Studi classici: non ho visto ragazzi che pedalano a vuoto
StatoDonna 10 febbraio 2023. Noi, che non abbiamo dato il massimo/ Noi, che non abbiamo fatto il Classico/ Noi, fotocopie tutte uguali, illuse di essere speciali”.
Così cantava Fedez in 21 grammi di felicità per uso personale, alludendo alla Ferragni che il Classico lo ha fatto davvero, e riferendosi al Liceo Classico come scuola classista, il luogo in cui le aristocrazie di oggi, come di ieri, farebbero convergere le scelte dei propri figli.
Una ipotesi possibile quella di un’alta presenza di studenti avvantaggiati economicamente e socialmente, che non tiene conto tuttavia del fatto che tale calcolo trova un campione doppio tra gli iscritti ai Licei Scientifici, come si rileva dai dati Alma Laurea 2016. Anche quest’anno, scaduti i termini delle iscrizioni alle scuole superiori, i giornali nazionali sono tornati ad enfatizzare gli esiti contenuti di iscritti al Classico; si calcola infatti una percentuale nazionale del 6.2 % a fronte del 6.8% dello scorso anno scolastico, su un totale nazionale del 56.6 % di studenti iscritti ai Licei. La regione Puglia è leggermente al di sotto rispetto alla media nazionale, con il 54.9% (dati Miur 4/2/23).
Nella mia bolla social ha trovato molto consenso, rimbalzando per giorni, la metafora di Gramellini sul Liceo Classico visto come una cyclette, qualcosa quindi di cui sfuggirebbe il senso nel mentre la pratichi, ma che prima o poi, sortirà risultati proficui, riproponendo una visione probabilmente legata al suo vissuto, ad un liceo classico che ormai non esiste più.
E questo è un primo spunto di riflessione: dei licei classici si parla o in modo autoreferenziale, parlando della propria esperienza, da collocare cronologicamente in uno scorcio finale del Novecento di solito, o peggio, per sentito dire.
Nella realtà che frequento quotidianamente vedo invece ragazzi che procedono spediti verso i loro traguardi, a volte rallentando, altre volte accelerando, spesso facendo l’andatura al gruppo, a volte stando a ruota; certamente cambiando, crescendo, mese dopo mese, anno dopo anno. Ragazzi che trascorrono la giovinezza pedalando a vuoto non ne ho incontrati.
Trovo anche poco convincenti le affermazioni sull’apertura mentale che lo studio del greco e del latino garantirebbero, come del resto quelle su uno sviluppo di default della logica. Le neuroscienze assicurano che non si tratta di competenze esclusive di alcune discipline soltanto. Sono diversi i percorsi possibili per raggiungere i traguardi che ci si prefigge, e tutti di pari dignità evidentemente.
Alcuni anni fa un fisico, Lucio Russo, pubblicò un bel libro, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista, nel quale rimarcava come questi studi abbiano un forte valore unificante che consente di travalicare quel presuntuoso iperspecialismo verso il quale il panorama culturale tende a spingerci, e che in realtà costituisce l’altra faccia, altrettanto pericolosa, del pensiero globale cui il mondo tende.
L’Italia ha un indiscutibile legame culturale diretto e piuttosto peculiare con la grecità, come con la latinità, e ne è conseguentemente un autorevole custode. Rinunciare a questo significherebbe rinunciare ad un forte valore identitario che ci connota e ci lega a doppio filo con le culture del Mediterraneo, impregnate di pensieri e di immagini d’impianto classicista.
Eppure, in evidente contrapposizione con quelle che sono le nostre radici, in Italia la storia antica è oggetto di studio esclusivamente tra la quarta e la quinta elementare, per lasciare spazio allo studio del Medioevo in prima media, accanto ad una disamina dell’epica classica che andrà a poggiarsi su ricordi certamente sollecitati nelle lezioni, ma ovviamente ormai lontani. Non si capisce quindi sulla base di quale stimolo, se non di natura familiare o più raramente personale, un ragazzino dovrebbe maturare un interesse verso gli studi classici. Lo scollamento, quindi, deriva anche (e soprattutto) dalla successione negli anni di riforme frammentate dei diversi segmenti scolastici. Risale al 2017 uno studio per il quale, incrociando i dati dell’Anagrafe Nazionale Studenti con i dati Invalsi relativi allo studio del contesto socio-culturale degli studenti, si documentano gli effetti disorientanti di un sistema scolastico che addirittura spingerebbe verso i licei solo quegli studenti nelle cui famiglie vi è almeno un genitore laureato.
Ad un tredicenne, invece, oggi il Liceo Classico sa garantire una preparazione ad ampio respiro, con un progetto educativo che mira a condurre ciascuno verso sé stesso.
Lo studio delle lingue antiche, il greco e il latino insieme, produce un solido supporto verso la formazione della persona, verso la crescita del giovane inteso come individuo unico ed irripetibile, come pure induce all’esercizio costante del dubbio, alla necessità di riconsiderare, rivedere, rivalutare, rendendo ciascuno persona capace di affrontare i cambiamenti, positivi o negativi che la vita pone davanti; riconoscere nelle pagine degli antichi cosa significhi essere uomo, che valore attribuire al tempo ed alle sue sfaccettature, al senso profondo del vivere, o dove sia nascosta la felicità, e ancor più come si affronta il dolore. Il confronto con la classicità garantisce un passepartout per affrontare i propri limiti, le proprie variabili.
Strumento affatto secondario è quello che scaturisce dallo studio prettamente linguistico, perché nell’individuare i cardini delle lingue antiche determina il senso tondo della parola, dell’espressione linguistica contemporanea, producendo pensieri compositi con i quali affrontare la complessità del vivere nel terzo millennio. Saper usare le parole adatte, riconoscere le sfumature proprie di un linguaggio, produce una naturale disponibilità al confronto con l’altro, con il diverso da sé, limitando quei processi di polarizzazione delle posizioni sempre più diffusi in una società che accetta malvolentieri il pensiero divergente. Un approccio mentale che dopo gli studi può trovare nuove applicazioni nei diversi ambiti disciplinari o lavorativi, determinando inevitabilmente anche una disponibilità all’ascolto dell’altro, abilità anche questa che va del tutto scomparendo. E mentre il mondo evolve velocemente, ed un computer diventa reperto archeologico, Euclide, Pitagora, continueranno a parlarci comunque nella loro lingua madre, che è anche uno dei presupposti della nostra.