Ines aveva gli occhi brillanti come le luci di Sant’Oronzo

Stato Donna, 14 agosto 2022. Lavoravo nella farmacia della piazza, e la vedevo dietro alle tende del salone, che spiava di sotto. Stava sempre nella penombra, per il caldo diceva in estate, e in inverno perchè la luce artificiale le dava noia agli occhi. Aveva, quel soggiorno, tre porte finestre enormi, come enormi erano quella stanza e il lampadario di cristallo che nessuno aveva più acceso da quando era morto il notaio, ed erano già passati sette anni. Prima due volte all’anno donna Ines in quel salone ci organizzava una festa che ogni volta era memorabile. A giugno, quando ci si salutava per le vacanze, anche se poi si andava al mare tutti nello stesso posto a dieci chilometri, e a dicembre per farsi gli auguri di Natale.

Feste scintillanti con gente che arrivava da ogni parte d’Italia, colleghi di don Alfredo che quando era morto lei aveva voluto far scrivere a tutti i costi N.H. sui manifesti e sui necrologi del giornale, perchè così dicevano i documenti e così lei desiderava. Non avevano mai dovuto fare ricerche araldiche, la famiglia era di antichissima origine e il titolo era da sempre conosciuto anche se, naturalmente, non usato, così come lo stemma di famiglia che campeggiava solo sulle pareti dello studio, ma in un angolo, perso tra le mille foto e le mille onorificenze del notaio. Che al titolo non ci aveva mai badato, in realtà, ed era stato una persona deliziosa, e poi bello, alto, con questi capelli bianchi un po’ lunghi che quando rifletteva se li accarezzava con la mano destra, come portandoli dietro le orecchie. E quando faceva così, tutti zitti, in attesa.

Io, arrivata da poco laggiù, li avevo conosciuti ad una cena d’agosto, a casa di amici su un terrazzo che sembrava un giardino, con le candele che delimitavano perimetri e incorniciavano angoli. Con la vasca dei pesci rossi fatta di pietra che sembravano scogli, e forse lo erano, e le piante di fichi d’India che salivano da fioriere di pietra leccese. La città era deserta ma quello, seppi dopo, era un appuntamento fisso per il quale gli invitati tornavano dalle ville al mare e poichè si faceva il quattordici, si brindava anche all’onomastico del notaio con un vino speciale, che poi si ritrovava la sera successiva, dopo la processione delle barche a mare, quando l’appuntamento era nella loro villa, costruita praticamente sulla spiaggia e che lui, leggendo nella mia mente, mi disse aver costruito suo padre. Lui l’aveva solo condonata, diceva come scusandosi, “al giorno d’oggi, impensabile uno scempio così”.

Comunque, al netto dell’abuso consapevole ed incolpevole, mi era simpatico. Anche la moglie, professoressa di lettere, che nonostante i tre mesi di mare era pallida e raffinata, sempre un po’ in affanno, con i capelli grigi e corti e le mani piccole e magre, come era lei. Veniva in farmacia a prendere i farmaci per lui. Con una cura ed un’attenzione che mi facevano commuovere, e se ne andava lasciando un profumo che conoscevo benissimo perchè era lo stesso che usava mia madre in inverno. E quando li incrociavo erano sempre gentili e sorridenti, tra loro e con gli altri. Avevo conosciuto, al brindisi di Ferragosto, la loro unica figlia. Bella, con un abito a sottoveste di raso verde e dei sandaletti color argento, con i capelli lunghi e neri, sciolti. Abbronzata e lucida. “Di cosa ti occupi?” mi chiese. E io, che avevo appena iniziato a studiare da criminologa, le raccontai.

Che è un argomento che mi infervora e piaceva anche a lei e passammo tutta la serata a chiacchierare, anche perchè Cogne era fresca e le ipotesi appassionavano e dividevano. Poi toccò a lei raccontare, e mi parlò di questa sua carriera da manager, con studi internazionali, ma lo fece con la stessa semplicità che avevano i suoi genitori.

E dopo due giorni me la ritrovai sulla spiaggia di Archimede. Trovarmi era stato facile, lo sapevano tutti che stavo lì quando potevo. Francesca ed io diventammo amiche. Ci univano l’età e tante altre cose che avremmo poi scoperto. Tanto altro ci separava, invece. Tipo i figli. Io, un bambino di quattro anni, lei niente figli. Mai cercati, mai arrivati. Una vita di feste e viaggi, e impegni. Un compagno più giovane, all’epoca, che la compiaceva in tutti i modi, e lei lo lasciava fare, con garbo ma senza un reale coinvolgimento. Era più interessata a me e ai discorsi che facevamo. Stavo preparando l’esame di psicologia generale per settembre e Caterina mi interrogava sotto l’ombrellone e lei ascoltava e rideva quando per l’ennesima volta mi faceva ripetere un concetto che così diventava argomento di conversazione con i vicini. Una specie di brainstorming senza dire che facevamo brainstorming. O, forse, era più una terapia di gruppo, mi viene da dire oggi.

Poi tornò a Roma e per un po’ non ci sentimmo. La ritrovai a Natale, sfidanzata e triste, ma perchè non sa stare da sola non per altro, e glielo dicevo, un po’ da vecchia zia, un po’ da amica rompiscatole, un po’ da saccente studentessa con freschi esami universitari. E mi guardava e cambiava argomento. E alla festa di Natale, avevamo le lacrime agli occhi dal ridere guardando la fila dei suoi pretendenti, figli di amici di famiglia, di colleghi del padre. Che da ragazzini, quando lei aveva qualche chilo in più e l’apparecchio ai denti, l’avevano snobbata e anche forse bullizzata, mi veniva da pensare. E adesso, tutti ad ammiccare, e ad invitarla a ballare. E lei ballava, ma solo per accontentare i suoi, che la volevano sposata bene. E tra un ballo e l’altro ogni volta che incrociava il padre cantava sottovoce, come Mario Merola “tutti ‘sti signuri ‘ncravattat” e ridevamo sgangherate, con il notaio che ci ignorava per rimanere serio e Ines che ci guardava male, che dopo mi spiegai questi gusti e queste conoscenze musicali.

Poi, il notaio morì. E con lui andò via anche lo scintillìo di donna Ines che mise il lutto e coprì mobili e divani e specchi di casa. E Francesca iniziò a tornare spesso e io quando potevo andavo all’aeroporto a prenderla e durante il viaggio mi raccontava della sua preoccupazione e mi chiedeva come stesse la mamma, che mi aveva praticamente affidata, a parte la signora che si occupava della casa, ormai da una vita. Facevo fatica a dirle tutto. Delle volte che salivo a portarle le medicine e la trovavo ancora in camicia da notte, di pizzo certo, ma sempre camicia da notte era.

Di quelle volte che mi diceva “Che cosa me ne devo fare di tutto questo amore che ancora ho?” E poi mi raccontava di quando lui inventava canzoni improponibili per lei, con versi che recitavano di una similitudine tra i suoi occhi brillanti e le luci di sant’Oronzo. O di quando, con la scusa di bere, aprivo il frigo e non ci trovavo neanche l’acqua. Le facevo portare la spesa da Nzinu e sceglievo per lei la frutta al mercato, dalla Marisa che ogni volta mi chiedeva “Come sta?” indicando con gli occhi dietro il campanile delle Clarisse, in direzione della casa del notaio. E si faceva il segno della Croce e io un po’ mi innervosivo, che mi sembrava superstizione e non fede e mi venivano in mente quelle vecchie con i fazzoletti neri in testa nelle chiese buie, a recitare il Rosario sottovoce, come l’inizio di “Natale in casa Cupiello”, e mi sembrava tutto molto lugubre.

Non le avevo mai detto nemmeno di quando invece la trovavo seduta al tavolo della cucina, vestita di tutto punto, con gli abiti delle Sorelle Fontana o della Schiaparelli che le ricordavano gli anni di quando era stata giovane e lei e il notaio viaggiavano e andavano alle feste, sempre mano nella mano. Spalle nude e gonne ampie e le borse, poi. Adorava quelle a mano e la sua preferita era marrone e beige, di Roberta di Camerino. Velluto liscio. “Dove va, Ines?” Chiedevo. “A cena con lui” mi rispondeva, spruzzandosi un po’ di Aromatics Elixir custodito nella borsa. Dovetti dirlo a Francesca.

Piangendo la portò a Roma con sè. Andai a trovarle dopo un po’ di tempo. Ines era seduta al tavolo del salotto, vestita e con la sua borsetta in mano. Ormai non riconosceva più nessuno, mi disse Francesca. Appena mi vide, mi tese la mano e mi disse “Ti aspettavo, sei venuta a prendermi per portarmi a casa da lui…aspetta però, prima mi metto il profumo”. Non sono più riuscita ad andarci.

Simonetta Molinaro, 14 agosto 2022

 

Simonetta Molinaro

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  • ...e puntuale arriva l'emozione, il groppo in gola, tu davvero hai un'anima speciale, io ti leggo e le percezioni che sento sono notevoli, profumi, odori, sono entrata con te alla villa,...e poi, l'amicizia con Francesca, una perla rara 🌹grazie tesoro ❤️ "

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