Stato Donna, 18 settembre 2022. Li guardo, belli e teneri e vorrei dire delle cose senza retorica e paternalismo su quello che saranno chiamati a fare. Che io non so ancora, e nessuno lo sa, ma la speranza gliela dobbiamo, a loro e a tutti i ragazzi come loro. È troppo facile iniziare con “Non c’è futuro senza passato”. Lo recitano aforismi e forse prima filosofi interpretati ed adattati per diventare frasi da virgolettare e poi pubblicare su feed social. Ed è vero, certamente.
La memoria, indispensabile. Quella storica, e quella personale. A noi raccontavano la favola della formica e della cicala e poi quella della volpe e l’uva, ma noi forse ci vergogniamo di trasmetterle ai nostri figli, con tutte quelle morali anche un po’ ansiogene, se vogliamo. Belle, però. Io le andavo a leggere nello studio di nonno Giuseppe. Libri bellissimi, rilegati in pelle marrone, e non era consentito portarli fuori dallo studio.
E allora, seduta sulla sua poltrona, con la porta chiusa e la luce della lampada verde con la catenella, mi perdevo tra quelle pagine di carta grossa, già allora quasi gialla e leggevo quelle storie che poi venti anni dopo ho raccontato a Francesco, cresciuto con Topolino e la Melevisione e Dragon Ball, che mi è andata bene, comunque.
Ancora non eravamo invasi da youtuber e Instagram non esisteva, e non ne sentivamo la mancanza. Poi, dopo undici anni, è nata Ludovica, che non è mia figlia ma è come se, perché i figli di mio fratello sono i miei figli. E quando è nata, aveva la stessa faccina tonda di Francesco, identica, e il deja vu è un’immagine potente ed evocativa, e l’imprinting anche e dopo sua madre e suo padre ha visto me e da quel giorno siamo come Conrad e il suo pennutino. Zietta mi chiama, una specie di crasi che adoro.
In pochi anni è cambiato il mondo e Topolino anche, e Chiara Ferragni e Clio Make-up fanno proseliti e dettano legge, quantomeno quella del mercato con buona pace dei duri e puri che vivono nel passato demonizzando il presente e facendosi il segno della croce davanti ad Achille Lauro e sono già perdenti davanti ai giovani che non vogliono essere giudicati.
Che poi neanche noi volevamo esserlo e da che mondo è mondo le nuove generazioni si ribellano e manifestano contro quelle vecchie, però noi non tanto lo accettiamo, anche se mitizziamo Woodstock e facciamo la stessa faccia che facevano i miei quando tornavo a casa con i poster dei Kiss e non hanno mai saputo che il pomeriggio, a casa di Gabriella, nome e sembianze angeliche, ascoltavamo Alice Cooper e i Led Zeppelin, incuriositi dalle cose che di quella musica si diceva. Ma siamo qui.
E non ci siamo mai drogati e lavoriamo come matti e alleviamo figli ai quali trasmettiamo valori e che non hanno paura di uomini con lo smalto e non giudicano le diversità e sono inclusivi e credono nella sostenibilità che per loro non è una moda, ma uno stile di vita e rimpiangono Greta, non per lei, ma perché ha smosso coscienze e non guardano chi c’è dietro, perché gli interessa altro, al momento. Avranno tempo per capire.
Io quello che vorrei dir loro, adesso, è che la memoria è importante, certo. Ma il presente va vissuto al meglio e carpe diem proclamiamo da bravi ed illuminati educatori, e lo diciamo convinti mentre li invitiamo a consapevolezza e responsabilità. E dobbiamo essere certi e dobbiamo dirglielo che queste siano le basi sulle quali costruire il futuro, perché il fiore quando decide di fare capolino spera nella luce e nel sole, e nella pioggia. E se non avesse questa speranza che poi è anche una certezza rimarrebbe chiuso, e noi ci perderemmo la sua bellezza.
(Simonetta Molinaro, Francesco e Ludovica nella foto di copertina scattata a Foggia)
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