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Il Gattopardo versione Netflix: tutto il bello del romanzo e la nuova sfida

Il Gattopardo viene rivisitato da Netflix: un secondo adattamento del romanzo di Tomasi di Lampedusa dopo il capolavoro di Luchino Visconti del 1963.

Ieri sono iniziate le riprese a Palermo di alcune scene del nuovo adattamento del capolavoro dello scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo”.

Il primo, splendido adattamento fu il film pluripremiato di Luchino Visconti, che annoverava mostri sacri del cinema italiano e internazionale, con Burt Lancaster nel ruolo del Principe Fabrizio Salina, Alain Delon in quello del nipote Tancredi, Principe di Falconeri, Claudia Cardinale nel ruolo della bellissima Angelica, figlia di uno dei tanti fattori di casa Salina, don Calogero Sedàra –  interpretato dal grande Paolo Stoppa –  che si era arricchito alle spalle dell’aristocratico ed era pronto a inventarsi un futuro nel nuovo assetto dello Stato italiano creatosi con la spedizione dei Mille di Garibaldi e l’affermazione ormai vicina di re Vittorio Emanuele di Savoia come Re d’Italia.

La ricostruzione del film di Visconti, come si dice in questi casi, è stata filologicamente perfetta per quanto riguarda l’ambientazione, la scelta dei palazzi nobiliari in cui situare le riprese, la più famosa delle quali resta la spettacolare scena del valzer, che da sola occupa un terzo del film.

In quel valzer si ha il punto di arrivo di tutto il romanzo, che vede sul piano storico il passaggio dal regno borbonico a quello dei Savoia, mentre nel campo sociale si assiste al passaggio del potere economico dalle mani dei ‘leoni’ e dei ‘gattopardi’, i nobili e orgogliosi felini simboli della centenaria aristocrazia  (indolente e incapace di modificare il proprio tenore di vita al punto da vendere uno dopo l’altro i feudi rigogliosi) nelle mani degli ‘sciacalletti’, coloro che, venuti su dal nulla e spesso lavoratori sfruttati nei feudi aristocratici, con la loro intelligenza misconosciuta ai padroni, hanno raggranellato centesimo dopo centesimo fino a superare in ricchezze i vecchi padroni.

Il che avrà ripercussioni anche in campo politico, perché saranno loro i futuri deputati e senatori nel nuovo Regno d’Italia. In quel valzer, ballato in una delle più sontuose feste dell’aristocrazia palermitana, il Principe, ultimo Gattopardo degno di questo nome, accoglie nella sua famiglia la figlia di un uomo di nessun valore sociale, con una moglie invisibile totalmente analfabeta e reclusa alla vista di tutti, per ridare nuova linfa ai matrimoni consumati spesso tra primi cugini, per dare una moglie ricca ad un nipote privo di mezzi ma dal gran nome e dal gran fascino.

Proprio questo nipote rappresenta il punto di aggancio tra i modi antichi dei palazzi e dei comportamenti nobiliari con le carriere tutte da inventare nel nuovo mondo che si è improvvisamente prefigurato, dove tutto viene ora calcolato in base al valore economico e mai in base alla bellezza.

La trama secondo questa ottica è avvincente e il film di Visconti ha tradotto in immagini di superba bellezza tutto quel mondo fotografato in quel momento di crisi e di trasformazione. Ma. C’è un ma. Il romanzo non è solo questo.

Tomasi di Lampedusa è stato, come Manzoni, “autore di un solo libro”. Per entrambi nessun romanzo poteva essere scritto dopo I Promessi Sposi e dopo Il Gattopardo. Sono due romanzi nei quali si dice tutto quello che poteva essere detto su una società guardata nella sua totalità di valori, di riti, di scelte morali, di cinismo, di avidità.

Il Gattopardo anche se è la meditazione dello scrittore sulla vita del suo bisnonno e su vicende che erano della sua famiglia, rappresenta al tempo stesso le vicende umane di tante famiglie nel grande teatro della vita. Quegli avvenimenti, mutati i contesti e i dettagli, sono infatti universali. E Tomasi li ha meditati a lungo prima di scriverli verso i sessant’anni. Durante i quali aveva solo letto, di tutto, e gli echi delle sue letture si avvertono in ogni passo. Non è un romanzo storico, o meglio, non è solo un romanzo storico.

 

E’ un romanzo dove l’elemento lirico, descrittivo del mondo esterno al protagonista e quello della natura, fa da contraltare a quello interiore del Principe Salina. Nel protagonista, padre padrone di una famiglia ubbidiente e ribelle nello stesso tempo, alto, biondo, possente nel corpo e nella mente, si fa strada, per tutta la trama, la riflessione sul senso della vita e degli accadimenti, sul suo ruolo nel mondo, sul ruolo della sua famiglia, che guarda con occhi lucidi e mai sentimentali, sugli altri, quasi tutti suoi servitori, cui riconosce tutti i punti di valore, in un “sprezzante misericordia”, perché, questo è il punto: pur non rinunciando alla sua vita,  vede tutti gli altri come nessuno mai vede se stesso e gli altri, esseri umani, quasi dei pupi, con l’unica certezza del destino di morte che li attende.

 

Il romanzo è un lungo “memento mori”, una lunga riflessione sul tempo e sulla certezza della morte, di fronte alla quale ogni gesto insignificante perde anche il più sentito dei valori. Una lunga preparazione alla morte. Le stelle con la loro fissità – il Principe è un riconosciuto astronomo – sono invece qualcosa cui aggrapparsi alla ricerca di una qualche forma di stabilità nei momenti di maggiore dolore, come sono stabili i palazzi e le tradizioni, riconosciute come tali e osservate scrupolosamente dal Principe Fabrizio, proprio perché, nella loro uguale ripetizione, sembrano, almeno momentaneamente, sconfiggere la morte stessa.

E la famosa frase di questo libro che tutti ricordiamo – tutto cambia perché tutto resti uguale – non è che la conferma dell’idea ciclica del tempo, in cui il Potere non viene mai meno e con esso la miseria e la povertà; cambiano gli attori e le classi che si trovano ad esercitare l’uno e l’altro ruolo, ma non il ruolo in sé, nato nella notte dei tempi.  Non c’è posto qui per la religione, per il progresso, per le idee politiche. C’è appena un po’ di posto per il giusto e per la gratitudine, soprattutto nella gente semplice, che ricorda, grata, le onze che arrivavano in soccorso dal Re che stava a Napoli, con le quali si sconfiggeva la miseria di un intero anno.

Solitamente, quando si realizza la trasposizione filmica di un grande libro, è preferibile partire da questo e solo dopo vedere il film.

In questo modo ciascuno di noi immagina il suo Principe Salina, e con lui tutti gli altri personaggi e i tempi e i luoghi. Così si colgono i pensieri profondi che vengono lasciati affiorare nella mente dei personaggi.

Si possono avvertire i toni poetici con cui viene descritta la natura e i suoi odori. Si può cogliere un altro grande protagonista del romanzo, il sole, che acceca e che rende insopportabili i minimi movimenti. Si possono leggere frasi da meditare anche nella realtà di oggi: “La ricchezza, nei molti secoli, si era mutata in ornamento”; “Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia, una rumorosa, romantica commedia con qualche macchia di sangue sulla veste buffonesca”. E il pensiero corre immediatamente alla commedia tragica della guerra che da un anno, imprevista ai più, sta sgomentando la nostra Europa.

 

Potrà la serie di Netflix restituire tanta bellezza? E’ assai probabile che ci riesca.

Kim Rossi Stuart forse è troppo magro ma possiede gli occhi cerulei del Principe. Saul Nanni ha il fisico del ruolo di Tancredi e la bellissima figlia di Monica Bellucci e Vincent Cassel, Deva, probabilmente sarà una stupenda Angelica.

Le serie tv danno un’impronta lenta al racconto e questo può risultare positivo; poi non dobbiamo dimenticare che ci saranno necessariamente dei tradimenti nei confronti della trama del romanzo. Lo stesso Visconti ha chiuso il suo film prima rispetto alla fine del romanzo, che qui non rivelo.

Quando ho riletto il romanzo non volevo più staccarmene. E’ un consiglio spassionato che do anche a voi, gentili lettori. Poi saremo sicuramente più pronti a goderci la nuova trascrizione. Nel frattempo, in tempi di crisi del linguaggio (e soprattutto della nostra lingua), soverchiato dalle immagini e dalla tirannia dell’inglese, che guida ogni passo della nostra vita nel mondo globale, ci saremo riappropriati di un “magnifico italiano”.

Maria Teresa Perrino, 29 giugno 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

Maria Teresa Perrino

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