Parità di genere in medicina: “Magari bastasse chiamarle mediche”
Stato Donna, 19 settembre 2022. “Medica e chirurga: non è questa la parità di genere a cui puntiamo!” così Pina Onotri, segretario generale del sindacato sedici italiani (Smi) commenta la decisone della Treccani di lemmatizzare nel nuovo dizionario della lingua italiana aggettivi e nomi femminili.
“Avere semplicemente il cambio di una vocale che sancisce una declinazione al femminile non ci basta. In medicina e in sanità siamo ancora all’anno zero in tema di pari opportunità. Non si vuole prendere atto che le donne medico rappresentano ormai il 60% della professione, con punte del 75% nelle regioni del nord del paese. In nessuno contratto nazionale, né tanto meno in nessun provvedimento legislativo, è presente per le professioniste un riferimento ai tempi di conciliazione, alle pari opportunità, al sostegno alla genitorialità e all’handicap”, prosegue Onotri (in foto di copertina).
“Per l’area della medicina convenzionata – ricorda – è previsto il pensionamento a 70 anni con grosse penalizzazioni economiche per chi decide di interrompere prima. Non si può andare in pensione a 70 anni. È inumano! Non si tiene conto, in questo modo, del ruolo sociale e familiare che le donne svolgono in questo Paese. In una situazione dove non esiste welfare e servizi alle famiglie sono le donne a farsi carico di problematiche e anche della disabilità di un familiare”.
“Bisogna partire dal riconoscimento dalla tutela della maternità e della gravidanza, soprattutto se non dimentichiamo che alcune donne medico, durante la pandemia hanno lavorato fino al giorno prima di entrare in sala parto, mentre altre hanno lasciato la professione perché non hanno trovato sostituti. Quindi i termini medica e chirurga non possono bastare, come un lifting, a nascondere la verità della condizione del lavoro femminile nel nostro Paese che riguarda le donne tutte, comprese quelle medico”, conclude.
Su quotidianosanità.it, Ornella Mancin, dottoressa di Medicina Generale specializzata in allergologia, scrive una lettera al direttore intervenendo nel dibattito.
“In questi giorni la Treccani ha introdotto nel suo dizionario dei nuovi vocaboli che hanno suscitato un certo interesse soprattutto là dove i linguisti si sono preoccupati per la prima volta di declinare al femminile alcuni nomi di professioni spiegando che il nuovo vocabolario “è lo specchio del mondo che cambia”.
L’operazione compiuta dai linguisti della Treccani appare pertanto come un tentativo di anticipare i tempi, forse di favorire con la lingua un cambiamento culturale ancora molto lontano dal realizzarsi. Purtroppo i mutamenti della lingua non si possono imporre e per noi donne “mediche” il tutto appare come un’ operazione vuota, priva di contenuti perché nella realtà il nostro ruolo continua a non essere pienamente riconosciuto”.
Mancin richiama quanto evidenziato da Pina Onotri e ribadisce: “Usare i termini al femminile appare come un tentativo di concedere una parità di genere che è molto lontana dall’esistere. Le donne ormai lavorano da molti anni e hanno raggiunto risultati notevoli in molte professioni ma è ancora lontano il riconoscimento di una parità effettiva con l’uomo specie in alcuni campi. In sanità le donne sono la maggioranza ma questo non è sufficiente per creare le condizioni di parità: continua la discriminazione negli stipendi, l’estrema difficoltà a raggiungere posizioni apicali, mancano politiche del lavoro che favoriscano le donne (asili nidi, part-time, flessibilità…)”.
Ma perché se le donne sono la maggioranza in sanità non sono in grado di creare delle condizioni di lavoro a loro favorevoli? Questo il quesito che Ornella Mancin pone e a cui risponde.
“Purtroppo come scriveva Simone De Beauvoir ‘La rappresentazione del mondo come tale è opera dell’uomo; egli lo descrive dal suo punto di vista, che confonde con la verità assoluta’. Finché chi ci rappresenta là, nei livelli più alti, dove si prendono le decisioni che contano è maschio, continuerà la sua visone delle cose, una visione per forza di cose di parte, fatta della sua verità che ritiene assoluta. Non è cattiva volontà, è che a loro sta bene così, di certo spontaneamente non sono disponibili a cedere quote di potere”.