È morto lo scrittore, poeta, drammaturgo, saggista Milan Kundera. Nato a Praga, di etnia ceca, ha vissuto a lungo a Parigi, acquisendo la nazionalità francese. Noto per i tanti lavori che da soli meritano specifiche trattazioni (Lo scherzo, Amori ridicoli, l’immortalità, Il libro del riso e dell’oblio, L’ignoranza …), è arcinoto per il suo romanzo più famoso, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, per il quale ha guadagnato il giudizio di essere uno dei più grandi narratori del Novecento.
In effetti è difficile rimanere insensibili di fronte a un titolo così apparentemente complesso e contraddittorio. Vi si narra una grande storia d’amore, quella fra Tomàṧ e Tereza, vicenda che si interseca con l’altra coppia formata da Sabina e Franz.
E in effetti è dal titolo così intrigante che prende l’avvio il romanzo, con l’Autore/Narratore che si interroga e cerca una risposta immediata al dubbio di quale sia la cosa migliore per l’essere umano, sapere che la vita si ripresenterà di nuovo con le stesse caratteristiche, in una idea ciclica del tempo, o immaginare un tempo rettilineo, quello cristiano, per intenderci, secondo il quale la progressione ha esito nella morte e nel dopo morte immaginato dal cristianesimo.
Perché chi crede nella possibilità filosofica dell’eterno ritorno (sia dei filosofi antichi sia di Nietzsche) sa che può fare tesoro delle esperienze delle vite precedenti e, in virtù di questo, assume un forte senso di responsabilità verso la vita che si ripresenterà in futuro, con una pesantezza che non è da tutti accettare.
Ma chi invece crede che non ci sarà nessun ritorno, che la vita sia una sola, nella quale gli esseri umani, come attori che imparano una parte e con un tempo assai modesto per le prove, devono compiere scelte anche difficili e frettolose, ecco che si può sempre trovare una giustificazione per il proprio operato, si può scaricare sugli altri le colpe che si ereditano, e tutto diventa lecito, permesso e immediatamente perdonato.
Dunque la leggerezza della deresponsabilizzazione. E in questo stato di beata assenza di responsabilità vive per un po’ il nostro protagonista, il medico chirurgo Tomàṧ, il quale, padre sconfitto in un divorzio di cui la moglie non rispetta i tempi regolamentati per fargli vedere il figlio se non dopo lussuosi regali, decide di sbarazzarsi di moglie e figlio, anche dei suoi genitori che disapprovano la sua scelta.
Ma questo sistema di beata libertà si incrina nel momento in cui, per caso, conosce una ragazza, Tereza, che si affida a lui come una trovatella delle migliori storie bibliche e mitiche di bambini smarriti e salvati, e che rappresenta per l’uomo un legame pesante e pieno di nuove responsabilità, di fronte alle quali Tomàṧ trova strategie di fuga ma mai definitive, accettando alla fine di sottostare ad un legame d’amore che è anche frutto di un forte sentimento di compassione, la capacità di sentire nella sua carne i dolori di lei.
E le coincidenze che li hanno avvicinati (amici comuni; il tenere un libro vicino a sé come segno di appartenenza ad una specie di setta segreta di fronte alla volgarità e alla cattiveria nella quale si snodava la vita di Tereza) diventano veramente co-incidenze, percorsi di vita insieme, nel peso della responsabilità reciproca.
E nulla sapendo veramente dell’amore, Tomàṧ sperimenta tutte le sfaccettature e tutto il peso dell’amore.
Un grande libro, che ci proietta con le riflessioni con cui l’autore/voce narrante si fa spazio fra i suoi personaggi in un momento cruciale della storia europea, quando si pensa di poter abbattere la cappa oppressiva della cortina di ferro nei Paesi del blocco socialista sovietico.
E scopriamo, insieme ad altri autori e altri testi capisaldi della letteratura mondiale, come Orwell o Bradbury, il dna di tutte le dittature: lo spionaggio; il conformismo; la paura; l’ambiguità; la bugia eretta a sistema di vita per sopravvivere; lo sguardo abbassato o rivolto altrove per non vedere; la zona grigia che fa pressione sui pochi coraggiosi; i pochi coraggiosi che rischiano e muoiono.
E soprattutto l’essenza stessa del campo di concentramento, oltre alle crudeltà e alle violenze: l’eliminazione totale della vita privata. E siamo avvertiti che questo avviene anche nella nostra vita ordinaria, anche senza lager riconoscibili e facilmente individuabili.
E novello Edipo, il Narratore non si accontenta di chi dice a proposito delle nefandezze: “non sapevamo”. Perché Edipo, il più innocente di tutti, quando capì che anche senza una precisa volontà aveva ucciso il Padre e sposato la Madre, si acceca e fugge dalla sua patria, Tebe. Deciso ad assumersi la responsabilità del male prodotto.
Tomàṧ, per mantenere intatta la sua dignità di fronte alle richieste pressanti e spesso ottuse del regime, non esita a scendere nella scala sociale, finendo da chirurgo a lavavetri …
Lo stesso Kundera ha dovuto nella sua vita fare delle scelte in parte simili ai suoi personaggi, anche se, come ogni grande narratore, egli li ama tutti, indistintamente, perché la verità della finzione romanzesca risiede anche nel farci capire che è solo il caso, la sorte, ad assegnarci le parti che giocheremo in questa vita una volta venuti al mondo.
Questo ci regalano i grandi protagonisti della letteratura e le loro straordinarie pagine: la letteratura come efficace ed indispensabile simulatore di volo del viaggio nella vita. Questo ci ha spiegato a chiare lettere lo Scrittore che si è spento in questi giorni.
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