Giulia Paglialonga, psicoterapeuta di Orta Nova: “Seminare accoglienza ed educazione civica”
Episodi di violenza tra adolescenti ad Orta Nova. Nell’ultimo anno se ne sono contati diversi, eclatanti. E ci si chiede se non sia ormai il caso di parlare di emergenza educativa.
Abbiamo voluto incontrare un’esperta delle dinamiche psicologiche individuali e collettive, Giulia Paglialonga.
Per capire: le cause possibili alle radici di comportamenti al limite ormai abbastanza soliti fra i giovani, come uccidere, accoltellare l’altro o fare branco arrecando disturbo, come minimo, nei quartieri del paese, quasi dando l’idea di non avere chiaro cosa sia il rispetto di sé e dell’altro.
Psicologa e psicoterapeuta, specializzata in ipnosi terapia, la dottoressa Paglialonga si occupa per professione di psicologia clinica e supporto psicoterapeutico ad adulti e adolescenti. Nata e cresciuta ad Orta Nova, anche se da tempo vive fuori regione, conosce il tessuto sociale e culturale della comunità che vi abita.
Dottoressa, quale lettura dovrebbe dare, secondo lei, la collettività ortese dei vari episodi di aggressività e violenza che hanno visto coinvolti alcuni giovani di Orta Nova negli ultimi tempi?
Credo di poter dire che tali fatti lasciano un sentimento di vuoto e smarrimento nella collettività. E lasciano, inoltre, spazio a riflessioni per una professionista come me, spingendo a porsi una domanda fondamentale.
Cosa si può fare per, se non evitare tali episodi, almeno seminare sentimenti di accoglienza e di educazione civica più profondi, e di rispetto l’uno dell’altro?
Questi episodi sono tutti riconducibili a comportamenti tipici dei e nei gruppi e pongono in evidenza il fatto che è in corso un abbassamento della moralità. È da notare, inoltre, che quasi sempre tali fatti avvengono in spazi aperti, come se chi si rende protagonista di gesti inconsulti volesse dare una pubblica dimostrazione di potere e di predominio sull’altro.
In più, comportamenti aggressivi e incontrollati, come quelli verificatisi ad Orta Nova, a mio parere, evidenziano una sorta di goliardia che però si affianca ad una particolare perdita del senso del limite e del rispetto della persona umana.
Diceva che si tratta spesso di comportamenti tipici della psicologia del gruppo. In che senso?
Nella psicologia del gruppo, è tipico che il singolo tenda a cambiare il senso della moralità e il senso del pericolo, perché stando in gruppo si attivino altre forme di energia, intensificando per esempio la produzione di adrenalina a tal punto che questa abbassi la percezione della realtà e dei gesti che si compiono.
Va detto anche, comunque, che episodi di violenza che vedono coinvolti i giovani non accadono solo nel territorio di Orta Nova. Purtroppo, se ne verificano di simili in tutto il territorio nazionale.
Quali possono essere le cause, secondo lei?
Molte e complesse. Da non rintracciare semplicemente nell’assenza dello Stato, o della famiglia, oppure in carenze culturali né in un’estrazione sociale bassa. Bisogna guardare, invece, a questi avvenimenti in un’ottica complessiva e cercare di capire poi cosa manca veramente.
Cosa può mancare?
Intanto, in base ad esperienze da me fatte in progetti tesi al recupero giovanile, posso dire che nei giovani e negli adolescenti che si spingono a compiere gesti violenti o estremi spesso si coglie un senso di abbandono, una certa mancanza di stili educativi improntati all’accoglienza, alla buona educazione e al rispetto dell’altro. Nelle realtà difficili, come può essere a volte quella di Orta Nova, mi sento di dire che mancano anche possibilità “altre”, ossia mancano opportunità e iniziative in grado veramente di fornire un’alternativa rispetto alla strada o rispetto al contesto di disagio che può essere quello familiare.
Mancano, inoltre, azioni di prevenzione attraverso le quali mirare ad individuare tempestivamente le persone problematiche al fine di orientarle in qualche modo.
Ha usato l’espressione “seminare accoglienza ed educazione civica”. Riguardo a questo, dottoressa, quali potrebbero essere gli spunti di riflessione da portare all’attenzione della collettività, alle famiglie, ai giovani?
Mi sono guardata intorno, ho osservato altre città dove i giovani a compiere atti delinquenziali e di violenza per capire quali azioni di contrasto vengono poste in essere in tali contesti. E ne ho desunto una sorta di schema di aiuto da ripetere anche in altre realtà.
Ebbene, molto spesso ciò che serve in una comunità è l’azione di forze sociali che siano lì pronte a diventare un riferimento sano per i giovani.
Penso, per esempio, ai parroci e agli assistenti sociali. Alcuni parroci hanno scelto di organizzare attività sportive che rappresentassero una valvola di sfogo per i ragazzi e che, nello stesso tempo, li portassero a vedere nella parrocchia un luogo di comunità e di accoglienza. Penso, inoltre, ad assistenti sociali che hanno creato delle alternative presenti sul territorio e che dessero ai ragazzi la possibilità di scegliere tra il nulla che viene dalla violenza e dalla delinquenza e, invece, le sane esperienze di crescita e di confronto.
E penso anche alla figura dello psicologo nelle scuole che, oltre a fornire servizi di ascolto, potrebbe attivare iniziative che coinvolgano il ragazzo facendolo sentire accolto.
Molto spesso la letteratura ci dice che episodi al limite accadono tra i giovani quando mancano tra gli adulti dei sani riferimenti per loro. È necessario che ogni adulto riscopra nella quotidianità il potenziale che viene dal voler essere un sano riferimento per i giovani. Non solo all’interno della famiglia, ma in tutti i contesti.
Lei pensa che siamo in una fase di “emergenza educativa”?
Io penso che noi dovremmo imparare dalla Storia che ci mostra come non solo oggi ma già in passato vi sono stati episodi di violenza tra i ragazzi.
Io non credo in quella sorta di confronto generazionale che porta a dire “ai miei tempi si stava meglio”.
Io credo piuttosto che la violenza faccia parte, purtroppo, del comportamento umano, da sempre.
Oggi, semmai, a differenza di ieri, se ne parla di più per effetto della risonanza che viene dai media che, in alcuni casi, sollecita anche una tendenza alla emulazione.
Quello che proporrei, dunque, è non semplicemente scaldalizzarsi quando si assiste a episodi di violenza, ma semmai soffermarsi a pensare a quanto ognuno di noi può fare nel proprio piccolo per migliorare le cose.
C’è spazio, secondo lei, per il fare ognuno la propria parte? Oppure sarebbe meglio lasciare che la sola Giustizia faccia la propria parte con punizioni esemplari?
L’atto criminale deve essere punito, certamente. Ma la punizione andrebbe sempre vista in un’ottica di rieducazione.
Per quello che riguarda l’operato dei singoli, bisognerebbe pensare a quello che può fare ogni adulto al fine, come dicevo, di diventare un riferimento sano per i ragazzi.
Orta Nova vive un senso di collettività molto profondo, in cui le relazioni si traducono in una rete allargata che non coinvolge solo il nucleo familiare, ma comprende cugini, nonni, amici. E questo può diventare un’ottima opportunità su cui lavorare per seminare e allargare il senso dell’accoglienza e dell’educazione civica di cui parlavo prima.
La naturale unione e il naturale senso di collettività che caratterizzano il nostro paese può diventare proprio il punto da cui partire per fare in rete ognuno la propria parte per migliorare.
Daniela Iannuzzi, 10 settembre 2023