Toto Cutugno, l’ultimo cantante dello stilema semplice ‘Italiano vero’

Tendiamo a nascere postumi, brillante espressione per dire che le commemorazioni devono quasi di regola avvenire dopo la morte.

Sicuramente abbiamo in tanti avuto questa percezione anche in occasione della morte di Toto Cutugno, cantautore scomparso pochissimi giorni fa, rimpianto e compianto da fan e colleghi, che hanno di persona partecipato al suo funerale e che hanno fatto sentire in ogni modo la loro voce.

E tutti i media hanno rievocato con dovizia di particolari la sua vita, a partire dalla famiglia amante della musica soprattutto per quanto riguarda il suo papà, dalla morte tragica di una sorellina, dalla conoscenza della tragicità della vita che lo ha accompagnato fino ai suoi 80 anni.

Abbiamo visto e ascoltato parole di sincero cordoglio, nel ricordare la sua bravura come autore di testi e di musica, non solo per sé ma anche per grandi personaggi dello spettacolo. Abbiamo appreso del pentimento di Adriano Celentano nell’aver rifiutato quella canzone scritta per lui, l’Italiano, che poi si è rivelato forse più potente dello stesso Inno nazionale. O così almeno hanno scritto i giornali dei Paesi nei quali la sua musica è stata molto apprezzata.

Più che in Italia, è il caso di dire.

Eterno secondo a Sanremo, gli anni fulgenti sono stati nei decenni 70/80 del secolo scorso, anche se nessuno ha mai dimenticato questo ragazzo serio, gentile, preciso, garbato. Anche in qualche felice episodio di conduzione televisiva.

Era malato e con discrezione e grande signorilità aveva condotto la sua personale battaglia contro il male lontano dagli schermi, sempre con misura.

Forse è stato l’ultimo che ha potuto con tranquillità cantare lo stilema “italiano vero” senza rischiare una interrogazione parlamentare da parte di chi, galoppando nella storia,

vuole che un popolo cambi la propria fisionomia, le proprie tradizioni, i propri rituali in nome di un politicamente corretto fatto ingerire più che digerire, come dovrebbe invece essere ogni cambiamento degno di questo nome.

E sicuramente i critici, sacerdoti del difficile, dell’elitario, i nemici del nazional popolare, hanno storto il naso di fronte a rime che tutti capivano, anche chi aveva magari solo la quinta elementare.

Io non lo amavo, nel senso che nella scala dei valori di cantautori ne annovero altri a lui contemporanei ma non mi piacciono le apoteosi post mortem. Credo invece nello spazio riservato a tutti i gusti e a tutti i palati, senza quella spocchia che rovina tanta parte della trasmissione culturale, mentre vagoliamo incerti ancora sul vero significato di cultura.

Bene hanno fatto i suoi fan ad accompagnarlo con evidente affetto nel suo viaggio. Bene hanno fatto a suonare una fisarmonica colorata di tricolore. Almeno nel giorno del suo funerale abbiamo potuto rivedere una bandiera che ora si esibisce con orgoglio solo nei campionati sportivi.

Maria Teresa Perrino, 26 agosto 2023

 

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