità.

Soprattutto notiamo una mamma premurosa, che vigila che la bambina non si allontani da sé nei corridoi-meandri del supermercato, e che di ritorno dalla spesa fa le domande giuste sulla scuola e dà gli incoraggiamenti, anch’essi da manuale di pedagogia, sui disegni eseguiti. Intanto, per magia, e questa è la parte forse più costruita, la bambina, nel rientrare in macchina a casa, osserva una famiglia-triade al completo, con madre, padre e altra bambina.

Magari la pesca presa spontaneamente al supermercato la voleva per lei, e forse solo alla visione di quella famiglia dove i tre sono insieme fa scattare la piccola bugia che la pesca, che regala al padre, è un dono della madre. C’è da dire che un piccolo miracolo tutto sommato questo gesto lo procura se il papà rassicura due volte la bambina: gli piacciono le pesche, quindi il regalo è assolutamente azzeccato, e, soprattutto, chiamerà la mamma per ringraziarla.

Il finale resta assolutamente aperto, come si dice con termini tecnici. Non sapremo mai se questa famiglia si riunirà. Ma anche così è un buon finale per questa bimba, che forse si accontenta anche solo del fatto che non si perdano i contatti, come sembrava invece scontato dal momento che il papà si limita a citofonare per prendere con sé la bimba in base ai turni, mentre la mamma mostra una certa freddezza quando guarda in basso in direzione del marito che non abita più lì.

Naturalmente nella guerra civile ideologica che contraddistingue una Italia mai pacificata se non nella nazionale di calcio, non potevamo non aspettarci polemiche.

E’ stato detto che per motivi economici si sfruttano le emozioni di una bambina. Che non tocca ai piccoli risolvere i problemi dei grandi. Che questo spot ingenera l’illusione che sia così facile far tornare sui loro passi genitori separati. Che il divorzio è una conquista civile e che i figli, opportunamente supportati da almeno una delle due figure genitoriali, possono non avere disagi dalla separazione dei genitori.

Di contro è stato affermato che la separazione è un lutto, un cambiamento comunque traumatico nella vita di un figlio.

 

Ora, accusare questa particolare pubblicità di svendere per soldi i sentimenti umani forse è un po’ esagerato, in quanto lo hanno fatto per anni le immagini del Mulino Bianco, creando la favoletta di una famiglia felice dalle prime ore del mattino, e lo fanno tutte le pubblicità dove i bambini decidono con il Nonno padrone di un biscottificio il nuovo prodotto da lanciare sul mercato o quelli che addirittura insegnano ai genitori a non sprecare neanche una goccia d’acqua.

La pubblicità ha nel suo esistere ontologico lo sfruttamento delle emozioni, altrimenti non si capirebbe la ragione di usare una marca di auto al posto di un’altra o una crema che dovrebbe azzerare 25 anni di vita e di rughe, questa sì miracolosamente.

Non parliamo poi della nota influencer bionda, che, pur di prestarsi a vendere prodotti come vestiti e gioielli, ha tormentato, insieme al marito, milioni di follower, i loro sprovveduti seguaci, con le pappine della secondogenita e i giochi, assolutamente normali, del primogenito.

 

Forse il valore di questo spot va anche al di là delle intenzioni dei geniali pubblicitari che lo hanno saputo raccontare.

Fa vedere infatti come in un ambiente dove non ti aspetti la separazione, dove non c’è degrado, non c’è miseria materiale e spirituale, esiste pure una sorta di anestesia dei sentimenti, un egotico guardare alla propria vita senza immaginare fino in fondo le sofferenze negli altri membri della famiglia scoppiata, dove la apparente tranquillità del benessere e delle cure che vengono assicurate impediscono di guardare a fondo nell’animo dei figli.

E sicuramente questo spot finisce per dire una cosa che in molti non si vuole vedere, che le sofferenze nei piccoli sono sempre il prodotto, anche non voluto, degli adulti. Non esiste un bimbo responsabile dei mali del mondo.

Esiste invece, accanto al primo vagito, la responsabilità della società verso quel bambino, che nasce come una tabula rasa, una lavagna senza scritte, sulla quale la prima forma sociale che si incontra, la famiglia, si deve assumere tutta la responsabilità di ciò che ci scrive.

 

Quindi, ben venga anche uno spot per farci riflettere. D’altra parte anche il cinema, forma d’arte che nessuno disconosce, non si fa certo per beneficenza ma per soldi e questo non impedisce a taluni film di incidere in meglio, se uno ne coglie lo spirito, sui nostri comportamenti.

Maria Teresa Perrino, 1 ottobre 2023