“Mò vene Natale”, storie foggiane di presepi, santi e zampognari

Stato Donna, 4 dicembre 2022. “L’Auditorium della Biblioteca La Magna Capitana è una sede perfetta per raccontar cantando le tradizioni, le storie, i Santi, i cibi, gli strumenti del periodo più lungo, più sentito e “dinamico” del ciclo dell’anno”. Così Giustina Ruggiero presenta l’incontro “Mò vene Natale, la Santa Ora” che si terrà alla vigilia dell’Immacolata.

Dicevi della biblioteca Magna Capitana

È il luogo più adatto per sdoganare le tradizioni e la religiosità popolari, parlarne come “cultura” e “identità” e liberarsi per un pomeriggio dall’omologazione di festoni, alberi, babbi, standard di crooner americani anni ’50.

Come racconterete questo Natale della tradizione di Foggia?

Come se stessimo leggendo un buon libro, con Michele dell’Anno e la sua fisarmonica che raccontano, con l’ausilio di un video con foto e testi. Questo il senso del Natale così come ci è arrivato da testimoni e testi, andando oltre, per alcuni versi, alla lunga antropologia della festa (mutuata dal natale del sole invitto e dai saturnali ecc… come abbiamo anche raccontato tante volte) e concentrando il racconto sulle tradizioni del nostro territorio.

Cosa c’è all’origine di questa riscoperta?

La passione per le tradizioni viene da lontano: studi universitari e studi musicali si, ma soprattutto la lontananza dalla terra di origine che rinsalda l’amore per le radici. Poi: uno figlio e nipote di venditori del mercato Rosati, nipote di un terrazzano e di contadini, figlio di una contadina di Troia; l’altra nipote di una balia e cantante di canti religiosi, e di un pescatore… Cercare, farsi raccontare, prendere appunti, registrare e studiare … e tornare con la voglia di dirlo agli altri. Un libretto e un’audiocassetta dal titolo “Mo vene Natale” – si può pronunciare alla foggiana o montanara o campana, a scelta- editi nel 1991 sono ancora nelle case di molti foggiani.

Che Foggia era quella di “Mò vene Natale”, frase che anche oggi è in voga, del resto

Raccontare le tradizioni non è poco: vuol dire, per esempio, far sapere che nella antica chiesa di Sant’Angelo (diventata chiesa del convento delle Redentoriste), dove poi hanno costruito il Municipio, c’era un altare dedicato a Santa Lucia, che fu rifatto con statua nella nuova chiesa di San Michele.

A Santa Lucia la mamma di Michele, malato agli occhi da bambino, faceva il voto della “messa pezzente”, delle fave cucinate e distribuite ai vicini di strada il 13 dicembre. In quella strada (si parla della vita “comunitaria” della strada), zona Carmine vecchio, dove si allestiva il fuoco all’alba del 13 e uno più grande la sera dell’8 dicembre. E Michele comprava o rubacchiava la legna.

C’era tutto un rito intorno a questo falò

Gli studi della tradizione cercano di spiegare anche tutto questo, come era fatto il falò, cosa facevano intorno al fuoco, se in altri paesi usassero falò o bruciare ciocchi. Cantavano? Arrivavano gli zampognari? Cosa si mangiava? E con le ceneri che si faceva?

Dalle testimonianze di contemporanei si passa a trovare riscontro in libri di economisti, folkloristi, storici, giornalisti vissuti a cavallo tra ‘800 e ‘900. Allora si può anche scoprire che c’è una ricchezza antropologica, musicale, culturale, anche architettonica, che va riscoperta per contribuire a dare sostanza e memoria alla nostra città.

Gli zampognari si sentono ancora…

Le zampogne e le ciaramelle, portate davanti al presepe da S. Gaetano a metà del ‘500 a Napoli e legate al Natale (davano l’avvio alla novena o l’8 o il 13 sia nelle case che nelle chiese) sono strumenti dei pastori, e Foggia è stata la città più importante legata alla transumanza. Michele da bambino suonerà, per la prima volta davanti a un pubblico di parenti, la “pasturella” alla fisarmonica, erede della zampogna.

Il legame con il Molise o l’Abruzzo sta nella musica e nei cibi. I cibi nei mercati o agli angoli delle strade “si cantavano” come usano fare gli arabi.

Cioè come?

Gli arabi fanno dei melismi musicali, diciamo gorgheggi con note diminuite, particolari. Pensa a Totò le Mokò quando arriva alla casbah e i finti arabi dicono cose cantando oppure ai gorgheggi della musica napoletana. I dolci di Natale ci legano peraltro anche all’altra sponda del Mediterraneo… Siamo più interculturali di quanto pensiamo.

La “Santa ora” è anche un percorso sulla spiritualità locale?

Sì, certo. Nella ricerca sul passato e sulle tradizioni si scopre il legame di Foggia con Sant’Alfonso che dimorò a lungo a Deliceto e predicò a Foggia dopo le apparizioni seguite al terremoto del 1731. Fece dipingere il volto della Madonna dei Sette Veli come gli apparve e fu riferimento spirituale per Madre Celeste Crostarosa che ha una storia e una spiritualità modernissima, direi contemporanea.

E San Nicola, protettore dei bambini, poi diventato Babbo Natale, è presente in tante ninne nanne della nostra terra.

Anche i presepi hanno la loro tradizione, ormai ogni paese ne ha uno “proprio”

Parleremo anche di quelli, dei presepi particolari presenti nella nostra provincia, dei proverbi legati al mondo contadino o ai mestieri, delle leggende sui personaggi del presepe.

Infine i canti: teneri e legati ad una maternità quotidiana e povera che coinvolge e commuove, oppure scanzonati e allegri nel dualismo sempre presente nel mondo popolare. “Quanne Maria lavava” viene cantata su una foto del presepe a sagome di San Marco in Lamis da dove proviene anche il canto; “La Santa Ora”, di Matteo Salvatore viene cantata su una foto di una Foggia dei primi del ‘900 con la madre che culla il suo bambino in una casa-grotta condivisa con un asinello.

L’incontro sul Natale nella tradizione della nostra terra sarà un incontro dovuto per non pensare che il Natale, spogliato peraltro dalla religiosità che gli dà fondamento, sia solo una festa “americana”.

Redazione

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