Ancora poche le donne alla guida delle principali città italiane

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La nascita del primo governo guidato da una donna ha rappresentato senza dubbio un elemento di grande novità nel panorama politico italiano. Per quanto importante, però, questo singolo incarico non è sufficiente a bilanciare lo squilibrio di genere che caratterizza la politica italiana a tutti i livelli: parlamento, regioni e comuni.

I dati sulla presenza delle donne nelle amministrazioni comunali italiane sono riportati da openpolis.it.

Per quanto riguarda questi ultimi, le recenti elezioni amministrative hanno visto una crescita di donne elette come prime cittadine delle principali città italiane (da 7 a 9). Parliamo comunque di numeri bassissimi, considerando gli oltre cento capoluoghi di provincia nel paese. A questo si aggiunge che, con la fine del mandato della sindaca di Ancona Valeria Mancinelli, oggi nessuna donna guida un capoluogo di regione.

La legge elettorale, che non può riguardare l’elezione a una carica monocratica, però, come vedremo meglio in seguito, è intervenuta sulla composizione della giunta comunale, prevedendo che nessun genere possa essere rappresentato in misura inferiore al 40%, almeno nelle regioni a statuto ordinario.

Le donne assessore nei comuni capoluogo sono infatti il 44,5%. Sono meno le vicesindache (35,8%) e, a maggior ragione, le sindache (8,4%). L’incarico di vertice delle amministrazioni comunali in effetti è anche quello in cui, complessivamente, le donne trovano minore rappresentanza.

In Italia i comuni capoluogo di provincia solo 109 (visto che nella provincia di Barletta Andria e Trani tutte e tre le città sono considerate capoluogo). Le percentuali relative al ruolo di sindaco però si riferiscono ai 107 comuni in cui al momento qualcuno ricopre questo incarico. Il comune di Foggia infatti è attualmente commissariato mentre in quello di Reggio di Calabria il sindaco risulta sospeso ed è attualmente in carica il vicesindaco facente funzioni.

I vicesindaci invece risultano essere 106 visto il commissariamento di Foggia e il mancato conferimento di un incarico di questo tipo nei comuni di Andria e Trapani. Sono 107 infine i presidenti del consiglio comunale sempre a causa del commissariamento di Foggia oltre che della mancata elezione di un nuovo presidente del consiglio comunale di Potenza.

Discorso analogo vale anche per gli incarichi in consiglio comunale.

Sono infatti il 32,5% le donne che ricoprono il ruolo di consigliere semplice o di vicepresidente del consiglio comunale. Un dato ancora non sufficiente per parlare di un effettivo equilibrio di genere ma decisamente più elevato di quello delle donne che presiedono i consigli comunali (14%).

Come abbiamo visto la legge prevede che nelle giunte comunali il genere meno rappresentato costituisca almeno il 40%.

In 32 dei 107 comuni considerati la quota di donne in giunta supera il 40%. Tra questi 9 si trovano in una situazione di parità (50%) mentre in 4 giunte il numero di donne supera quello degli uomini. Si tratta di Pavia, Rovigo, Vibo Valentia (in cui sono presenti 5 donne e 4 uomini) e Modena (6 donne e 4 uomini). In altri 56 comuni invece il numero di donne in giunta arriva esattamente al 40%.

In Italia i comuni capoluogo di provincia solo 109 (visto che nella provincia di Barletta Andria e Trani tutte e tre le città sono considerate capoluogo). Dato che il comune di Foggia risulta attualmente commissariato e il sindaco di Reggio Calabria è attualmente sospeso dall’incarico, i comuni considerati sono 107. Per “soglia Delrio” si intende la quota minima di rappresentanza di entrambi i generi in giunta come definita dalla legge 56/2014 e interpretata dalla giurisprudenza del consiglio di stato. Detta soglia tuttavia non è necessariamente vincolante per i comuni appartenenti a regioni a statuto speciale.

Non arrivare al 40% di donne in giunta tuttavia non vuol dire necessariamente non rispettare la norma, almeno stando alla giurisprudenza del consiglio di stato. È quello che avviene ad esempio nei comuni di Campobasso, Trieste, Gorizia, Venezia, Oristano, Treviso e Verbania.

Nel caso di Venezia ad esempio le donne sono 4 su 11, ovvero il 36,36%. Secondo il supremo giudice amministrativo però il limite minimo legale va calcolato in modo diverso. Il 40% di 11 infatti è pari 4,4 che arrotondato fa 4, ovvero il numero minimo di donne che devono essere presenti in giunta.

Nonostante questa interpretazione tutt’altro che rigida della norma, esistono ben 12 comuni capoluogo che si pongono al di sotto anche di questo limite.

Si tratta di Catania (1 donna su 11), Agrigento (1 su 10), Enna (1 su 9), Messina, Ragusa, Siracusa, Trapani (2 su 10), Bolzano (2 su 7), Caltanissetta, Ascoli Piceno, Barletta (3 su 9) e Palermo (4 su 12).

Nella maggior parte dei casi però si tratta di amministrazioni appartenenti a province o regioni a statuto speciale.

La nomina di un’assessore da parte del sindaco ha carattere fiduciario. Dunque nel caso in cui il sindaco non sia riuscito a trovare nessuna donna con le caratteristiche ritenute necessarie ad assolvere questo compito è legittimato a violare la norma. Una giustificazione che in ogni caso dovrebbe essere adeguatamente provata.

Ad Ascoli Piceno e Barletta, ovvero i due comuni sotto la soglia Delrio che non appartengono a regioni a statuto speciale, la situazione è però ancora un po’ diversa. In entrambi i casi infatti la giunta nominata dopo le elezioni risultava conforme ai requisiti di legge.

Solo in seguito a rimpasti e dimissioni di alcuni assessori la quota di donne si è posta sotto i limiti legali. Una situazione di irregolarità che comunque i sindaci dovrebbero provvedere a rimuovere.