Ogni storia d’amore ha la sua bellezza e le sue ombre da cui ripartire

0

Foto: wallhere.com

StatoDonna, 8 gennaio2023. È sempre stata bellissima. Un viso perfetto, sapientemente truccato perché non è che fai l’artista a caso. La scultrice, prevalentemente, per la precisione. La bellezza il suo lavoro. Elegantissima, agevolata dalla disponibilità economica che quando ci nasci ricco lo vivi in maniera naturale e i soldi, se sei intelligente, non sono un motivo di vanto ma solo un modo per fare cose, anche per gli altri. Magari in silenzio, nel nascondimento, che mica è sempre necessario autocelebrarsi su Instagram e se vieni cresciuto nella cultura de “chi si vanta da solo non vale un fagiolo” sai quando fermarti.

Erano comunque altri tempi e lo sdegno per le pellicce era ancora lontano e i visoni quasi non lo sapeva nessuno che fossero anche animali, figuriamoci lo zibellino e l’ermellino, che venivano presi in considerazione solo quando si giocava a nomi, cose e città, e un punto faceva la differenza. Arrivava sui tacchi, con la sigaretta tra le dita e le unghie rosse, che se le faceva a Roma, dai truccatori del cinema, quando andava a trovare il suo fidanzato che faceva l’attore ed era tanto bello quanto insostenibile, con quella faccia che si credeva Giancarlo Giannini senza esserlo, e quando scendeva lui in Puglia era tutta una critica, che una volta glielo chiesi anche. A dieci anni te lo puoi permettere e la mia domanda innocente “ma se non ti piace niente qui, perché ci torni?” morì tra l’imbarazzo di mamma e gli occhi sbarrati di mio padre che si soffocava con i peperoni per non ridere. E la risata di lei, forte e roca, e la sua voce che gli diceva “rispondi, dai” e lui, che aveva dei problemi evidenti con ironia ed autoironia, sproloquiava su certi bambini maleducati e altri disastri.

Ma siccome lo conoscevano tutti, intorno a quel tavolo, gli ridevano in faccia e alla fine rideva pure lui, e mi tirava i codini e io lo odiavo. Come l’ho odiato quella volta che hanno litigato e si sono picchiati e Olga era arrivata con un occhio nero. Lei e mamma si chiusero in bagno e a me diedero la consegna del silenzio, che rispettai liturgicamente e quella è stata l’unica volta in quarantadue anni che hanno discusso, e non sentivo bene quello che dicevano, e capivo solo “denunciare” e “lascialo” ma tutto dava senso a quel disagio che sentivo.

Alla fine la lasciò lui, dopo averla tradita enne volte, dove enne è un numero compreso tra cento e duecento, e qualunque risposta è giusta. E senza dimenticarsi di offenderla, che per fortuna però Zuckerberg non era ancora nato e almeno il cyberbullismo se lo è risparmiato. E lo stalking poi, derubricato a scaramucce tra fidanzati gelosi, feriva nel disinteresse dei più. E poi arrivarono altre storie, ma tutte vissute con uno spirito di incompiutezza, di limiti imposti. Ricercava soggetti che ricordavano, quantomeno nell’atteggiamento, l’Innominabile, che diventò presenza fantasmatica e termine di paragone quando si voleva citare qualcuno pessimo. L’unica cosa che ne trasse beneficio fu la sua produzione artistica, che diventò piena di figure femminili dallo sguardo affranto e sognante e tutte si rispecchiavano ed erano veramente poche le case dove non trovavi una sua opera, originale o scopiazzata da qualche allievo ispirato o da colleghi senza fantasia.

Ma di lei restava l’ombra. La risata era spenta e le relazioni sociali anche. Si è trascinata per anni al lavoro, che forse è l’unica cosa ad averla veramente salvata. Essere costretta ad essere bella, lei che di bellezza letteralmente viveva, ha impedito che cedesse alla depressione e oggi che conosciamo la malattia più di prima sappiamo che è stata fortunata. Passare a trovarla è entrare in un laboratorio perenne, anche oggi che è in pensione e comunque c’è sempre qualcuno che bussa per un saluto o un caffè, che lei non sa fare, ma la caffettiera è a disposizione di tutti. L’ultima volta, aspettando che il caffè uscisse, io lei e mamma abbiamo fatto un giro per casa, tra opere iniziate e mai finite, prove d’artista, esercitazioni, bozze. Arazzi di seta dipinti a mano libera e statuette ammiccanti. E dietro una porta è sbucato lui, con quel sorriso che oggi mi pare affascinante e il Borsalino che era un po’ la sua firma.

“Me l’hanno chiesto in tanti, questo quadro, ma è l’unica cosa che me lo ricorda” . Me lo ha detto con una strana noncuranza e un po’ sono tornata indietro. A certi silenzi improvvisi durati giorni, a certi viaggi da sola per riflettere, all’assoluta mancanza di vita sociale, se non fosse per quei tre giorni alla settimana a scuola. Al fatto che ad un certo punto avesse smesso di nominarlo e a nessuno a casa mia fosse sembrato strano. Da cento a zero in sette secondi. Ho guardato mia madre che ha distolto lo sguardo e ho capito che lei sapeva e per questo non si preoccupava quando spariva e non la cercava mai, aspettando che fosse lei a farsi viva. E mai una parola, un giudizio, un commento.

E le ho guardate, ammirata per questo sentimento forte tra loro, e un po’ dispiaciuta per esserne stata tenuta fuori. E ho guardato lei, che oggi ha ottant’anni e ha speso la sua vita per l’arte e per l’amore. L’arte per amore dell’arte e l’amore per amore dell’amore. Lei che ha capito quanto l’amore sia un atto di fiducia. Un salto nel buio. Una mano tesa al di là di un muro che non sai cosa nasconda alla tua vista. Un tuffo in un mare nero di cui non vedi il fondo. Ha capito che l’amore nasce quando ci si affida a qualcuno senza sapere cosa ne sarà di noi. Cosa ne farà. Se sarà per sempre, se sarà per poco o per niente. Se sarà un amore leggiadro o avrà il peso greve del sentimento non ricambiato, quello che si poggia come polvere vecchia sul nostro cuore. Se riderà sbilenco e sgangherato, cantando, o sarà un sorriso tirato e a mezza bocca. Non lo sappiamo e non lo sapremo se non correremo il rischio.

Serve coraggio allora per amare e per essere felici, che è ciò che all’amore chiediamo. Un atto di coraggio per nascere e per crescere. Nell’amore e per l’amore. Con le sue forme sempre differenti, i suoi colori mutevoli, la sua vita propria. Senza regole perché così è l’amore e ogni amore è una storia a sé, e ogni storia ha la sua bellezza e le sue ombre e dà lezioni di vita su come non ci si debba fermare mai e su come si possa ricominciare e ricostruire e reinventare anche se tutto sembra improbabile e finito e doloroso. Ma l’amore vince sempre e noi questo vogliamo e in questo crediamo. Anche di certe storie incomprensibili, che guardarsi allo specchio è un deja vu.

Simonetta Molinaro, 8 gennaio 2023