Giovani allo sportello d’ascolto: “Ero curioso”, e poi raccontano…

Stato Donna, 16 dicembre 2022. Comprendere le cose dei giovani è spesso una fatica. Due quarti delle parole sono in inglese, meglio se appena coniate, nate dalla fusione di altri termini sempre inglesi, ma che non erano sui libri sui quali abbiamo studiato noi, che però in compenso ancora ci ricordiamo che William Shakespeare was born in Stratford on Avon o meglio upon Avon, che poi è la stessa cosa, ma upon è più fico. Ma a loro questo non interessa perché è un attimo sapere dov’è nato Shakespeare, non sono queste le cose che contano, dicono. E forse hanno ragione. Non ne sono sicura al cento per cento però. La cultura è integrazione di saperi. Contestualizzazione. E nel mio ideale perfetto si studia con il mappamondo davanti per capire di cosa stiamo parlando e dove siamo diretti. Comunque.

Un altro quarto sono sigle. Abbreviazioni. Acronimi. Spesso mutuati dal gergo americano delle gang, che veramente non si capisce niente. L’ultimo quarto è più o meno comprensibile, a patto che lo si colleghi con il resto. Il loro meglio lo danno parlando di sport e musica. Qui veramente, arrendiamoci ancor prima di cominciare. Ma io dico, chi ce lo fa fare a noi generazione X o addirittura boomer di cercare o fare finta di capire quello che dicono? Meglio farselo spiegare, almeno parliamo, che di questi tempi non è poi così scontato.

La pletora poi delle discipline sportive nate in questi anni. Tutte basate sul contatto fisico, a volte chiusi in gabbie peggio dei gladiatori con i leoni, o appesi ad elastici a contare flessioni che però loro chiamano push up o trazioni altrimenti dette pull up, che quando cerchi la traduzione in italiano trovi che è impropria. Impropria. E vabbè.

E la musica? Eh, qui vi volevo. Già vi vedo a farvi il segno della croce davanti ad Achille Lauro, ma solo perché non conoscete gli altri che ascoltano, altrimenti gli stendereste un tappeto rosso, e non solo perché duetta con Orietta Berti che, diciamo la verità, ad un primo sguardo è più rassicurante. Ma perché certa musica sembra veramente allucinante, con testi che inneggiano alla violenza, all’odio contro le forze dell’ordine, all’uso di sostanze e all’alcool. E quando glielo fai notare ti dicono che loro lo sanno benissimo che certe cose non si fanno e che certo non si fanno condizionare dai cattivi maestri. Quindi noi che invece li ascoltavamo i maestri, eravamo deboli deduco. Anche se mi sembra lo stesso discorso di chi dice “No, non vado dallo psicologo perché non ne ho bisogno”. Ecco, appunto.

Eppure qualcosa non mi torna. Non mi torna la fragilità che ti buttano addosso quando arrivano allo sportello d’ascolto con il telefono in mano che spara quelle loro canzoni tutte uguali, e tutte arrabbiate nello stesso modo. “Sono venuto per curiosità” e dopo dieci minuti sono a raccontarti di cose terribili, dolori che attraversano giovani vite spesso nella solitudine, con genitori assenti o troppo concentrati sulle loro cose, alle prese con nuove storie d’amore dopo aver abbandonato la famiglia, lasciando figli orfani bianchi. Orfani di genitori vivi, che non riesci neanche a fartene una ragione. Nuove compagne che prendono il posto di madri pluritradite che passano le giornate a piangere sul letto e poi si consolano con giovanotti conosciuti sui social. O padri che vivono in case di dieci metri quadrati, dormendo su divani letto che hanno visto giorni migliori.

Fatica ascoltare. Ma non per quella loro lingua che non conosciamo. Per il dolore e la stanchezza che trapelano e che fanno a pugni con l’aria sicura dell’inizio. Con l’età che hanno e che merita spensieratezza. E anche con le luci di Natale che la scuola ha appeso in giro cercando di trasmettere un po’ di calore e di atmosfera senza offendere la sensibilità di nessuno, che bisogna fare attenzione.

Ma non è il Natale il problema. È che li abbiamo abbandonati, questi ragazzi. Li abbiamo sopravvalutati pensando che ce la potevano fare da soli, mentre dai balconi cantavamo e sui social scrivevamo “Nessuno si salva da solo”. Quanta responsabilità abbiamo noi adulti nel malessere che vivono tanti giovani? Nelle ferite che certi si infliggono perché così sentono meno il dolore dell’anima, quello che grida ma nessuno lo sente? Nell’abuso di sostanze per stordirsi. “Così non li sento gridare” mi ha detto una ragazza una volta. Nella compulsione sessuale “I miei si odiano, non voglio finire come mia madre”, ha detto un’altra.

Eppure chiedono ancora aiuto. Nonostante tutto, nonostante le canzoni arrabbiate, gli sport violenti, le famiglie sgretolate, i soldi limitati, i progetti delusi, tendono le mani. E siamo in tempo, se lo vogliamo. Per ascoltarli e fare la nostra parte. Quella di adulti responsabili che li possano guidare con una mano salda e discreta, e che per troppo tempo se li sono dimenticati. Facciamo ammenda, prima che sia tardi. Usiamo la sensibilità collettiva di società per farci carico di chi va sostenuto perché poi a sua volta possa sostenere gli altri, in questa circolarità virtuosa che si riveli abbraccio. Che sta bene su tutto. Su tutti.

Simonetta Molinaro, 16 dicembre 2022

 

 

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