“Medea tra noi”, quando le madri uccidono i figli
Apprendiamo con profondo rammarico l’ennesimo infanticidio a Voghera, dove è stato ucciso un bambino di un anno di vita, fortemente voluto dai suoi genitori. A scoprire il delitto è stata la nonna, che come ogni mattina si è recata a casa della figlia, per aiutarla.
La madre sarebbe ricoverata in stato di shock, dopo che negli ultimi tempi era apparsa la parola depressione alla base di certi comportamenti. Questo al momento il resoconto delle tv.
La presenza della nonna al fianco della figlia fa pensare a quell’aiuto che in famiglia le donne più grandi danno alle neo mamme, anche senza esplicite richieste di aiuto che spesso non sono consapevoli e che non trovano le parole adeguate. Perché l’istinto della maternità viene dato per scontato, ma evidentemente tanto scontato non è.
Non solo le madri, in verità, diventano assassine. Molti padri, in tempi di crisi delle famiglie, dove l’unità del nucleo familiare non è più garantita anche a causa della donna che decide altrimenti della propria vita individuale, hanno imparato dalle donne che si possono uccidere i figli.
Perché Medea, 2.500 anni fa, ci dice che questo delitto è tipicamente legato alla sfera dei sentimenti esacerbati della Donna Offesa.
In 20 anni sono stati uccisi più di 300 figli, dice la tv. Ultima, in questi giorni, la piccola Elena, di 5 anni. La madre, dopo aver confusamente denunciato un rapimento da parte di uomini armati e incappucciati, alla fine ha confessato il suo delitto. Ora dice che non sa perché l’ha fatto e che “qualcuno si è impossessato di lei”.
Uccidere i figli rimane il gesto più incomprensibile per la nostra specie. E un po’ tendiamo a trascurare cosa avviene in natura, con la cagna rabbiosa o con i soavi pesciolini rossi, i quali, costretti a condividere gli spazi degli stagni superaffollati, diventano spietati cannibali delle loro uova e dei loro piccoli. In questo modo molte specie si garantiscono la sopravvivenza. E anche la specie umana ci ha lasciato tracce antiche e recenti di bambini uccisi senza troppi rimorsi.
Il pater familias nell’antica Roma decideva la sopravvivenza del figlio solo dopo averlo sollevato dal pavimento, appena nato, e nessuno poteva interferire. La politica del figlio unico in Cina nel ’70 ha fatto strage di bambine alle quali era preferito il figlio maschio. In gruppi etnograficamente primitivi si sacrificava uno dei gemelli, preferibilmente la femmina.
Oppure, se il padre era illegittimo, alla ragazza era consentito disfarsi del neonato, in solitudine, nel bosco. Vale la pena ricordare anche quello che tutti apprendiamo nell’infanzia. Di un Abramo pronto a sacrificare Isacco. Dei figli primogeniti condannati a morte reciprocamente fra popoli in lotta fra loro.
Della strage degli innocenti. Ma vale soprattutto ricordare quello che da sempre ci dicono le fiabe, nelle quali la matrigna cattiva è l’altro modo con cui si cerca di preparare i bambini ad una figura materna misteriosamente spietata.
La “Sindrome di Medea” è chiamato dagli specialisti della psiche uno degli impulsi ad uccidere nelle madri. Prende il nome dalla Medea del Mito, sfruttata e poi abbandonata dal marito Giasone, che aveva organizzato per sé un nuovo matrimonio, abbandonando moglie e figli.
Anche questa mamma pare abbia covato un sordo rancore verso l’ex compagno, reo di essersi rifatto una vita con una nuova compagna, che alla piccola Elena non dispiaceva. La solitudine e l’abbandono sono cause scatenanti di gesti inimmaginabili e inimmaginati anche dagli stessi protagonisti. La lucidità con la quale un delitto così atroce viene premeditato non ci deve trarre in inganno.
Chi di noi non ha rimuginato giorni e giorni gesti e parole da fare e da dire di fronte ad un evento avvertito come fonte di grande angoscia? La premeditazione è lucidità in una mente che di lucido ha ben poco.
E i fatti dicono che queste mamme assassine di solito, quando gradualmente percepiscono per davvero la nuova realtà in cui non c’è più traccia dei figli, non desiderano più vivere.
Per cui il primo problema degli investigatori e dei giudici, oltre a gestire la confessione, è quello di impedire il suicidio.
Nessuna mamma sopravvive a se stessa dopo che è diventata assassina, ma questo le cronache non ce lo racconteranno mai.
La nostra attenzione fuggevole, dopo aver sviscerato per qualche giorno il fatto, si dirige verso altre notizie di cronaca. Ma chi lavora a contatto con queste donne ha avuto modo di studiare i comportamenti delle madri assassine anche negli anni successivi al delitto.
E così, oltre ad apprendere che si uccide anche per altre ragioni che non sia lo strumentalizzare i figli contro il padre (perché inadeguate totalmente al nuovo ruolo che ogni donna si vede ascritto; perché un figlio ha problemi gravi di salute), veniamo a sapere che spesso la madre che sopravvive al figlio ucciso rimane una “zombi(e)” per tutta la restante vita.
Cogliere i segnali, dicono gli esperti in tv, anche oggi che sono interpellati su questa ennesima vicenda tragica. Anche quelli insignificanti. E non volgere lo sguardo altrove, ammoniscono, di fronte ai segnali più impercettibili. E ritornano alla mente le parole della nonna paterna della piccola Elena. Mai, mai avrebbe sospettato una tragedia simile.
Forse la strada da seguire per il futuro dei nostri bambini deve essere un’altra. Sappiamo tutto del corpo umano, a scuola e all’università, ma in quanti sanno come funziona la mente emotiva?
Quanti sono veramente consapevoli della complessità delle relazioni all’interno della famiglia? In che modo ciascuno col proprio vissuto nelle famiglie di origine si appresta a diventare genitore?
Quanti sono consapevoli della possibilità della mente umana di coltivare sentimenti distruttivi accanto all’amore e alla tenerezza? Una forma di aiuto chiara non potrà essere ignorata. La richiesta di aiuto non compresa, quella sì che viene inevitabilmente disattesa.
Non a caso i giudici si fanno aiutare dagli scienziati della mente.
Bisogna abbandonare la rassicurante certezza che queste cose avvengono solo alle persone dalle menti disturbate.
Solo così potremo vincere quella potenza distruttiva all’origine di tanto dolore. Una consapevolezza che potrebbe operare come un vaccino efficace. Per il quale la somministrazione primaria, a tappeto, per tutta la popolazione, non può che passare inevitabilmente da una buona scuola.
Maria Teresa Perrino, 16 luglio 2023