Marica Monachese, pasticcera di Foggia per passione e tradizione

Stato Donna, 27 novembre 2022. Il suo bisnonno era un pastore abruzzese che scendeva nel Tavoliere per la transumanza. “Aveva tanto di quel latte che decise di aprire una latteria, attività continuata da mio nonno, e poi c’è stato mio padre che ha ampliato tutto e nel dopoguerra, quando sono arrivati gli americani, ha iniziato a produrre il gelato“. Il nome, Sotto Zero- maiuscolo perché è diventato una marchio- deriva da questo anche se qualcuno ha creduto fosse il suo cognome.

A raccontare queste tre generazioni di uomini alle prese con il gregge, il latte, la caffetteria e poi i gelati è Marica Monachese, la seconda di 8 figlie, che ha scelto sin da subito l’attività del padre in pasticceria con qualche perplessità da parte del genitore. Oggi è proprietaria del bar Monachese- Sottozero e di Monachese Le Chalet a Foggia.

“Sono nata in questo mondo, a 19 anni ho deciso di lasciare l’università appena iniziata e cominciare questo lavoro. Mio padre, per farmi desistere, mi disse che non avrei potuto fare subito l’imprenditore ma avrei dovuto imparare il mestiere, non sapendo che mi sarei appassionata follemente a questo lavoro. Si augurava che intraprendessi l’università per dedicarmi al discorso economico dell’azienda, credo, non so quali fossero i suoi sogni, non li ha mai svelati. Comunque voleva farmi capire che era un lavoro duro, io a 19 anni, di sabato, mentre gli altri andavano a ballare stavo in pasticceria, non esistevano i festivi, cosa che puoi fare a quell’età solo se hai una grande passione”.

Marica non si è mai fermata, solo per un piccolo periodo della sua vita e poi ha ricominciato, riaprendo una pasticceria che portasse il nome di famiglia- ma accanto a “Sottozero” una scritta che ricompare anche negli arredamenti dei suoi locali- e “Monachese Le Chalet”.  

Riesce a ritagliarsi un po’ di tempo per raccontare di sé a Stato Donna, sono giorni sempre molto impegnativi, in questo periodo maggiormente perché sta preparando i panettoni con il “lievito madre”, una faticaccia che dura un anno. Ci spiegherà, a breve, “le giornate del panettone” ma adesso è ancora sul filo dei ricordi sollecitata dalle nostre domande.

Al “Maricangela”, altro storico bar di fronte all’ex Capitol, un angolo di città in cui tanto è mutato nel tempo, “c’era l’intrattenimento, la cosiddetta ‘Foggia bene’, nella casa madre in via Domenico Cirillo, con il mercato vicino, c’era invece la gente più svariata, un viavai continuo”. Dal bar di via Torelli tanti ricordi: “Nel periodo di Natale imparai a fare i presepi di cioccolata che erano in vetrina con i panettoni. Ricordo ancora la scena, stavamo lì davanti, gli amici passavano, lui li fermava per fargli ammirare la vetrina fatta da sua figlia. Ero fiera di me stessa, lavoravo tantissimo, usciva di casa con buio alle 5 di mattina e tornavo con il buoi, tante ore di lavoro che quando sei giovane è ancora più pesante da sostenere. Invece io ho adorato il Natale, ancora di più quando c’ero io a mettere le mani nella pasta, nel cioccolato. Con mio padre sono stata io unica l’unica a collaborare, l’unica che ha inserito in questo mondo vista la mia passione, periodo in cui ho fatto esperienze fuori, a Milano, a Losanna, in Belgio. Ricordo il pasticcere del Sant Ambroeus di Milano che mi ha insegnato tantissimo, 27 anni fa io facevo il cake design- forse ero l’unica quando non esisteva la pasta di zucchero e mi cimentavo in opere di modellaggio”.

E arriviamo al panettone, quello che nelle pagine social della pasticceria è presentato così: “Siamo a Foggia ma il milanese è ben accetto”. Marica l’ha imparato da loro, poi nel tempo ha perfezionato varie cose, in particolare le basi della lievitazione. Racconta del suo rapporto con il lievito madre: “Prendo sempre più confidenza con lui, è un essere vivente che si coltiva ogni giorno, lo si accudisce, si rinfresca, gli si dà da mangiare, ne tieni in equilibrio il ph. Ho pubblicato su Instagram “la due giorni del panettone”, e dettaglia le varie fasi dell’impasto, i tempi di crescita, di attesa e di ripresa del lavoro, con le pezzature finali prima di disporlo nei pirottini.

“Ora il dolce lo troviamo ovunque e questo ha indotto la gente a non saperlo gustare, a non capire la differenza fra un prodotto artigianale e uno industriale, o fatto con un mx, perché oggi tutto si può fare e si può avere una pasticceria anche senza un laboratorio, dai grossisti si trova di tutto. Ci siamo disabituati alla qualità anche se il Covid ha dato modo alla gente ferma in casa di fare scelte più attente, e c’è un ritorno alla qualità che vuol dire scelta accuratissima degli ingredienti per un prodotto che veramente richiede tanto tempo di preparazione”.

La sua famiglia ha accompagnato la storia della città, lei ad andare via da Foggia non ci ha mai pensato: “Mia sorella che vive a Zurigo me l’ha proposto tante volte, ‘vieni, qui ti fai i soldi’, ma io ho sempre detto di no, sono legata a questo territorio, sento di dover qualcosa a mio padre, a mio nonno, alla mia città, se non resistiamo noi qui e non cerchiamo noi di cambiare le cose chi lo farà?”. Vorrebbe che Foggia “vivesse meno di mode e più di scelte con cognizione di causa: si va tutti in quella pizzeria perché è di moda, per sentito dire, vanno tutti dietro al gregge senza pensare che ci sono tante piccole realtà che non riescono ad emergere. Vorrei che Foggia da questo punto di vista avesse uno scatto culturale, che scegliesse quello che è di qualità, non di moda. Noi con le Chalet abbiamo pensato alla musica dal vivo, anche a spettacoli d’intrattenimento, a degustazioni di vini. Cercandole per questa nuova attività, vedo che Foggia è piena di persone di talento”.

Pasticcera e donna con i soliti problemi organizzativi: “Come mamma non è stato semplice conciliare le cose, è un po’, come si dice, hai voluto la bicicletta e ora pedala. Sul lavoro ho sempre avuto il rispetto di tutti e questo certo non si regala alla prima persona che passa. Quando penso al tempo in cui non sono stata in famiglia mi dico che i miei figli preferiscono avere una madre contenta e realizzata nel proprio lavoro anche se fuori casa”.

A chi decide di intraprendere quest’attività dice: “Deve mettere in conto che, se c’è passione, non si finisce mai di imparare, è un campo così ampio che non ci si annoia mai. Io credo nei giovani, nel mio laboratorio siamo 9 in produzione, qualcuno l’ho scelto nell’alternanza scuola- lavoro, i più carismatici, quelli che avevano voglia di crescere veramente perché qui si impara, non si viene a lavare le pentole come succede da altre parti. Io ho interesse a trovare la persona valida, a farla crescere con me, a me piace tantissimo trasmettere la mia esperienza, e quando vedo un ragazzo che fa una cosa che prima facevo solo io e lo fa con maestria, con sicurezza, lo fa anche meglio di me mi sento ancora più soddisfatta. Io coordino, ci sono cose a cui mi dedico di più, certo, ma i ragazzi sanno camminare da soli, solo qualche volta hanno bisogno della ‘mamma’”.

 

Redazione

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