La distanza fra Carta dei diritti e Prassi: quanti secoli ancora per le donne?

Abbiamo appena festeggiato la Festa della Repubblica, alcuni quotidiani hanno ricordato ai cittadini italiani distratti da tante vicende, non ultime quelle della crisi mondiale energetica e politica, che le donne andarono a votare circa settanta anni fa con l’entusiasmo di essere state finalmente ammesse alla partecipazione attiva alla vita politica.

Tanto che le donne elette nella Costituente si possono definire giustamente Madri della Costituzione, accanto ai più citati Padri costituenti.

Tuttavia, nella cronaca, prendiamo atto che nell’arco di due soli giorni sono state assassinate due donne, una ragazza con il suo bambino nel grembo e una poliziotta, il cui assassino si è a sua volta suicidato.

Nel nostro Occidente le donne vivono una stagione di libertà inimmaginabile in altri contesti geopolitici, fa notare un commentatore in tv. E questo non va certo dimenticato né trascurato. L’inarrestabile cammino verso la pari dignità in ogni settore della vita sociale trova riferimento nel diritto e nelle sue applicazioni concrete, laddove richieste ed accertate.

Ma altrettanto concretamente occorre ammettere che la prassi nella vita quotidiana vede ancora l’incompleta affermazione di quei diritti.

Non si può ancora dire una parola definitiva delle ultime due generazioni, se cioè sono riuscite a colmare la distanza nella libertà dei comportamenti fra maschi e femmine.

Certo esistono ancora delle limitazioni potenti ai movimenti delle donne. Ci si muove da sole, perché no? ma sempre con la fiducia guardinga che non capiti nulla di nuovo se si attraversa una via poco frequentata, se si esce da un locale a mezzanotte senza compagnia. Nei piccoli centri le ragazze in giro la sera sono le più giovani, in compagnia di una comitiva composita, dove sembra essersi azzerata la tradizionale divisione fra amici maschi e amiche femmine.

Tutto questo è vero. Ma che cosa avviene a una donna sola nel concreto? Una rischiosa libertà di spostamenti e di movimenti che volessero essere in piena autonomia.

La maldicenza, che spesso accompagna il semplice prendere aria, soprattutto nei piccoli centri, dove il maschio occupa la piazza, l’agorà, lo spazio pubblico, con quelle sedie che delimitano il territorio nel più elementare schema antropologico, e dove alle donne è dato solo di passare, per raggiungere le sedi che maggiormente le si confanno, una per tutte, la chiesa, ridotta spesso a pratica di incontri sociali molto più che spirituali.

E allora diventa difficile stupirsi se dall’inizio di questo 2023, in non troppi mesi, più di quaranta donne sono state uccise dai loro compagni di vita.

I quali non accettano la parità nel campo affettivo, dimostrando che persiste, invasivo anche nelle più giovani generazioni, il concetto del possesso del corpo e dell’anima femminile.

Se l’uomo è stato nei secoli ed è ancora considerato cacciatore, alla donna spetta solo il diritto di essere una preda. Con l’inevitabile sgozzamento finale. Nonostante tutte le leggi questa è la realtà empirica per chi osserva da vicino la morale vigente.

Il ‘secolo breve’ – come è stato definito il Novecento – ha visto nella sua seconda metà una accelerazione in tutte le manifestazioni della vita sociale e nei primi anni del terzo millennio l’accelerazione è diventata quasi spaventosamente incontrollabile e tuttavia occorreranno molte generazioni ancora prima che gli omicidi al femminile – i femminicidi, che sono la cartina di tornasole dei cambiamenti nei rapporti fra i due sessi –  affronteranno una parabola discendente, come dimostrazione di una reale raggiunta parità.

Maria Teresa Perrino, 3 giugno 2023

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