Stato Donna, 28 settembre 2022. Stamattina un tg ha parlato della giovanissima Saman, la ragazza pakistana approdata in Italia con la famiglia, uccisa dai familiari e mai più ritrovata. Il padre ha confessato l’omicidio in una intercettazione telefonica dal lontano Pakistan dove si è rifugiato e nel quale si sente al sicuro dalla giustizia italiana; uno dei cugini complici, arrestato ed estradato dalla Francia, ha raccontato ad un compagno di cella che il corpo della ragazza, una volta strangolata, era stato gettato nel Po.
Questa storia me ne ha fatta venire in mente un’altra, antica, che, al di là della semplice trama, era oggetto di assimilazione e di meditazione come a scuola nel teatro ateniese del V sec. a. C.
C’era una volta, tanti anni fa, una principessa giovane e bella, Fedra, sposata con l’eroe degli eroi, Teseo, non più giovane ma sempre valente guerriero nelle situazioni umanamente impossibili. E poteva permetterselo, dal momento che era figlio di Poseidone, il dio del Mare. Costui aveva avuto una precedente moglie che gli aveva dato un figlio, dell’età della sua stessa matrigna Fedra. Il suo nome era Ippolito. Ippolito aveva un grande difetto agli occhi della dea Afrodite, quello di non volersi sposare e metter su famiglia e, ancora peggio, quello di onorare un’altra dea in vece sua, la vergine Artemide, la prima dea ‘single per scelta’ dell’antichità.
La punizione di Afrodite verso questo giovane ribelle alle leggi eterne dell’amore e della famiglia fu studiata bene e fu terribile: di lui fece innamorare la matrigna, in un contesto a rischio di incesto. Fedra sulle prime prese a vivere con discrezione e profondo pudore questo sentimento proibito verso il figliastro, la cui vicinanza era al tempo stesso sofferenza e sollievo. In questo stato altalenante però si ammalò e la febbre, sia quella vera che quella della passione, la facevano delirare e nel delirio immaginava se stessa in luoghi isolati, pericolosi, elevati, ricoperti di boschi e animati da fiere: il mondo frequentato da Ippolito di cui essa, almeno nei sogni, desiderava fare parte.
Le principesse di allora, come quelle di oggi, hanno donne della servitù che diventano le loro vere confidenti. La nutrice, che l’amava come una figlia, riuscì con l’inganno ad estorcerle il motivo delle sue sofferenze e sempre con l’inganno, nascondendo a Fedra il suo progetto, invitò Ippolito a non fare troppe storie e a corrispondere all’amore della sua matrigna.
Unica precauzione: Ippolito non doveva narrare a nessuno questo segreto. Fedra, non a conoscenza di questi scellerati patti perpetrati dalla sua nutrice, ebbe modo di ascoltare le parole di disgusto di Ippolito verso di lei e verso i suoi sentimenti e verso la genìa malvagia delle donne. Pensando di non poter sopravvivere con onore ad una comunità a conoscenza delle sue colpe, Fedra stessa escogitò l’unico progetto per tutelare il suo onore e quello dei suoi figli avuti da Teseo: accusò il figliastro di tentato stupro e si tolse la vita.
Teseo la trovò morta, con la lettera di accusa verso Ippolito. E Ippolito, vincolato al giuramento prestato di non parlare della colpa della matrigna, oppose sempre il silenzio al padre che gli chiedeva conto di quei fatti. L’accusa scritta e il silenzio del figlio furono per Teseo prove più che sufficienti della colpevolezza di Ippolito. La vendetta fu terribile: Ippolito fu trucidato da un mostro marino inviato dal dio Poseidone su richiesta di Teseo. In punto di morte le due dee, Artemide e Afrodite, impietosite per la tragica fine del giovane, rivelano a Teseo la sua innocenza.
Troppo tardi, evidentemente: l’accusa di Fedra morente era stata la più forte, la più vera proprio perché proveniva da chi non aveva più nulla da perdere. Difficile diffidare, anticamente e oggi, di un’accusa così.
Ma torniamo ai giorni nostri. Il tg stamani ha aggiunto alla vicenda di Saman tornata di attualità un dettaglio ‘alla Fedra’: gli investigatori avrebbero trovato sul cellulare della ragazza uccisa frasi nelle quali la giovane, presentendo la sua vita in pericolo, aveva scritto i nomi e i recapiti telefonici dei suoi zii e cugini che avvertiva minacciosi. Tutto questo, ci ricordano le cronache, perché vestiva all’occidentale, si comportava all’occidentale, voleva sposarsi all’occidentale, dopo aver coraggiosamente rifiutato un matrimonio combinato con l’ennesimo cugino che entrava nella sua vita e che avrebbe dovuto raggiungere in Pakistan.
Questo prevedeva il codice d’onore di questa famiglia, dove padre e madre appaiono sorridenti mentre fuggono dall’Italia, soddisfatti di aver ristabilito il loro onore sul cadavere della figlia. Saman e tante come lei di cui sappiamo sempre troppo poco si è trovata trasferita da una parte all’altra del mondo, con l’obbligo però di mantenere i costumi e i modi di vita pakistani e col divieto di amare lo stile di vita della nuova terra di approdo.
L’accertamento della reale posizione dei componenti di questo clan tribale nella realizzazione dell’assassinio di Saman dal punto di vista delle indagini sicuramente andrà per le lunghe. Ma il ricordo di Fedra e della sua lettera lasciato a mo’ di testamento mi fanno sperare che le parole accusatrici di questa ragazza, spuntate miracolosamente dal luogo misterioso della morte, siano il sigillo definitivo per gli investigatori nel definire le responsabilità. Chi ha pagato con la vita un mondo di paura e di agonia ha diritto di essere ascoltato senza le abituali smentite che vengono opportunamente orchestrate in sede difensiva, inchiodando alla giustizia terrena qui ed ora gli assassini.
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