Stato Donna, 20 dicembre 2022. Pensavamo che il 2022 si potesse concludere senza che un’altra donna venisse ammazzata, invece quello di Giovanna Frino è stato il primo femminicidio dell’anno in provincia di Foggia. Nulla sappiamo di questa famiglia, se non alcune voci che partono dai social e da qualche frase dei vicini di casa, ma non si sa bene chi. Una sorella di Cerignola che, sulla bacheca facebook, avrebbe rilevato alcune intenzioni della vittima, quella di tornare dalla sua famiglia, appunto a Cerignola, lasciando il marito Angelo Di Lella. Che quest’ultimo avrebbe avuto problemi di lavoro, avendolo perso da diversi anni.
È vero? Se ne stanno occupando gli inquirenti. Intanto, come Stato Donna, non smetteremo mai di parlare delle donne uccise, dei femminicidi, e di quell’unica maglia, anche poco visibile ma che esiste sempre, per uscire da una famiglia che può diventare una trappola.
Non solo per Giovanna ma per tutte le donne, a prescindere dai singoli contesti. Ne abbiano parlato con Simonetta Molinaro, che collabora con noi a Stato Donna, criminologa forense. Ha seguito vari casi di femminicidio di cui ci racconta, anche, alcuni particolari raccapriccianti a proposito dei modi in cui gli uomini spesso uccidono le donne: “Accanendosi, colpendo la parte alta della persona, il cuore, la testa, perché vogliono annullarle, cancellarle”.
Che è molto importante eseguire controlli scrupolosi al momento di concedere o rinnovare i permessi di detenere armi. E se la famiglia ritiene che possedere un’arma sia pericoloso nel contesto in cui vivono, bisogna che lo segnali alle autorità.
Quando si verificano questi eventi terribili, la maggior parte delle volte nell’immediatezza, parenti amici vicini di casa si dichiarano increduli, parlano di famiglie normali, e sostengono che nulla facesse presagire un esito di questo tipo. Ma nei giorni seguenti emergono altri scenari, ciascuno diverso, ma con denominatori comuni. Ad esempio succede spesso che una famiglia viva un equilibrio reso precario dalle difficoltà nel lavoro e dai conseguenti problemi economici e naturalmente familiari e relazionali che ne derivano, in un susseguirsi di situazioni difficili da fronteggiare. Così avviene che una famiglia diventi fragile.
E in un contesto delicato, si sottovalutano i segnali, che ci sono sempre. Si silenziano, e la casa in cui ci si chiude- spesso per vergogna degli altri, per non far preoccupare i genitori anziani, i figli che studiano fuori, quelli più piccoli- diventa una cassa di risonanza del malessere che resta, con esiti devastanti, fra le quattro mura.
Perché il “maschio” che perde il lavoro si sente inadeguato, frustrato e accetta difficilmente di dipendere economicamente dalla compagna, e questo è un discorso culturale difficile da sradicare. Sente di non avere più il controllo, non è più quello che porta i soldi a casa, e paradossalmente aumenta il suo senso di possesso nei confronti di quella stessa donna che sente sfuggire dal suo dominio, secondo una schema ereditato da un patriarcato duro a morire. E se la donna si ribella, inizia la violenza.
Se la donna viene minacciata e sente il pericolo per lei e per i suoi figli deve rivolgersi alle istituzioni. Al questore, che può dare un ammonimento. Non deve aspettare e nemmeno cercare di ricucire situazioni ormai compromesse.
Tornare a casa è molto difficile. E può diventare pericoloso. E questo è uno dei motivi per cui le donne fanno fatica a denunciare. Si può chiedere l’allontanamento di lui dalla casa, ma non è facile. Oggi grazie al Codice Rosso i tempi si sono accorciati, ma è essenziale non essere sole in questo percorso. Rivolgersi ai centri antiviolenza del territorio può essere utile.
Spesso le donne non denunciano per vergogna, perché magari abitano in un centro piccolo dove ci si conosce tutti e andare in caserma può risultare complicato. Allora la soluzione potrebbe essere andare a denunciare in un paese vicino, in maniera tale da temere di meno il giudizio degli altri che però non deve mai essere un deterrente alla denuncia.
Non sempre. Lui potrebbe minacciare anche la famiglia, e questo potrebbe diventare motivo di ricatto per costringere la donna a tornare nella casa coniugale. Se si decide di rimanere o di tornare o di far rientrare lui, o magari si sta cercando un posto dove andare, bisogna assolutamente evitare atteggiamenti che fanno sentire l’altro giudicato o, peggio, provocato perché in un equilibrio precario, sono frequenti gli eventi precipitanti.
Quindi lucidità nel cercare di organizzare la propria vita, chiedere aiuto, non subire, certo, però nel frattempo evitare, appunto, atteggiamenti che possono essere il risultato di un attimo di impulsività per una donna stanca, esasperata, spaventata.
No, mai, perché la situazione non può che peggiorare e, a quella precedente, si aggiunge quello che lui considera “uno stigma”: ecco mi ha lasciato e io non lo posso permettere. O mia o di nessuno. E mai accettare un ultimo appuntamento chiarificatore. Mai.
Lo schiaffo può anche non arrivare mai. La violenza inizia sempre subdola, e bisogna imparare a riconoscerne i segnali. Quando lui parla senza che lei possa farlo, non la ascolta, la umilia davanti agli altri, la deride, la svaluta, la offende, quando le controlla il cellulare, le nega una autonomia economica, minaccia di portarle via i figli…Tutto in un crescendo, in quello che viene definito il “ciclo della violenza” e che bisogna interrompere il prima possibile.
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