“Grazie Tina Turner, un po’ di noi lo dobbiamo a te”
“Mamma, è morta Tina Turner”. Il silenzio all’altro capo della fibra è eloquente. “Ho visto”, mi dice, e intuisco un dispiacere oltre l’ammirazione per la cantante che apprezzi.
È che negli ultimi due anni sono mancate diverse sue amiche e allora penso che magari questa brutta notizia la colpisce perché è un’altra di loro che va via, di quella generazione capace di attraversare anni che sono parsi ere geologiche a noi figli, figuriamoci a loro che sono nati quando il dna ancora lo dovevano scoprire e adesso lo manipoliamo.
Ma per lei non era solo una sua coetanea, era un simbolo iconico come per tante donne, e i simboli ti rimangono nel cuore, toccando corde sensibili e infondendo coraggio. Magari anche solo per condividere battaglie.
Io ad esempio Tina Turner l’ho vissuta così, all’inizio attraverso mia madre. Che mentre sperimentava, inventandole, ricette per il suo ristorante canticchiava le canzoni di quando era più giovane.
Alternava i Dik dik a Gianni Morandi, Caterina Caselli a Peppino di Capri. Julio Iglesias a Renato Zero. Che può sembrare strano, ma a me piace assai questa cosa e la ringrazio. Perché mi ha insegnato che la bellezza non ha confini né definizioni e non la rinchiudi in nessuno schema. Tutto è bello se ti piace.
E poi, lei. Tina. Con quei capelli fantastici e quelle gambe da ragazza, strizzata in certi tubini di pelle nera, con i tacchi alti e il rossetto rosso. Con le minigonne e gli spacchi inguinali. Tina, che aveva braccia che non facevano l’effetto vela neanche a ottant’anni, e sul palcoscenico aveva quel modo tutto suo di cantare parlando. Che abbiamo sempre vista ridere e mai sorridere. Che cantava Proud Mary anche quando il marito la massacrava di botte un giorno sì e l’altro pure. Quando le versava il caffè bollente addosso e le sferrava pugni sugli occhi, fino a quella notte in cui è fuggita.
Che si è risollevata dalla povertà nella quale era sprofondata dopo il divorzio perché lui le prendeva tutto il denaro prima e aveva cercato di tagliarla fuori dal mondo della musica dopo. Invano. Che scriveva i testi delle sue canzoni, e che si riprendeva la sua vita piano piano, cercando di dire sommessamente che le donne devono denunciare le violenze che subiscono.
Che poi ha ritrovato l’amore, capace di donarle un rene, quando si è ammalata. E che le scriveva lettere d’amore anche dopo trenta anni di vita insieme. Che ha perduto i suoi due figli naturali, nel dolore delle malattie.
Tina, che ha duettato con tutti. Con David Bowie e con Beyoncé. Con Mike Jagger e Rod Stewart. Con Eros Ramazzotti e Eric Clapton. E sempre con la stessa grazia e professionalità chiacchierava con Pippo Baudo. Con Elisa. Alla quale consigliò affettuosamente di continuare a scrivere e a prodursi i brani da sola, lei che era vissuta in un’epoca in cui le donne combattevano per i diritti umani.
Che è caduta e si è rialzata, che non si è fermata per età, per condizione o perché il momento era troppo complicato. Che ha scelto il buddismo perché le dava pace, sostenendo però che la fede va oltre le religioni, e ha vissuto ogni giorno pensando che siamo più forti di quello che la vita ci mette davanti.
E allora la ricordiamo per tutte queste cose certo, e per le canzoni che cantava con una voce inconfondibile, ma anche per la forza che le riconosciamo e che le ha permesso di non sentirsi vittima nonostante le mille prove affrontate, e la vogliamo ringraziare perché se le nostre madri sono state moderne e ci hanno saputo spiegare la libertà e l’indipendenza è anche un po’ merito suo.
“It’s only love”, Tina, thank you.
Simonetta Molinaro, 26 maggio 2023