A metà fra lady Oscar e l’uomo perfetto, altro che cultura di genere

StatoDonna, 3 febbraio 2023. Sono una donna di cinquantatré anni e sono arrabbiata. Lo devo dire. Sono arrabbiata con questa cultura nella quale siamo cresciuti, noi figli di Lady Oscar (una povera ragazza che finge di essere un soldato perché “il buon padre voleva un maschietto, ma ahimè sei nata tu”) e “l’uomo che non deve chiedere mai”. Sono arrabbiata con questo patriarcato che ci ha nutriti e allattati perché anche le nostre madri hanno avuto il loro ruolo, diciamolo, non solo i nostri padri venuti su con la convinzione di essere più meritevoli, più importanti, più intelligenti, più autorevoli. Più tutto, insomma.

Maschi abbeverati alla fonte del dominio e della violenza. Che è una cosa difficile da dire. Prima ancora da realizzare, perché è durissimo prendere le distanze da chi ami e continui ad amare, figure che diventano simboli anche quando magari erano diversi e forse proprio per quello ti sei accorta di quello che succedeva nel mondo intorno. Genitori che ti spingevano a studiare, a ragionare con la tua testa, a lavorare. Cercando di allontanarsi da atteggiamenti che riconoscevano essere sbagliati e a volte ci riuscivano e a volte no, ma ci provavano. E comunque devi prendere le distanze da quella cultura lo stesso.

A pronunciare certe frasi, poi, si viene guardate con sospetto, con commiserazione anche. “Femminista” ti dicono a mezza bocca, cercando di sminuirti mentre ti chiamano “quota rosa” come se esistesse una sola donna al mondo cui piacciano. Come se non fosse un male necessario per cambiare pratiche obsolete, usanze discutibili. Come se avere pluralità di voci e punti di vista differenti, il maschile e il femminile, non sia un indispensabile passo in avanti sulla strada della civiltà ma un vezzo, e magari anche con una connotazione politica. Come se non fossero delle moderne forche caudine attraverso le quali passare per lasciare alle proprie figlie e alle proprie nipoti un mondo migliore. E guai a chi, donne e uomini, dice ” Ma io sono per il merito”.

Chi ha mai detto che bisogna mandare avanti chi non vale? Di donne eccelse ce ne sono miliardi, bisogna solo scegliere bene. E le donne che riescono a sfondare quei famosi soffitti di cristallo hanno il dovere di aiutare quelle che non ce la fanno, o quelle che mai avranno, per qualunque motivo (certo non per scelta personale consapevole) la possibilità di farlo. Affermare di avercela fatta perché brave è offensivo per chi, pur bravissima, magari più di loro, non riesce. Perché la vita è fatta anche di occasioni, di possibilità, di incontri giusti, di tessere che si incastrano bene. Tessere, anche in senso lato, togliamoci l’ipocrisia di dosso che ci fa male. E questo non vuole assolutamente dire che chi ce la fa è perché ha la tessera di un partito o le conoscenze giuste, no. Ma dobbiamo riconoscere che nascere in un certo posto, poter studiare, frequentare certe università, incontrare insegnanti competenti…queste si chiamano variabili e fanno la differenza.

Mi piace pensare che le donne comprendano che bisogna aiutare chi rimane indietro e sostenersi reciprocamente monitorando le istituzioni e il legislatore per evitare antipatici passi indietro, ad esempio per non vedere scomparire riferimenti alla Certificazione di Parità di Genere dallo schema del decreto legislativo recante Codice dei Contratti Pubblici, per dire. Senza dimenticare la questione economica nuda e cruda, conditio sine qua non per emanciparsi. Perché quando impariamo che la violenza è trasversale e democratica, dimentichiamo di leggere il sotteso. E cioè che liberarsi dalla violenza non è per tutti. Una donna senza mezzi economici avrà molte meno possibilità di salvarsi.

Eppure se fossi un uomo di cinquantatré anni, sarei ancora più arrabbiato. Perché mi sentirei derubato della possibilità di emozionarmi. Mi sentirei defraudato del mio diritto di vivere liberamente e senza essere giudicato. Perché un bambino privato di questo, mi chiedo, quanta fatica farà nella vita per essere se stesso fino in fondo? Come farà a costruire relazioni adulte e consapevoli, nelle quali ciascuno ha un proprio ruolo, nel rispetto della reciprocità, della coppia e della famiglia? Perché deve sentirsi condannato a ricoprire ruoli che sono stereotipi richiesti, sostenuti, tramandati? E cosa succede se uno vuole prendere le distanze da questo? Se non ha voglia di essere maschio duro e puro? Di esternare qualcosa di diverso rispetto alla rabbia, unica concessione e boomerang devastante.

Se si vogliono vivere le emozioni senza sentirsi giudicati, né dalle donne che subiscono i retaggi del passato, né dagli uomini che da quello stesso passato non riescono a prendere le distanze. Ma magari vorrebbero. E tutto questo lo penso perché ho molta fiducia nei giovani, meno imbrigliati in questa cultura, sicuramente avvantaggiati da famiglie che magari con fatica, a piccoli passi, riescono a modificare cose sbagliate. Ma anche facilitati dalla maggiore conoscenza, rispetto al passato, di diritti e possibilità. Dall’uso sapiente degli strumenti a disposizione, grazie ai quali si raggiungono persone e addirittura comunità con le quali confrontarsi. Da letture diverse, da inclusività consapevole, da prese di coscienza scevre da giudizi.

Parliamo in generale certo, perché sappiamo benissimo quanto sia presente una certa cultura violenta basata sull’alterità, ma questo è un altro discorso, qui parliamo di maschi vs femmine. E qui io registro che si dà più spazio alle emozioni. I ragazzi di oggi fanno outing. Non di gusti sessuali, o non solo, almeno. Parlano di amore, di sentimenti, piangono e gioiscono, accorciando le distanze tra loro e le ragazze con le quali costruire qualcosa. E mi dispiace, ma sono giovani migliori sotto questo aspetto.

E non permettiamo a nessuno di pensare che rifiutare questo patriarcato violento, questa idea sbagliata di essere maschi spinga gli uomini ad essere “femmine”. La risposta non è sempre nel mettersi frontali, nel dualismo. Le donne stesse devono rendersi conto che è sbagliato ragionare nella contrapposizione, e i maschi non sono nemici per definizione. Educare nella valorizzazione e non nel giudizio delle differenze è saggio, e ce ne sono tante di famiglie che lo fanno. Tante.

Il problema non è educare i ragazzi. È educare quelli grandi. Quelli che non sappiamo come raggiungere e quando ci riusciamo non c’è un linguaggio comune riconosciuto, grazie al quale confrontarsi con tranquillità. Per moltissimi di loro la modalità comunicativa è ancora la violenza, e per la stragrande maggioranza di questi è impossibile riconoscere modalità alternative, perché quella è l’unica che conoscono. Comportarsi in quel modo è esprimere se stessi, frutti di culture mai messe in discussione e difficili da abiurare perché questo comporterebbe anche perdere quel potere, quel dominio di cui ci si sente depositari per definizione e per convenzione. Ci vuole molta forza, e molto coraggio. Ma i maschi sono coraggiosi, ce la possono fare. Forse però devono chiedere l’aiuto delle donne, e queste non possono tirarsi indietro.

(in copertina una foto di reportorio da Donna.it)

Simonetta Molinaro, 3 febbraio 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Simonetta Molinaro

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Simonetta Molinaro

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