Stato Donna, 15 novembre 2022. L’onda coreana, cosiddetta 한한 (hallyu), sta travolgendo non solo i Paesi asiatici ma anche europei ed è diventata un vero e proprio fenomeno mondiale. A partire dal k-pop per passare poi al cinema coreano, alla korean beauty, questa tendenza sta riguardando sempre di più i Paesi occidentali determinando un considerevole cambiamento della Corea del sud, sia in ambito economico che di immagine.
Da quando sono in Corea, mi arrivano moltissime domande del tipo “Come hai fatto ad arrivare fin lì?” “Come mai ci sei?” “Com’è?” “Ti invidio tantissimo, anche io vorrei vivere lì, ma qual è stato il tuo percorso?”. Risponderò a queste domande sperando che si possa sentire il fascino coreano con i suoi pro e contro- eh già, ci sono anche i contro- ovviamente dalla mia prospettiva personale.
Sono qui a Busan, in Corea del Sud (circa 4 milioni di abitanti), da circa due mesi per conseguire la doppia laurea con l’Università per stranieri di Siena che ha un accordo bilaterale con la Busan University of Foreign studies, BUFS. Ci resterò per un anno al termine del quale dovrei conseguire una laurea in Corea e una in Italia al mio ritorno, previsto per luglio, anche se in cuor mio, per vari aspetti, vorrei non ritornare.
Quando sono arrivata il mio pensiero era ben diverso. La prima sera a Incheon è stata letteralmente uno shock culturale. In mezzo ai grattacieli, a quelle scritte a neon tutte colorate, mi sembrava di essere la protagonista di uno dei drama coreani che si vedono su Netflix. Sensazione inappagabile e veramente inspiegabile che non potrò mai dimenticare. Mi sembrava di essere in un dipinto, mi sentivo stordita, persa come un petalo di un fiore in mezzo al cielo stellato di Van Gogh.
Allo stesso tempo il mio cuore era attanagliato da una sensazione ben diversa. Non vedevo l’ora di tornare a casa, dalla mia famiglia, dai miei amici, volevo letteralmente scappare. Ricordo ancora bene quando la prima notte ho chiamato mia madre in lacrime, pensando a cosa ci facessi lì, se me lo meritassi o se non fossi stata messa lì per sbaglio, scelta tra tanta gente ma non lo meritassi affatto. Quando ci si ritrova a vivere queste esperienze si ha sempre paura di essere più piccoli di tutto e di non riuscire a fare nulla, ma è proprio in quei casi che bisogna prendere la vita in mano e, sebbene sia stato il mio sogno da secoli di trovarmi per le strade della Corea, era l’ultimo posto in cui volessi stare. Questa sensazione è durata circa una settimana.
La Busan University of Foreign Studies si trova lontana dal centro di Busan, è letteralmente situata in mezzo ai boschi, il che la rende molto fredda, specialmente in questo periodo, c’è un grande sbalzo termico dalla mattina alla sera.
Sono tante le particolarità che ho scoperto dei coreani, quella delle ciabatte, per esempio. Penso sia una loro tradizione culturale, ma se venite in Corea vedrete ovunque coreani con le ciabatte e i calzini. Di fronte a ciò il mio primo pensiero è andato alla mia amata Napoli, quando giravo sotto casa in ciabatte perché, diciamocelo, a Napoli sei a casa ovunque vai. Qui è lo stesso. Indossano ciabatte sempre e comunque, rigorosamente con i calzini e questa abitudine, lo dico, ha contagiato anche me. Parlando con un mio amico coreano, gli ho chiesto perché indossassero ciabatte anche quando piove, ed ecco la risposta: è per non bagnarsi le scarpe. Avete capito bene, per non bagnarsi le scarpe. I coreani odiano avere le scarpe bagnate perché è molto più comodo lavarsi i piedi e lavare poi semplicemente i calzini. Ha il suo perché.
Quando prendi la metropolitana nessuno ti sorpassa, c’è ordine in tutto quello che fanno. Si creano due file, una è per chi deve scendere e l’altra per chi deve entrare, uno alla volta. Oltretutto, ci sono vagoni e orari apposta solo per le donne, onde evitare malintenzionati che, ahimè, sono ovunque, ma almeno in Corea c’è un minimo di protezione e sicurezza. Dalle 7:00 alle 9:00 del mattino questo vagone della metro è dedicato solo alle donne, giovani o anziane, e dalle 18:00 alle 20:00. Mi sembra davvero un’idea fantastica, quando ho scoperto questa peculiarità ne sono rimasta davvero colpita e mi sono sentita più sicura nel caso viaggiassi in quegli orari. Poi, si sa, i casi di stupro in Corea purtroppo sono molto più frequenti di quanto si pensi.
All’interno della metro, contrariamente all’Italia dove tutti parlano, ridono, urlano, è tutto super silenzioso, non si sente volare una mosca, mai. Stanno tutti coi telefoni in mano, e nessuno chiacchiera. Se per sbaglio arriva una telefonata, si risponde velocemente e si chiude, oppure non si riceve proprio. Molto spesso si nota gente che dorme, o le ajhumma (le signore anziane) con le pentole del kimchi, piatto tipicamente coreano, appoggiate sul sedile.
Parlando da italiana, quello che mi manca dell’Italia è il cibo. La carbonara coreana è un altro tipo di piatto che non ha nulla a che vedere con la carbonara italiana. Panna, prosciutto, funghi, cipolla e molto spesso, broccoli. Questa è la carbonara coreana, se mai doveste venire qui, vi ho avvisati. L’ho provata una volta e non lo farò mai più. Piuttosto buttatevi alla scoperta dei cibi tipici della tradizione, che sono tanti e molto buoni. In Italia siamo abituati ad avere un primo, un secondo e il dolce, in Corea ci cucinano molti piatti in porzioni piccole e a tavola si condivide tutto, non c’è una porzione per ciascuno, ma si prendono le bacchette e si uniscono vari sapori, si mangia tutti insieme tutto. Il senso di condivisione in Corea è molto forte e lo si vede già dalle abitudini a tavola.
Quello che ho imparato in questi due mesi trascorsi in Corea è che ogni lingua ha le proprie peculiarità con un grande senso di tradizione e di storia, parole che, per quanto ci si sforzi, sono intraducibili in italiano o, quantomeno, non rendono esattamente l’idea. Essendo l’italiano e il coreano due lingue diverse in tutto, a partire dall’alfabeto fino ad arrivare alla grammatica, ci sono molte parole intraducibili, e questo concorre a creare quell’atmosfera di fascino che il coreano come lingua porta con sé.
Eccone alcune:
1– 눈눈 – Noon-chi Questo termine indica la capacità di essere in sincronia con i sentimenti degli altri, essere capace di capirli. Una persona che possiede il 한한 è in grado di leggere il linguaggio del corpo dell’altro o capire dal tono di voce cosa sta provando. Non può essere tradotto con i termini “sensibilità” o “empatia” o “sesto senso”. Per spiegarlo bisognerebbe lasciare la parola esattamente così, mettendo una nota a piè pagina nel caso di un libro oppure una nota on screen nel caso di uno show; sarebbe demotivante tradurlo se non coincide il significato.Oppure, in alternativa, si dovrebbe inventare una nuova parola italiana, come il caso di “petaloso”?
2-눈눈눈 – Eom-chin-a 한 indica 한한 eomma “mamma”, 한 si intende il vicino, 한 sta per 한한 che significa “figlio”. Le madri coreane sono note per comparare i propri figli con quelli del vicino di casa. Si usa questo termine per indicare qualcuno più talentuoso di te, più capace, con più abilità, quel genere di persona che una madre comparerebbe al proprio figlio per incoraggiarlo a fare sempre di più. Si avvicina molto al “L’erba del vicino è sempre più verde.”
Sto imparando davvero tanto qui, dall’inchino obbligatorio quando si saluta qualcuno, alle tradizioni coreane di cui sto scoprendo sempre di più, alle parole coreane intraducibili, ai paesaggi meravigliosi che la Corea offre, il profondo senso di rispetto nei confronti gli uni degli altri. È davvero un Paese che vale la pena di visitare almeno una volta nella vita.
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