Dialogo generazionale sulla bodypositivity con buona dose di realismo

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Simonetta Molinaro e Francesco Raganato

Stato Donna, 18 novembre 2022. Francesco: Mamma, cosa ne pensi della bodypositivity?

Simonetta: Penso che purtroppo sia un’invenzione degli adulti per gli adulti. Una di quelle cose che ci piace raccontare ma che necessita di discorsi strutturati e consapevoli. E tu che pensi?

Francesco: Io credo che dobbiamo innanzitutto escludere il discorso “patologie” e rimanere nella “salute”. Fatta questa premessa che ovviamente tu condividi, penso che sia un’estremizzazione e già solo per questo voglio prenderne le distanze. Penso che sia molto giusto sensibilizzare le persone ad accettarsi e ad amarsi per come si è, senza inseguire canoni di perfezione irraggiungibili e soprattutto inutili. Allo stesso modo però non è giusto discriminare quelle persone che scelgono di lavorare su di sé, seguendo stili di vita differenti. Magari per lavoro, come gli atleti.

Oppure per prevenire o curare problemi di salute. Oppure chi semplicemente non si accetta e decide di cambiare. Imporre ad una persona che si debba piacere a prescindere, solo perché esiste il concetto di bodypositivity è comunque sbagliato ed è frutto di una propaganda che non sempre corrisponde al sentiment di chi vive la situazione, che magari desidera cambiare e paradossalmente si sente diverso nella diversità perché non si accetta e questo diventa, per qualcuno, politicamente scorretto. Il concetto di base è che la bodypositivity deve essere universale. È amare se stessi facendo tutto il possibile per sé oppure impegnarsi per arrivare a quella condizione necessaria per amarsi. Già iniziare un percorso vuol dire amarsi. Così come rimanere fermi, se quello è il proprio desiderio.

Simonetta: Concordo del tutto sul discorso “patologie”. Rimaniamo ovviamente nella salute e nell’estetica.E mi piace molto quello che dici. Quelli sulla bodypositivity che sento, ho paura che siano ragionamenti molto assertivi, compiuti da adulti competenti che vogliono a tutti i costi trovare una soluzione ad istanze difficili da affrontare. Ma se dobbiamo parlare di realtà, voglio portare la mia esperienza. I ragazzi della scuola dove insegno, tra i 14 e i 17 anni, la rifiutano. Il giudizio degli altri pesa tantissimo e non c’è bodypositivity che tenga. Se sei brutto ti tirano le pietre, mi dicono, anche oggi che ci vantiamo di essere inclusivi. Sei bullizzato se non sei esattamente in certi canoni.

E poi i ragazzi ci soffrono tantissimo se si sentono brutti. E li offendiamo se diciamo che l’aspetto fisico non conta. Le vedo certe ragazze magre, quelle che inondano i social, tutte uguali con i capelli lisci lunghi, le ciglia chilometriche, le sopracciglia tatuate, le unghie lattiginose a mandorla, come squadrano le “amiche” in sovrappeso. Che se ne accorgono, sono tonde mica tonte.

E ci stanno male, perché sentirsi esclusi e giudicati è un attimo, anche se le copertine delle riviste adesso pubblicano foto di modelle curvy, e anche la pubblicità giustamente propone modelli alternativi e tante figure dello spettacolo si schierano a favore di persone con immagini meno perfette di quelle che da sempre condizionano le nostre vite. Peccato che le bulle ridano anche di costoro, dimenticando che c’è sempre qualcuno più bello di noi che potrebbe pareggiare i conti. E così, il concetto dell’inclusività rimane spesso solo un’idea. Purtroppo.

Francesco: Forse allora è anche un problema di linguaggio. Ad esempio, la parola “modello” non va più bene. Perché per me non è esempio da seguire l’indossatrice magra al limite dell’anoressia esattamente come non lo è quella al limite dell’obesità. Entrambe non possono rappresentare ispirazioni, e non parliamo di estetica, ma di salute. Dobbiamo semplicemente dire che sono persone. Così come chi è molto alto, o molto basso, o medio. Chi ha le orecchie a sventola. Chi è molto bello, molto brutto, o anonimo. E tutti devono poter calcare le passerelle. Solo in questo modo, non proponendo “modelli”, ma raccontando le persone, possiamo parlare di inclusività, e ciascuno può veramente sentirsi rappresentato. E potrebbe sembrare anarchia, assenza di regole, ma in fondo essere riconosciuti, accettati e avere valore è quello che sogniamo tutti.

Simonetta: E allora, se lo possiamo sognare forse lo possiamo fare.

(in foto di copertina Simonetta Molinaro e suo figlio Francesco Raganato)

Simonetta Molinaro, 18 novembre 2022