StatoDonna, 14 gennaio 2023. Si chiama “Effetto Lipstick”, ed è quella suggestione secondo cui immediatamente prima, durante e dopo una crisi economica ci sia una tendenza ad acquistare beni superflui dal prezzo accessibile, come prodotti di bellezza appunto.
E così il rossetto acquista una valenza economica mica da ridere, diventando un indicatore di malessere, nel senso che le impennate nelle vendite denunciano che qualcosa non funziona e si sente il bisogno di certi beni rifugio. Beni in cui si cerca un rifugio sui generis e totalmente personale che se, evidentemente, non può essere economico ha però una funzione importantissima, che è quella di farci stare meglio, e presto anche. Ricorrere ad una bellezza pret à porter, capelli puliti e bocca fresca prima di tutto, ha un potere taumaturgico immediato, ri-stabilisce una connessione con se stessi e stabilisce una sintonia con il mondo, perché è vero che l’abito non fa il monaco, ma è anche vero che la cura di sé è una delle prime cose che viene a scemare nel soggetto depresso.
Non si ha più la voglia di lavarsi, di essere presentabili non solo al mondo ma anche a se stessi. Uno stato abbandonico continuo, è dire “se non piaccio a me stesso, come posso piacere agli altri?” e il non essere presentabili diventa un alibi per chiudersi sempre più. E ritrovare invece il desiderio di bellezza è indicatore di un miglioramento. Perché sentirsi a posto ci aiuta a trovare un posto.
A ritrovarlo se lo avevamo perso, a riconquistarlo se qualcuno ha provato a mandarci via, a modificarlo se ci accorgiamo che ci stiamo stretti o troppo comodi perché siamo cambiati, ma dobbiamo essere contenti lo stesso perché magari le cose non sono andate come avevamo immaginato o sperato, ma sono andate. E ci sono le nostre tracce lì sopra. Il nostro sudore, le nostre lacrime, il nostro sangue. I lividi di quando siamo caduti, le abrasioni di quando ci siamo tirati su. Le ferite da difesa di quando le abbiamo prese e le nocche sbucciate di quando le abbiamo date. La stanchezza felice di quando trascinavamo valigie cariche di meraviglia, partendo per viaggi che non avevano confini nemmeno geografici, o quella frustrata di quando ci si doveva fermare un po’, perché tanto capita a tutti prima o poi.
E allora facciamo diventare il rossetto un indicatore di benessere, un segnale di speranza, la volontà di farsi trovare pronti, di essere pronti. Di ritornare a esserci, meglio di prima. Diamogli un valore in più di una semplice risposta neurobiologica che ci garantisca la sopravvivenza, intanto perché a noi piace “vivere” e non “sopravvivere”, e poi perché vogliamo anche prendere le distanze da certe derive un po’ primitive secondo cui dopo una crisi si vuole essere più belle per procacciarsi un compagno. Una cosa che magari potrebbe piacere ai nostalgici, meno a noi che vediamo nel rossetto poca dietrologia e molta voglia di futuro, di fare, di partecipare attivamente. E sono belle queste labbra colorate che regalano di volta in volta sensualità, o buonumore, o semplicemente un aspetto sano e tutto questo non toglie un micron all’intelligenza, alla cultura, alla competenza, all’autorevolezza.
Se le si possiedono, chiaro. E la scelta di adoperarlo è dignitosa e rispettabile esattamente come quella di chi decide di non utilizzarlo, ha lo stesso peso. Una scelta, appunto. E tutto quello che scegliamo va bene se ci fa stare bene.
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