“Donna, Vita, Libertà”: sit in a Foggia per le donne iraniane, ma non solo

Stato Donna, 15 ottobre 2022. “Il mio destino sarà scritto con i nodi della mia treccia e sarà quello della libertà”. Ci sono scritte anche queste frasi nei cartelli che Foggia ha esposto in piazza C. Battisti nel sit in per le donne iraniane dentro un unico slogan, “Donna Vita Libertà”. Una protesta che si è diffusa in tutto il mondo e che del velo, delle ciocche di capelli tagliate, della coda, oltre che dei ritratti delle ragazze uccise, ha fatto i propri simboli. Jin, Jiyan, Azadî, che significa “Donna, Vita, Libertà” in curdo è il cartello che mostra Donatella Caione di “Donne in rete”, con i nomi delle donne uccise.

In piazza Lucia Aprile e Stefania Gramazio di “Società Civile”, l’associazione che ha organizzato il sit in di oggi, ragazze vestite di nero con un ampio velo colorato, immagini di cartapesta con il capricapo scuro, musica, poesia recitata da una ragazzina che dice: “Io rifiuto il destino che qualcun altro ha scelto per me senza chiedermi il permesso”.

“Sappiamo con certezza che almeno altre 23 minorenni sono state uccise e così più di 200 altre persone- dice Caione-. Ma da alcuni giorni le notizie che arrivano sono davvero poche a causa della censura dei social. Però loro gridano Jin Jiyan Azadi. Jin significa ‘donna’ in curdo e condivide la sua radice lessicale con jiyan, ‘vita’ in lingua kurmanjî. Il Movimento di donne libere del Kurdistan ha creato il motto Jin, Jiyan, Azadî”.

Ricorda i nomi delle donne uccise: “Mahsa Amini non c’è bisogno di spiegare chi sia. Arrestata perché aveva dei ciuffi di capelli che uscivano dal velo è morta dopo essere stata massacrata. Nika Shakarami è scomparsa dopo una manifestazione per Mahsa. Il suo corpo è stato trovato dopo 10 giorni, il giorno in cui avrebbe compiuto 17 anni. Sarina Esmailzadeh 16 anni uccisa a manganellate. In uno dei video filmati con il suo telefonino denunciava la “situazione disastrosa” del Paese e le restrizioni imposte alle donne, “come il velo obbligatorio”. Hadis Najafi, 20 anni, abbattuta con sei colpi di arma da fuoco resterà per sempre nella memoria collettiva come la ragazza che si lega i capelli biondi in una coda, e si incammina verso la protesta, andando a morire perché desidera essere libera dal velo”.

Donatella Caione

“Mahsa Amini era curda- ricorda Lina Appiano-  sostanzialmente lo slogan significa che la libertà delle donne è la libertà dell’intera società. Le donne iraniane esprimo una forza che stupisce per il coraggio di sfidare l’ordine teocratico, anche a prezzo della loro stessa vita. Rompono le regole, i codici patriarcali, quelle stesse regole volute dal potere costituito che sceglie di controllare le donne, i loro corpi, le loro autodeterminazioni, come unica via per relazionarsi con esse”.

Parla di “cambiamento epocale” di questi giorni in cui si “svelano, letteralmente e simbolicamente tolgono il velo. Colpisce il loro sottrarsi alla narrazione di vittime. Colpiscono i loro gesti, e, si sa, i gesti possono essere generativi di pensieri di libertà, di comportamenti di civiltà per donne e per uomini”. Essere qui oggi? “Non sarebbe vero dire che significa solo, per quanto fondamentale, appoggiare la rivoluzione delle donne iraniane ma quali interrogativi questa rivoluzione pone a ciascuna, ciascuno di noi. E oggi, che l’ondata del conservatorismo in Europa incombe sulle libertà delle donne, quello che succede in Iran, quello che le donne iraniane hanno messo in campo, con un coraggio estremo, ripeto, e a prezzo delle loro vite, interroga tutte e tutti noi”.

Lina Appiano si sofferma sui veli bruciati dalle donne iraniane che interrogano “i nostri veli: e noi, quali siamo disposte a bruciare?”. Ecco la risposta: “Bisogna rompere quei codici che ci impediscono di dare credito alle parole delle donne quando denunciano una violenza, che ci impediscono di schierarci dalla parte delle madri quando vengono loro tolte le figlie ed i figli, di prendere la parola e sottrarci ai giochi di potere nei tanti gruppi a cui partecipiamo, rompere quei codici che ci impediscono persino di nominarci, come se portare con sé la forza della propria differenza sessuale, una forza che libera anche gli uomini dal portare il fardello di essere l’unico a rappresentare il mondo, sia una cosa empia! E quindi di cambiare la cultura che opprime e che nel nascondere, negare, imbrigliare, manipolare, fonda il proprio potere”.

La parola è un potente simbolo, “ha le stesse radici simboliche di quei capelli e di quel velo iraniani cioè di quella stessa -caparbia- libertà che stiamo con tanta passione sostenendo oggi. Il femminismo, lo ha insegnato bene, a più riprese e con diverse ondate e modalità e linguaggi: quando le donne lottano per la libertà, la liberazione è pensata per tutta la società. Allora con questa postura e consapevolezza ritorno e faccio mio il grido “Donna, Vita, Libertà”.

 

 

Redazione

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