StatoDonna, 8 marzo 2023. La cura. Sostantivo femminile. Anche la grammatica si ribella, il curo non esiste, e la Crusca non farà come con petaloso, non cederà. Signore e signori, sappiatelo è femmina la cura. Ne siamo consapevoli. Con un po’ di rammarico e una certa ansia, anche di prestazione, diciamolo. Rammarico perché non lo troviamo giusto, ma difficilmente e con fatica riusciamo a sottrarci.
Perché ci alziamo la mattina presto per preparare la colazione alla famiglia, e ci dobbiamo ricordare che uno mangia le merendine allo yogurt greco perché lo sport vuole le proteine per la costruzione dei muscoli, un altro invece preferisce la crusca affinché il suo secondo cervello funzioni bene, e poi c’è il latte, che uno lo vuole scremato e quell’altro con il cioccolato. Ci sono i gatti che devono mangiare e bere e avere le lettiere sempre pulite.
E il cane da portare fuori e visto che ci sei butta anche l’immondizia, e magari se riesci prendi un attimo la macchina così porti via anche la plastica e il vetro. Poi tornando ricordati di ritirare la posta che tra poco la cassetta scoppia, ma fai presto perché stanotte qualcuno deve aver spostato i cassetti della biancheria e non trovo i calzini. Tutto questo nei primi trenta minuti appena alzata, che quando guardi le signore sui materassini che fanno il saluto al sole ti viene un’invidia che nemmeno per Monica Bellucci hai provato.
E invece tu sei lì a piegare asciugamani e magari li stiri anche perché così faceva tua madre, che il profumo della biancheria di casa ancora ce lo hai nelle narici e nel cuore, e lo identifichi con il concetto della cura che lei forse, insieme alle donne della sua generazione, viveva con maggiore naturalezza che forse era rassegnazione perché anche lei era cresciuta con una madre che piegava inesorabile asciugamani profumati mentre badava che la polenta non si attaccasse e controllava dalla finestra, scostando la tendina di pizzo che lei stessa aveva ricamato, che il marito tornasse dal bar dove si era fermato arrivando dal lavoro, per fare una partita a carte prima di cena.
Lei invece, dal lavoro era scappata direttamente a casa perché i bambini dovevano farsi il bagno e poi cenare e la nonna, sua suocera che stava in casa con loro, era anziana e più che guardarli davvero non poteva. La cura che ci viene trasmessa per via materna, che non ci viene insegnata ma instillata, quando abbiamo cinque anni e ci dicono “Bada a tuo fratello” affidandoci un compito infinitamente più grande di noi, che ci accompagnerà per tutta la vita, consegnandoci un senso di responsabilità che si vestirà di volta in volta di abiti differenti. Sarai madre, moglie, figlia, sorella, zia, amica, amante. Sarai tante cose e sempre lascerai un pezzettino di te indietro, per essere quello che il ruolo richiederà. Sarai la roccia alla quale aggrapparsi, sarai il bastone della vecchiaia, la mano tesa che sosterrà, le braccia che stringeranno, le labbra che si poseranno sulla fronte per saggiarne la temperatura. O che baceranno gote paffute e tenere che poi nel tempo diventeranno asciutte e ruvide.
Sarai la pentola che bolle per mettere qualcosa in tavola, sarai la farmacia con i medicamenti adatti e il bacino sulla bua, sarai il salvadanaio che insegna ad aver cura delle cose, a conservare nei momenti di crisi, a condividere quando serve, a festeggiare quando si può, non solo quando si deve.
Sarai alle volte il senso di colpa che non risparmia nessuna. Quando ad esempio lascerai tuo figlio al nido, e a nessuno interesserà che tu lo abbia fatto piangendo e che lo stesso piangerai quando lo andrai a riprendere e lo vedrai dietro alla porta finestra, con le manine attaccate al vetro, proteso come a toccarti.
Oppure quando dovrai fare gli straordinari perché i soldi non bastano mai e la vita costa cara e dovrai cercare qualcuno che te lo tenga. Sarai anche il senso di sconforto quando tuo padre si ammalerà e dovrai scegliere se stare accanto a lui o tornare dalla tua famiglia che deve cavarsela da sola, e si sentirà abbandonata e tu sarai dimidiata, e non starai bene da nessuna parte. E qualunque scelta la sentirai sbagliata perché avrai comunque abbandonato qualcuno.
Sarai anche quel senso di responsabilità che diventerà senso di colpa anche quando, pur essendo vittima di violenza, abusi, maltrattamenti, sceglierai di rimanere in quella situazione, sbagliando, perché ti senti depositaria di un compito più alto del tuo dolore.
La cura. Sarai tu quella cura. Che ti piace essere, sia chiaro. Alla quale difficilmente abdichi, perché ami essere tutte quelle cose. Ami essere mamma, moglie, figlia, sorella, zia, amica, amante. Ami occuparti di tutti, è solo che a volte vorresti condividerne il peso, in certi giorni tristi e stanchi e pieni di solitudine nonostante la casa piena di gente, un ossimoro tra i tanti della vita delle donne.
Non ci dobbiamo sentire in colpa se siamo contente di prenderci cura delle persone alle quali vogliamo bene, nessuna si deve sentire costretta a scegliere di non farlo per sentirsi più moderna. Nessuna deve pensare di rinunciare ad essere una brava madre, una brava moglie, una brava figlia perché questo è comunque il nostro sentire. Piuttosto dobbiamo imparare a chiedere aiuto ai compagni, insegnare l’autonomia ai figli, spiegare ai genitori che abbiamo famiglie nostre. Dobbiamo vivere questi ruoli di cura con una leggerezza maggiore, scegliendoli e non subendoli. E soprattutto imparare a prenderci cura di noi stesse, che ad oggi è forse la cosa che sappiamo fare peggio. Abbiamo cura di noi, ce lo dobbiamo.
(foto in copertina Getty Images)
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