Allo Sponzfest dove Capossela mescola Matteo Salvatore e Bob Dylan
Stato Donna, 29 agosto 2022. Un giro a Calitri per attraversare lo Sponzfest, il festival organizzato da Vinicio Capossela che ha compiuto il suo decimo compleanno. E mentre la Puglia ballava la Taranta a Melpignano, in Campania ce la siamo anche mangiata e bevuta. Cinque giorni a suon di musica ed eventi, in cui coltura e cultura si sono fusi in un dittongo immaginifico, il pittogramma cornuto creato da Jacopo Leone, logo della festa campestre più bella d’Italia. Coltivare la terra, le idee, i pensieri, il senso civico attraverso un progetto lungimirante, seminato in Alta Irpinia, terra di dove finisce la terra, terra di estremi e di confine, come ben sanno i viaggiatori che ha ospitato. Davvero tanti e diversi per età e sogni.
La filosofia agricola è stata anche al centro di un paio di laboratori curati da Tlon, di Maura Gancitano e Andrea Colamedici. La forte differenza di età tra i partecipanti, dai ventenni agli ultra sessantenni, tutti uniti in un corpo unico che porta il nome di umanità, spinge a riflettere sulla felicità, sulla morte, sul nostro stare al mondo osservando l’ambiente ma anche rendendoci consapevoli di esserne parte. Abbiamo fatto esercizi di ascolto, abbiamo simulato anche di essere noi stessi delle opere d’arte musealizzate, cercando di sentirci “stupidi” da stupor, cioè pieni di stupore. In sottofondo risuonava l’album di Niccolò Fabi “Una somma di piccole cose”, che ha avuto il merito e l’onere di indicare una via di fuga possibile, una alternativa per provare a modificare dall’interno un modo di vivere convenzionale, artificioso. Cercare di fiorire e potare sé stessi, è stato il consiglio spassionato rivoltoci ora e qui.
Calitri poi, è un paese di rara bellezza; antico e moderno convivono in un connubio rispettoso, ci si perde dentro, fino in fondo, tra salite e corrimano, vecchiette sbarazzine e palloni che rotolano per le discese ripide. E così che ti può capitare di incontrare Daniele Sepe mentre ascolta canzoni popolari sul brigantaggio, suonate da qualcuno su una sedia di cucina, in un viottolo dove paesani e turisti si passano calici di vinello, chiacchierando sulla musicalità della lingua latina e lo sfizio di usarla nelle canzoni.
“Il verbo sponzare viene dall’azione della spugna che, una volta inzuppata, ammorbidisce e rigenera” spiega V. Capossela, “Così il corpo di gruppo che da sponzato perde rigidità, forma e spigoli, e assorbendo dilata, e accoglie e rimette in circolo”.
Grazie ad una organizzazione inappuntabile siamo planati morbidamente (già sponzati insomma) a Gagliano, dove l’intenzione, subito dichiarata, era quella di trattenerci fino all’alba. Uno sterrato a forma di teatro, nel verde di una campagna che accoglie la semina di germi di futuro, è diventato un luogo surreale in cui il gran cerimoniere che è Capossela, ci ha sospinti fuori dallo spazio e dal nostro tempo, dalle convenzioni musicali e da percorsi noti, per farci ascoltare sperimentazioni piuttosto pioneristiche con radici profondissime in quel magnifico lago che è il Mar Mediterraneo.
MonteCanto è un non luogo in un non tempo, in cui si attua un rito collettivo, tribale, tra gente che si era persa di vista nel mondo e che qui recupera energie ancestrali. E vengono in mente riti antichissimi, dove al cospetto del capro e di litri di vino a fiorire è l’entusiasmos dionisiaco che ha dato vita al più antico teatro del mondo: quello di Eschilo, Sofocle, Euripide. Quello dove vita e morte sono inseparabili, ed il dio del vino è prima ancora dio degli Inferi.
Il gran vociare del pubblico che pur ascoltando chiacchiera, beve, mangia, balla, è l’essenza del dio ed è la reinterpretazione degli spettacoli teatrali grazie ai quali la Grecia ha insegnato al mondo come pensare. La presenza scenica di Capossela è indiscutibile, tra costumi che sanno di antico e di campagna, il capro, il gallo, il musico, è stata cadenzata generosamente per dare spazio e lustro a figure di musicisti di grande calibro, amici storici e nuovi arrivi. L’esordio è stato in ricordo di Matteo Salvatore, pensiero delicato nella ricorrenza della sua scomparsa, con l’elogio del cucinare con amore e per amore I maccheroni, dove il ritornello nanachenanachecicì per un attimo è diventato Knochin’ on Heaven’s door di Bob Dylan, una dedica in una dedica.
La potenza delle chitarre che letteralmente ruggiscono nel fresco della sera è un suono pervasivo, indimenticabile, il Rolling Sponz review è nel “tutto in una notte” una esperienza che almeno una volta nella vita bisogna saper fare, una cerimonia sacrale collettiva che catalizza pensieri postivi: personalità come quella di Victor Herrero (e che aggiungere a questo nome!), Micah P. Hinson, un texano visionario, fustigatore indomito, come lo ha definito Capossela, John De Leo, sperimentatore folclorico, la cui incredibile lezione di vocalità sconosciute ha preso in contropiede il pubblico, ma la canzone d’amore “Gatto persiano” ha costretto pure i più restii a calzare scarpette rosse e ballare allo stremo delle forze.
Interessantissimi i paesaggi sonori esplorati da Davide Ambrogio, il cui arsenale di strumenti semplici e potenti, contaminati con l’elettronica, ci ha sturato le orecchie dalle settimane di autotune estivi da cui siamo storditi. Forte e chiaro l’invito a coltivare anche le parole, a non consentire a nessuno di trarre dal mondo agricolo gli insulti come bifolco, cafone, terrone, che sono parole nobili da non svilire. Per un momento mi è parso di sentir echeggiare “ Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi / silvestrem tenui Musam meditaris avena“, perché quello di San Michele e San Rocco è anche il mondo delle Bucoliche di Virgilio, e prima ancora degli Idilli di Teocrito.
Il parterre di ospiti ha visto in scena anche Edda, Giovanni Truppi, Mara Redeghieri, Pietro Brunello.
Verso le 2 abbiamo ceduto a Morfeo, ma ut fabula narrat, pare che la festa sia continuata realmente fino all’alba ed oltre, con Artisti geniali, unici, la cui potenza evocativa, immaginifica suggerisce anche direttrici, soluzioni in musica da non trascurare.
Virgilio scriveva in poesia della necessità di tornare a lavorare la terra ed a rispettarla, introducendo attraverso questi paesaggi agricolo-pastorali una visione politica volta a rifondare una coscienza collettiva nazionale. E Capossela da buon Virgilio ci guida verso terre da ri-scoprire per farle germogliare unitamente a noi.
Chapeau al direttore artistico, ai suoi musicisti ed a tutta l’organizzazione. Se avete voglia di guardare immagini suggestive, autentiche, parlanti, cercate in rete sui canali social dello sponzfest quelle scattate da Simone Cecchetti, valgono da sole più di tante parole.
Laura Maggio, 29 agosto 2022