Resta in carcere la madre di Diana che “voleva un futuro con il suo compagno”
Stato Donna, 24 luglio 2022. Resta in carcere la donna di 37 anni, Alessia Pifferi, accusata per aver lasciato morire di stenti sua figlia di 16 mesi, Diana, in casa a Milano per 6 giorni da sola. Sono tanti i particolari raccapriccianti emersi nel racconto di chi l’ha trovata senza vita, dal pannolone gettato oltre la culla a quello su davanzale pieno di vermi, dalla possibilità che sia stata sedata perché non piangesse al fatto che il corpo di Diana fosse piagato per altre possibili assenze di sua madre. Cose che si verificheranno anche con gli esami.
“Sapevo che poteva succedere” ha detto davanti al pm, lucida, e al giudice per le indagini preliminari che, in quei giorni di assenza, “cercava di capire se avesse potuto avere un futuro con il suo compagno”. Una bimba, immaginiamo, che devi accudire costantemente e che non ti dà la possibilità di goderti il weekend in santa pace, che piange, che devi nutrire, cambiare, seguire passo passo perché a 16 mesi già cammina. Questa che si sarebbe presentata dal compagno con il fagottino, passeggino, borsa pronto uso è una donna dimezzata, nella sua percezione? Si sentiva intralciata nella corsa ad agguantare il domani? Sono domande che ci poniamo così, avendo letto le cronache.
Alessia si comporta come se il futuro con il compagno e la necessità di accudimento di quella creatura facessero a pugni fra loro: da una parte la prospettiva di un futuro sentimentale, dall’altra la vita di una piccola appesa a un filo che non ce l’ha fatta a reggere. Quell’intralcio ora non c’è più, sfidando la resistenza fragile di una bimba con cui (assurdo!), era quasi in conflitto.
Fa da contorno, a questa storia di profondo disagio, la commedia delle bugie che la donna avrebbe detto. Che era psicologa infantile, quindi anche con una competenza professionale in più in quanto mamma, secondo una sua logica, e che la sua, di mamma, era morta. Una zona franca barricata di menzogne in cui, quella più grande, riguardava proprio l’esistenza in carne ed ossa di una bambina che per lei c’era a intermittenza, che “spariva” dai suoi occhi e dalla sua mente, rimossa se le impediva di vivere.
Un folle sfida con la lotta per la sopravvivenza e con “l’autonomia”, ahimè, di Diana fino a quando la creatura non è morta senza angeli a prendersene cura. A parte la cronaca disperata, che è quella, non c’è un briciolo di senso in tutto questo, se non nella costruzione delle barriere con il mondo che forse Alessia aveva innalzato intorno a sé.