I filari sulla destra scorrono veloci. Così veloci che non riesco a distinguere quali alberi siano. Se peri o albicocchi o viti, che un tempo le riconoscevi perché erano maritate e invece oggi sono sole anche loro e si confondono, da lontano. Miope sono sempre stata e la velocità di questa Freccia che deve anche recuperare un po’ di ritardo non mi aiuta di certo. Tutto è verde, e metamerico. Scandito dal rumore del treno che oggi è moderno, meno forte, ma ritmico e cadenzato se lo sai sentire.
Anche perché di fianco due amiche continuano a raccontarsi. Parlandosi sopra, ciascuna ansiosa di dire e di ascoltare, nell’urgenza perché sono così poche le occasioni di sfogarsi senza sembrare lagnose o vittime. E avere qualcuno lì che ti ascolti è un dono da non sprecare. Perché saper ascoltare è un’arte, più di quella di domandare. Ascoltare e osservare sono il segreto per conoscere l’altro.
Ascoltare è la capacità di interpretare i silenzi che parlano e certe volte gridano che per questo li chiamiamo assordanti. È la capacità di leggere tra le righe composte di una frase ben costruita con i soggetti e i predicati al posto giusto ma che in realtà sono sbagliati perché non è là che vuoi stare.
È la capacità di scompaginare rime baciate che ormai sono l’unica cosa che si bacia nella tua vita. È la capacità di trasportare quel racconto nel mondo come una piccola sineddoche, un particolare che racchiuda l’universale, capace di creare comunione e comunanza, senza solitudini feroci a ferire sentimenti già feriti e dove lei aiuta lui che aiuta lei che aiuta me.
Come se ce ne fosse bisogno, e forse ce n’è in questo mondo che ci vuole perfetti. In questo mondo che ci induce, noi conniventi, a comportarci come se dalla mattina alla sera dovessimo star lì a giudicare gli altri, chissà con quale autorizzazione, autorevolezza e autorità, o ad essere giudicati e quando non lo facciamo è solo perché non vogliamo che qualcuno ricambi nei nostri confronti.
Un do ut des funzionale, un altruismo de’ noantri o sui generis, se vogliamo continuare con il latino. Invece giudicare è un pessimo esercizio che più che altro racconta di chi giudica, se non è il suo mestiere.
Racconta di chi sposta l’attenzione per non parlare di sé perché è più gustoso parlare degli altri, è più facile individuare le pagliuzze delle travi. È meno doloroso analizzare le ferite degli altri indossando vesti da prefiche piuttosto che leccarsi le proprie rischiando di sembrare deboli.
E poi, osservare. Con attenzione e discrezione, piccolo esercizio di poesia e di grazia, senza necessariamente scavare dentro occhi che sappiamo essere lo specchio dell’anima e nelle anime si guarda con rispetto e si entra in punta di piedi, ma solo se si è ricevuto il permesso. Osservare ci permette di comprendere i sentimenti veri dell’altro, cercando la congruenza rispetto a quello che ci dice.
Ci permette di tradurre in emozioni quello che appare, andando oltre quello che appare, cercando essenze e verità senza che l’altro si senta costretto a confidare cose che magari non trova le parole ma vorrebbe che qualcuno capisse da solo. Perché certe volte parlare è davvero fatica.
E queste due amiche sembrano sapere tutto questo e parlano e si rispondono e dicono e tacciono ascoltando. E si toccano, si avvicinano, una tocca i capelli all’altra e poi ridono e guardano lo stesso telefono e condividono una cuffietta per ascoltare della musica forse, ciascuna un auricolare.
E tra qualche anno non ricorderanno il narcisista manipolatore di cui una delle due si lamenta, ma le loro mani intrecciate sul tavolino della Freccia, che ha recuperato il ritardo e mi ha regalato questo pezzettino di bellezza.
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Sottoscrivo ciò che ha scritto e sono un'uomo molto ma molto vicino alla donna.
Che come provocazione se una giovine donna decidesse di togliere le tubu le chiederei io nel mio corpo.