Arrivata dal nord con la lambretta, il marito l’aveva persa nel viaggio….
Stato Donna, 9 ottobre 2022. Aspettava per ore davanti alla finestra. In piedi, e non ho mai capito cosa guardasse esattamente, perché lì eravamo tutti ragazzini e non facevamo niente se non giocare a palla avvelenata sul piazzale della chiesetta, quella piccola bianca e rossa che si vede spesso disegnata sui libri per bambini. Ma noi ce l’avevamo lì, faceva parte del panorama ed eravamo abituati alla sua bellezza, che anche se di anno in anno la scoprivamo con maggiore consapevolezza, dopo qualche giorno non la vedevamo neanche più.
Ma non per questo eravamo irrispettosi e mai abbiamo lanciato la palla sul portone di legno, mai. Eravamo consci del fatto che fosse un luogo sacro e anche adesso è sempre la prima tappa, e dopo più di quarant’anni fa sempre lo stesso effetto, con ricordi che sbucano improvvisi tra il carro di fieno trainato dalla Bisa e guidato da Bepi, che anche in inverno girava sempre e solo con la maglia della salute lana fuori e cotone sulla pelle, tranne la domenica che per l’occasione indossava una camicia a scacchi di flanella marrone, e Giuanin, dolce e gentile con tutti, seduto a fumare sul ceppo di legno con il cappello identico a quello di Peter di Heidi.
E noi bambini lì intorno, a correre e a ridere, ed eravamo tanti che oggi mi viene una malinconia a vedere che non ce n’è neanche uno a giocare su quel piazzale, e mi chiedo perché. Avevamo sempre una mamma, una zia, una nonna a controllare che fosse tutto a posto. Chi più discretamente, chi meno. Chi senza mai proferir parola, come lei. L’ho sentita, in quindici anni, parlare forse tre volte. E tutte e tre mi aveva lasciato la stessa sensazione di severità e di mancanza di interesse per chiunque non fosse della sua famiglia. “La mia gente” li chiamava e mi chiedevo cosa significasse mai.
Vedevo, intorno alle cinque del pomeriggio, mia madre uscire da casa con un vassoio pieno di pezzi di ciambella vaniglia e cioccolato, che lei marmorizzava con uno stuzzicadenti e io la guardavo affascinata e mi sembrava così facile e invece non lo so fare nemmeno oggi, e sono più le chiazze scure che sembrano pezzi di cioccolata caduti dal cielo a caso, però il sapore è buono perché la ricetta è quella, gelosamente tramandata e custodita in un quaderno di pelle marrone, scritto a mano con mille cancellature che testimoniano di verifiche perché, diciamo la verità, i grandi chef non è che siano proprio felici di condividere le ricette e c’è sempre un ingrediente segreto che non viene rivelato o dosi che non corrispondono a quelle reali e tu pensi di essere negata per la cucina e invece hai solo la ricetta sbagliata.
Ma mia madre, che non per niente è stata sulla guida del Gambero Rosso, li scopre sempre i suoi colleghi che omettono con o senza dolo e rivisita, corregge, trascrive. E così quel quaderno è prezioso, anche e soprattutto perché contiene le ricette sue, quelle che ha inventato, tipo i tagliolini al limone che solo lei prepara in un certo modo. O i tortelli al brasato con un ingrediente che non posso rivelare. E siamo andati a mangiare da uno chef stellato qualche tempo fa, proprio sopra quella chiesetta bianca e rossa, e mi sembrava di sognare, seduta di fronte a lui e a mia madre che parlavano di ingredienti e dosi e lui che le chiedeva come stesse andando.
Che poi lei lo ha conosciuto bambino e questo la intenerisce ma non la corrompe. E comunque l’ha promosso a pieni voti, e anche io che ancora penso di aver mangiato per la prima volta nella vita la polenta con i funghi quella sera.Vabbè. Oppure la vedo avanzare tra noi bambini con le mani piene di tranci di pizza, quella fatta con i pomodorini che papà quando partivamo per le vacanze caricava a cassette nel portabagagli, insieme alle lattine di olio buono e io pensavo che al nord non esistessero i pomodori. Poi ho scoperto che ce li hanno, ma solo per estetica, e qui lo dico e qui lo nego. D’altro canto loro hanno la zucca gialla e noi no, ma non ne facciamo un caso nazionale, lo accettiamo di buon grado. Le differenze che uniscono.
Per questo non ho mai capito che senso avesse interessarsi solo ai suoi nipoti. Io, cresciuta con l’idea che i figli fossero figli di tutti, e certe volte ti arrivava una tirata di capelli e non capivi se fosse stata tua madre o la madre di qualcun altro, ma se te l’avevano fatta era perché qualche cosa qualche cosa l’avevi combinata.
Ma nessuno si offendeva, né i figli né le mamme perché la ruota gira, si sa, e magari la volta dopo sarebbe stato il turno di un’altra santa genitrice e andava bene così, roba che se lo fai ora come minimo ti chiama un avvocato, prima ancora di finire alla gogna nella chat di Whatsapp, tu e i tuoi figli, per sempre messi al bando. Fino al prossimo scandalo.
Quella volta invece, per fortuna, i commenti se proprio c’erano rimanevano contenuti dalle mura domestiche e a nessuno sarebbe venuto in mente di parlarne al di fuori, perlomeno a casa mia funzionava così. Si sorrideva di certe frasi, si usavano come esempi di cose discutibili o da rivedere, magari. E io, che fin da piccola “filtro” non è una parola che mi abbia mai appassionata pur riconoscendone esigenze sociali, di buona educazione, buon gusto e civile convivenza, capivo che non è sempre necessario esprimere ad alta voce tutti i pensieri che attraversano la tua mente.
Anche perché a volte davvero sono solo sensazioni, istinto e pure complicato da spiegare. Così non ho mai chiesto di quella donna, di cui si favoleggiava che venendo da Verona con la Lambretta, seduta dietro al marito, di lato perché con la gonna e con un foulard a proteggere i capelli, che quelli erano anni in cui il casco era giusto quello del parrucchiere, all’altezza di Rovereto lui la perse, per accorgersene solo dopo trenta chilometri. Per dire, la sua evanescenza. Il suo non esserci. Che forse però era apparenza e non sostanza, nel senso che sembrava non esserci ma forse non era vero.
La vedevo così diversa dalle mie di nonne, una del nord una del sud, ma entrambe con braccia morbide ed accoglienti e sorrisi aperti e garbati. E mi faceva impressione sentire sua nuora chiamarla Donna Carla. Percepivo distanze siderali ma davvero non la capivo e solo nel tempo ho compreso che certa freddezza spesso è più un voler proteggere se stessi dagli altri. Rifiutare il confronto è peggio per chi rifiuta, perché l’altro troverà chi non lo manderà via, prima o poi. Chi lo accoglierà felice di farlo e onorato, anche. Chi apprezzerà e abbraccerà senza paura di dare e darsi troppo. Chi non riterrà di dosare, ma rischierà anche di sbagliare se questo dovesse servire a costruire relazioni e a strutturare sentimenti. Forse anche grazie a lei ho deciso che nella vita avrei scelto di amare, a dimostrazione del fatto che anche chi decide di non fare, un segno nel mondo lo lascia comunque. E poi, alla fine, di lei non sappiamo niente, non giudichiamola. E speriamo che la sua gente l’abbia amata.
Simonetta Molinaro, 9 ottobre 2022