StatoDonna, 17 marzo 2023. Se non fosse appena passato l’otto marzo, mi darebbe meno fastidio. Non avrei la sensazione spiacevole della propaganda, quella dei “faremo” dei “si dovrebbe” dei “potremmo”. Quei comportamenti che combattiamo tutti i giorni, ad esempio, quando rimproveriamo la politica, chi solletica la nostra vanità o blandisce le nostre vulnerabilità proponendoci soluzioni adeguate alle istanze che avanziamo, e certe volte anche a quelle che non avanziamo. Ma non perché si vogliono intercettare realmente bisogni e necessità.
Ci arrabbiamo perché sentiamo che l’interesse nei nostri confronti non è autentico, ma funzionale al risultato che loro vogliono raggiungere e questo ci offende e ci fa sdegnare. E promettiamo lotte senza quartiere, reazioni adeguate e conseguenze facilmente prevedibili. Ecco, il mio “dopo otto marzo” è identico a questo.
Tutto quel fiorire di considerazioni, aforismi, frasi motivazionali, auguri, feste della donna, mimose tristi che dopo dieci minuti virano al marroncino esalando un odore che non chiameremo più profumo, tavolate di signore che magari escono sempre ma l’otto marzo è diverso. Tutto questo mi allontana dai motivi reali per cui trovo giusto ricordare quella data. Per cui trovo giusto che si ricordi, ma non solo in quella data. Per cui trovo indispensabile parlare delle donne. Perché parlare porta risultati, non c’è niente da fare. E anche queste che sono riflessioni personali possono avere una ricaduta, avviare conversazioni e confronti.
Ad esempio per me è fondamentale in questo momento storico parlare del gender gap. La disparità di genere, le differenze che esistono tra i generi sotto i diversi profili, e cioè lavorativo, economico, sociale. E allora se sappiamo che serviranno 132 anni alle donne per recuperare le differenze con il genere maschile e arrivare alla gender equality, bisogna che da qualche parte cominciamo se vogliamo anche solo guardare verso l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030, e cioè raggiungere l’uguaglianza di genere attraverso le pari opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione.
Da cosa possiamo cominciare? Intanto, invitando le donne a parlare ai convegni. Ho fatto una ricerca semplicissima, in questi giorni. Ho contato, in tutte le locandine nelle quali sui vari social mi sono imbattuta, la presenza maschile e femminile. Ora, elencarli può sembrare brutto, si può apparire permalose o vendicative. Ma non è così. È dire “Dobbiamo fare meglio”. È chiedere “Possibile che non ci siano donne in gamba da invitare?” Senza nulla togliere agli uomini, sia ben chiaro, perché non cerchiamo guerre, ma pacifiche convivenze.
Ad esempio, se a un convegno di avvocati la proporzione è di 15 uomini e 3 donne, che vuol dire? Che gli avvocati sono più competenti delle avvocate? E se a un convegno di farmacisti abbiamo 14 uomini e 2 donne, di cui una modera? Che significa? Che sono irrecuperabili, dice una mia amica. Ma ce lo diciamo nel silenzio e nella riservatezza delle chat di Whatsapp, e certo non perché non siamo coraggiose. Semplicemente perché non abbiamo nessun interesse nel fare polemica. Vorremmo che non ci fosse bisogno di sottolineare questo problema, perché vorrebbe dire che il problema non esiste.
Noi non vogliamo essere costrette ad avere quell’atteggiamento che in tanti contestano, da femministe arrabbiate, che poi nessuno vuole ascoltare perché magari sbagliano i modi e per dire le cose tirano fuori slogan antichi e cartelli con immagini discutibili che possono vanificare i seppur giusti messaggi, senza farli giungere ai destinatari interrompendo di fatto prima del tempo un processo comunicativo. Però siamo anche stanchine, eh.
Perché sappiamo benissimo che il problema non è la mancanza di donne autorevoli che possano partecipare ai convegni e alle conferenze. Che possano fornire un punto di vista alternativo che arricchisca una conversazione, un dibattito. E allora ci dovete dire perché non ci invitate, e non provate a dire che non è vero, perché le locandine sono tutte agli atti. Dobbiamo fare meglio, tutto qui. Piccoli passi per un cammino lungo 132 anni, non chilometri.
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