La mia vita dopo Capaci: parla Angelo Corbo, agente di scorta a Falcone

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Stato Donna, 19 novembre 2022. Incontro straordinario ad Ascoli Satriano, giovedì 17 novembre presso il Polo Museale e venerdì 18 con gli studenti del Liceo classico Lanza. Su iniziativa di Lino Santoro, ex consigliere comunale ed esponente dell’associazione A.R.C.I.  di Foggia, la comunità ascolana ha ospitato l’Ispettore Capo della Polizia di Stato Angelo Corbo, il sopravvissuto alla strage di Capaci, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, sua moglie, e gli agenti colleghi di Corbo.

Nel silenzio ammutolito e commosso sono risuonate le parole di ricordo e di testimonianza di Angelo, al tempo dei fatti un giovanissimo agente di scorta, messo a lavorare in un mondo più grande di lui senza alcuna preparazione, come sottolinea più volte nel corso della conversazione. Con un tono scanzonato, che non inganna nessuno dei presenti quanto a commozione, con il sorriso di chi sa che sta parlando di una delle grandi tragedie nazionali, Angelo risponde alle domande fondamentali: ti senti un eroe?  Cosa ti ha spinto a fare non l’agente di pattuglia ma l’agente di scorta?

L’incoscienza, dice e conferma più volte. Solo i pazzi e gli incoscienti possono vivere accanto ad ‘un uomo morto che cammina’, sapendo di essere destinati alla stessa fine. Lui, sopravvissuto e ferito insieme ad un altro collega, mentre l’asfalto dell’autostrada gli esplodeva intorno e le macchine della scorta e del giudice erano scaraventate in alto o sotterrate da cumuli di cemento, lui e l’amico si sono rialzati e, pur feriti, hanno raggiunto l’auto di Falcone morente per difenderlo da eventuali altri assalti, perché si sa, dice, la mafia si accerta sempre se il lavoro è stato portato a termine nel migliore dei modi. Quindi poteva colpire ancora.

Nessuno in quell’inferno sapeva nulla di chi era vicino. Ognuno sperava che qualcuno si fosse salvato. Prima dell’arrivo dei soccorsi la morte ha aleggiato sui corpi come bambole di pezza delle vittime e sui feriti che aspettavano a loro volta il colpo di grazia. “Eravamo incoscienti”, ripete. In realtà dal suo racconto emerge un’altra grande verità. La sua vita in un quartiere di Palermo ad alta densità mafiosa, dove per non avere a che fare con certi ambienti bisognava stare chiusi in casa; la prepotenza degli arroganti sulla gente semplice, che non poteva sperare di vivere tranquillamente del suo lavoro; l’ottimo lavoro della scuola media inferiore, in cui già si parlava di mafia: queste le ragioni che da bambino hanno condizionato le sue scelte di giovane adulto.

Non è morto con Falcone e con i suoi colleghi l’ispettore Corbo ma è comunque morto, perché la sua vita precedente è morta con loro a Capaci. Il suo lavoro dopo è stato quello di restare nella polizia e di parlare ovunque. La sua missione è stata ed è questa. Alla medaglia d’oro al valore civile ricevuta per la tragedia di Capaci preferisce quella che gli riconosce il lavoro di testimonianza attiva. Perché Falcone non lo si è voluto salvare, esplicita con una rabbia celata dietro un sorriso gentile verso gli astanti: una scorta di giovani senza nessuna esperienza, composta di ragazzi entusiasti ma che avrebbero dovuto improvvisare in mancanza di quegli accorgimenti che sono di fatto mancati; nessun elicottero nella trasferta palermitana del giudice, quando un elicottero avrebbe potuto fare la differenza, permettendo di  vedere senza ombra di dubbio le persone acquattate sulle alture in attesa di far saltare in aria le vittime designate; nessun mezzo, neppure una radiolina di contatto con gli altri. Cui si aggiunge l’invidia, l’animosità dei colleghi del giudice; la stolidità di cittadini normali che si lamentavano del subbuglio nel quartiere di Falcone quando si presentava la scorta.

Angelo Corbo in visita ai Grifoni di Ascoli Satriano

La cattiveria di chi rimproverava a Falcone di aver distrutto con le sue indagini una economia fiorente. L’ipocrisia del dopo morte, quando tutti si dichiaravano amici del defunto magistrato, anche chi lo aveva osteggiato. Sono spuntati come funghi anche sedicenti agenti di scorta, racconta amareggiato Angelo … ‘Le falconiadi’, le chiama, quelle inutili cerimonie dalla lacrimuccia strizzata, con cortei e striscioni che servono a ben poco. La memoria rituale ogni anno rasenta la presa in giro. Falcone lo dobbiamo ricordare ogni giorno, dice.

Tutti gli oratori presenti, tra i quali la dott.ssa Angela Barbato, Commissario Prefettizio Città di Ascoli Satriano, sottolineano il difficile ruolo della convivenza con ambienti mafiosi;  il compito dei dirigenti scolastici (dott. Laura Flagella, dirigente a Lucera), ai quali spetta il difficile equilibrio di pesare ogni parola di fronte  ai bambini che conoscono la criminalità e per quelli che ne sono lontani; la difficoltà dei sindaci (Francesco Miglio, sindaco di San Severo) a tradurre sul territorio le risposte, anche nuove e  più efficaci, con cui la prefettura cerca di stornare dal riciclo dei soldi sporchi gli imprenditori di capitanata; la difficoltà dei penalisti (avv. Francesco Paolo De Sanctis) ad assicurare un processo giusto anche agli accusati di mafia, senza uscire fuori dai limiti del giusto, nel ricordo comunque di Falcone e Borsellino come modelli per tutti gli studenti di legge.

Emerge la buona notizia che la provincia di Foggia, con le sue diversità anche criminali, ora non è più sottovalutata come in passato, soprattutto dai fatti di San Marco in Lamis del 2017, la Capaci di Capitanata, quasi uno spartiacque fra un prima e un dopo, quando, per uccidere un boss, persero la vita degli innocenti. La pericolosità emerse in tutta la sua evidenza di fronte alla mafiosità che si erge per statuto a stato che comanda in un territorio, al posto dello Stato vero.

L’Ispettore Capo Angelo Corbo ha negato ripetutamente a se stesso l’appellativo di eroe. Forse aveva ragione Sofocle quando diceva che bisogna aspettare la fine della vita per vedere come usciamo da questa vita, per vedere di cosa ciascuno di noi è capace nel momento di maggiore pericolo. Forse l’appellativo eroe potrebbe appartenere a tanti di fronte ad emergenze simili (e la Capitanata ha i suoi morti, che hanno rifiutato la connivenza col sistema mafioso). Ma tutti coloro che sono usciti da questo incontro erano consapevoli di aver incontrato in Angelo Corbo un eroe.

Maria Teresa Perrino, 19 novembre 2022