La morte di Saman vestita all’occidentale è ferocia del clan contro le donne

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Foto- Il Mattino

Stato Donna, 21 novembre 2022. I media ci stanno parlando insistentemente in questi giorni di Saman Abbas, la ragazza pakistana di 18 anni, scomparsa da Novellara, in provincia di Reggio Emilia, il 30 aprile 2021. Il padre della ragazza, fuggito con la moglie subito dopo la scomparsa della figlia, è stato arrestato nel suo Paese di origine, il Pakistan in cui si era rifugiato, sia per un’accusa di frode verso un connazionale, sia perché il mandato di cattura internazionale lo ha finalmente raggiunto. Sia per lui che per la moglie, al momento latitante, è prevista la richiesta di estradizione.

E proprio in questi giorni sono stati rinvenuti resti umani in un casolare pochissimo distante dalla casa della ragazza scomparsa di cui si è sempre ipotizzata l’uccisione. I resti non possono ancora essere riesumati, occorre la presenza degli avvocati di tutti gli indagati, quindi anche del padre e occorrono tempi tecnici per le notifiche. Gli investigatori intanto stanno cercando ogni traccia possibile che rimandi alla ragazza e ai suoi carnefici in prossimità di quel casolare, già ispezionato in passato dalle forze dell’ordine, ma nel quale i resti erano ben nascosti sotto metri di materiale vario.

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È stato lo zio ad aver portato gli inquirenti nel casolare. Perché la morte della ragazza sarebbe un delitto formato famiglia. Le ultime immagini della diciottenne la vedono infatti con lo zainetto in compagnia della madre e del padre, fuori casa, in procinto di essere consegnata ai carnefici. La famiglia avrebbe ordito la sua uccisione per punire Saman per non aver acconsentito a sposare un parente residente in Pakistan. Lei aveva un fidanzato qui in Italia; e una foto la ritrae felice, vestita all’occidentale, con un jeans, senza velo, mentre lo bacia. Contravvenendo a tutte le regole di questa famiglia.

“L’ho uccisa – dice il padre ad un parente nel corso di una intercettazione – per la mia dignità e il mio onore”. Esecutore materiale sarebbe un fratello di questo padre, con la complicità di alcuni cugini. Ricordiamola, questa ragazza, mentre si avvicina il 25 novembre, che è la data scelta per commemorare le vittime della violenza contro le donne. Perché lei è una di queste.

In queste ore la giornalista di origini marocchine, Karima Moual, sposata con un italiano, ha ricordato che l’omicidio bisogna definirlo italo-pakistano, non pakistano e basta. Ma forse non è proprio così. Matrimoni combinati erano la norma anche da noi nel passato, sia fra aristocratici che gente comune, e lo si faceva per creare alleanze politiche o per semplice sopravvivenza. Ma è da un pezzo che in Italia di questi usi non se ne sente più parlare.

E certo in Italia i femminicidi non mancano se tra luglio 2021 e agosto 2022 ne sono stati contati ben 125. Quello che differenzia la morte di Saman da quella di tutte le altre vittime, comprese le tre donne trovate morte in queste ore nel quartiere Prati di Roma, è che la persona che uccide lo fa individualmente, mentre l’uccisione di Saman è una esecuzione pianificata a livello familiare. La modalità dell’esecuzione possiamo dire che non ci appartiene più. Nel secolo scorso vigeva da noi il delitto d’onore. O il matrimonio riparatore dell’offesa apportata ad una famiglia nel corpo di una figlia, di una sorella.

E questo delitto d’onore prevedeva pene irrisorie, come se non fosse stato ucciso un essere umano ma una categoria di pensiero. Le cose per fortuna nostra sono cambiate. Ma, si sa, la storia non procede in linea retta. Possiamo paragonare il cammino dell’Uomo ad un albero con rami più corti ed altri più estesi. In occidente l’individuo e i suoi diritti fondamentali prevalgono sull’interesse del gruppo familiare di appartenenza e devono anche armonizzarsi con la società civile, che a sua volta li deve tutelare. In altre nazioni invece l’individuo è sentito inferiore come importanza rispetto alla famiglia, al clan, alla tribù.

Lo Stato in questi casi resta lontano dalla vita quotidiana e dai suoi rituali. Fra questi, il matrimonio combinato, in una struttura rigida che vede inesistente la volontà del singolo, soprattutto se donna. L’arrivo in Italia di questi sistemi di vita, che noi abbiamo per fortuna abbandonato, crea problemi, anche perché queste ragazze, combattute tra una ubbidienza cieca inculcata da sempre e il gusto della libertà sperimentato per la prima volta, spesso scelgono di vivere la libertà.

Con conseguenze come si è visto anche letali. La parola ‘onore’ significa in concreto la stima, il buon nome, qualcosa di cui andare fieri e che viene riconosciuto collettivamente dalla società. Se guardiamo a questa forma di onore che questo padre pensava di acquistare attraverso l’ubbidienza e l’infelicità della figlia, ci rendiamo conto della pochezza del suo significato. L’onore non è certamente scomparso dai nostri schemi di comportamento ma ci siamo indirizzati a individuarlo, dopo aver abbandonato le sue forme più arcaiche, in atti di coraggio, di generosità, di abnegazione, di creatività, di ingegno, che destano l’ammirazione della collettività.

Chi proviene da Paesi in cui si pensa ancora alla maniera dei genitori di Saman non può essere lasciato a se stesso, straniato in un mondo straniero, arroccato al mondo abbandonato anche per una naturale nostalgia. Oltre alla conoscenza della lingua italiana, occorre chiedere a costoro un atto di fiducia verso le istituzioni della nuova patria che hanno scelto per il loro futuro, la quale patria, se è in grado di dare lavoro, può e deve favorire un percorso di inserimento vero, in direzione di un giusto equilibrio, soprattutto non dannoso per nessuno, fra il prima e il dopo. Non è neanche tanto difficile. Basterebbe comprendere la Costituzione.

Maria Teresa Perrino, 21 novembre 2022