Stato Donna, 8 settembre 2022. Che peccato aver perso la Regina Elisabetta pochi minuti fa! Certo, aveva 96 anni, e certo aveva sul corpo i segni di una fragilità che la vecchiaia inevitabilmente comporta quando si avvicina alla morte. Non ultimi, anche essi fisiologici, gli ematomi che i capillari fragilissimi procurano nelle persone molto anziane anche per banali movimenti. E proprio con le mani segnate la Regina aveva salutato la nuova e ultima Premier, e nella sua piccola figura, con le spalle curve, sembrava quasi inchinarsi lei. Ovviamente una sbagliata percezione.
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Tutti si sono inchinati di fronte a questa grande piccola donna, nei tempi della giovinezza e della maturità, quando con un sorriso radioso incantava i sudditi di tutto il mondo, e ora nella sua fragilità di ferro, sempre accompagnata da un sorriso che, anche da lontano, è sempre sembrato improntato a grande bontà. E non credo che ci sia qualche antimonarchico oggi che non si inchini di fronte ad una donna che per 70 anni ha saputo tenere e mantenere un ruolo da un’altezza che in tanti meno bravi di lei può procurare vertigini e cadute.
La tempra forte, la longevità ereditata dalla Regina Madre ci avevano quasi fatto dimenticare che potesse morire. Il suo senso del dovere, forte come è quasi impossibile immaginare, ha contribuito a renderla quasi immortale nella nostra mente. La sua presenza rassicurante, in un mondo che viaggia a velocità supersonica verso mete che denotano progressi e pericoli, era un conforto. Sottinteso. Mai dichiarato o razionalmente percepito.
Qualche battuta scherzosa, sul web, sui suoi compagni di scuola che risalirebbero agli antichi romani è stata sempre accolta con il sorriso non della irriverenza ma dell’affetto. Si gioca su ciò che si ama. Nel gioco nessuno ha mai preso sul serio la possibilità della sua perdita, compianta – se ne vedono già le immagini – con una tensione emotiva che ci ricorda il pianto collettivo per la giovane lady Diana.
A dimostrare che il compianto non deve necessariamente accompagnare soltanto quei giovani, ‘cari agli dèi’, chiamati anzitempo nel regno dei morti e destinati a rimanere icone incancellabili di eterna giovinezza e di vita non completata.
La regina Elisabetta II è forse la icona più riconoscibile di un secolo, che non è un secolo qualsiasi. Lei infatti ha saputo affrontare il secolo con le sue contraddizioni più crudeli, con i suoi 15 Premier, con l’arte sublime della vicinanza e distanza, del non detto ma ugualmente sussurrato, del giudizio espresso sempre per il bene della monarchia intesa mai come bene personale ma sempre come struttura identitaria di una nazione e dei tanti Paesi ad essa collegata. Soprattutto ha agito con grande intelligenza, capace di trovare nella tradizione le tracce per i percorsi della innovazione che i tempi suggeriscono.
La sua Vecchiaia è stata operosa, bella, elegante, dignitosa, armoniosa. Un esempio per tutti noi, distratti o alla ricerca forzata di una giovinezza contro natura. Abbiamo tanto su cui riflettere, se vogliamo, in questi giorni di lutto. Sul suo ruolo di madre, di nonna. Soprattutto sul suo ruolo di moglie, condotto con dedizione.
Un nome perfetto, come quello della prima regina Elisabetta. Una condotta perfetta. Il poeta Sofocle, che ci ammonisce a osservare come finisce una vita prima di dire se è stata una buona vita, presumo che, redivivo, direbbe: è stata una buona vita!
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