Sulle tracce di pastori e transumanza, galeotto fu l’archivio di Foggia

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Roberta De Iulio

StatoDonna, 18 giugno 2022. “La mia tesi di laurea l’ho fatta sui percorsi di pellegrinaggio al santuario di S. Michele sul Gargano, pensai a una ricognizione delle fonti presso l’archivio di Stato di Foggia, un serbatoio immenso di documenti, soprattutto cartografici”. Galeotte furono queste visite per scoprire una strada che, da architetto, le fu assolutamente congeniale. Roberta de Iulio ha una passione per l’ecologia e lo studio dei segni della storia sul territorio, la piana del Tavoliere, in particolare, con i suoi tratturi e le vestigia della transumanza.

 

Attualmente è assegnista di ricerca presso il Distum  dell’Università di Foggia, componente del gruppo di lavoro che sta elaborando il “Documento regionale di valorizzazione dei tratturi”. “Un’esperienza entusiasmante, anche perché l’argomento mi riporta ai primi passi mossi al Parco del Gargano, e mi sembra di riprendere il cammino, anche in senso simbolico, della mia storia formativa e professionale”.

Che esperienza è stata quella negli anni Duemila la Parco?

È stata una lunga collaborazione, in particolare con il compianto presidente Matteo Fusilli, un vero leader, capace di creare con generosità opportunità di crescita, non solo professionale. Ancora oggi quelle visioni e quel sogno, di un ecologismo impegnato a tutelare le nostre bellezze naturali e i nostri paesaggi, permeano il mio impegno quotidiano. Mi fu assegnato il progetto “APE, Appennino parco d’Europa” che riguardava il recupero delle vie della transumanza in area parco, fu inevitabile per me tornare dov’ ero già stata, all’Archivio di Foggia.

Qual è il fascino di questi tuoi studi

Mi ha sempre incuriosito leggere le tracce della storia che rimandano a eventi minuti, a come la gente viveva in questi luoghi, mi affascina l’idea che ancora oggi il territorio porti i segni delle comunità, dei loro sentimenti, delle vicende che hanno vissuto gli uomini che ci hanno preceduto.

Le piccole storie, insomma

Sono più curiosa degli avvenimenti “minori” che hanno riguardato le comunità locali che non della “Storia” con la maiuscola. Questo mi ha portato a cercare tracce attraverso la cartografia e i documenti di archivio, come un topo di biblioteca, insomma.

E cosa pensavano queste comunità che studi?

Quando ho fatto la tesi di dottorato un capitolo era dedicato ai diari dei pastori che raccontavano la loro vita durante il periodo di apertura della Dogana, distanti dalle famiglie, in un territorio che a loro si  presentava inospitale.

Il passato cos’altro ci dice del territorio?

Si traduce in ricognizioni sul campo; la lettura della toponomastica, per esempio, è molto utile per i miei studi, mi permette di ricostruire il senso dei luoghi. È particolarmente preziosa nella ricerca che attualmente stiamo portando avanti con l’Università e con il Servizio Demanio della Regione, perché consente di individuare una serie di luoghi riconducibili alla pratica della transumanza anche quando magari le tracce materiali sono scomparse.

Consultando la documentazione storica spesso ci si imbatte in contenziosi che ci fanno capire che le dinamiche sociali, economiche e culturali non cambiano quando incidono sul governo del territorio. Storicamente, al tempo della Dogana della mena delle pecore di Puglia, vi era una vera e propria contrapposizione tra i “Locati” (proprietari di armenti che portavano le greggi in Puglia), e i massari di campo, che gestivano le terre a coltura.

Attualizzando, che vuol dire?

Che governare il territorio, allora come oggi, è un processo complesso che mira a conciliare interessi diversi, spesso contrapposti; i documenti sono chiarissimi e nel decifrare queste dinamiche mi soccorre la mia formazione di tecnico oltre che di studiosa.

 Il luogo che più ti ha emozionato fra quelli visitati

Senza dubbio l’Ovile nazionale di Segezia, un luogo che ha un fascino speciale poiché conserva uno degli ultimi lembi di “mezzana”, il pascolo arborato che componeva parte del mosaico del Tavoliere fiscale. Attraversare questo luogo, che potrebbe essere un meraviglioso parco agro-ambientale alle porte della città di Foggia, significa immergersi in quello che doveva essere il paesaggio che accoglieva gli armenti provenienti da Abruzzo e Molise. Altri luoghi molto interessanti per ricostruire la trama del paesaggio della Dogana sono le taverne, alcune conservate molto bene, altre fatiscenti. Poi ci sono altri segni “minori”, come ad esempio i cippi, che dei tratturi delimitavano l’ampiezza, e gli epitaffi.

Famoso quello di Foggia….

Sì certo, ma nelle nostre ricognizioni ne abbiamo individuati anche altri, uno, ad esempio, a Spinazzola, sul tratturo Melfi-Castellaneta, che però andrebbe adeguatamente recuperato. Il Documento regionale di valorizzazione dei tratturi – ci stiamo lavorando su impulso dell’avv. Costanza Moreo, dirigente  del Servizio Demanio e Patrimonio della Regione Puglia, e con un gruppo di lavoro di alto profilo scientifico, ne fanno parte il Politecnico di Bari, referente scientifico la prof. Angela Barbanente, l’Università di Foggia, referente scientifico il prof. Saverio Russo, e l’arch. Stefano Biscotti, delegato della Provincia di Foggia- intende tracciare le linee guida per recuperare questi segni.

Obiettivo è non solo valorizzare i tratturi, ma anche riconoscere il grande valore paesaggistico e culturale di quell’articolato sistema territoriale che componeva il cosiddetto Tavoliere fiscale, sottoposto alla giurisdizione della Dogana di Foggia, con il suo mosaico di poste, terre salde, mezzane e terre a coltura.

Sta tornando la moda della transumanza? A Troia le pecore corrono per il paese. Come le vedi tu queste celebrazioni, solo folklore?

Queste attività offrono un’ottima occasione per attirare l’attenzione. Io darei una menzione speciale ai fratelli Carrino che ogni anno ripropongono la transumanza, e lo hanno fatto anche durante la pandemia.  Danno un assaggio, a chi si unisce alla loro carovana, di quelli che erano i sentimenti e le emozioni di quanti si trasferivano dalle montagne alla piana del Tavoliere. I Carrino a Troia sono una famiglia storica di allevatori che ha dato vita a una filiera di produzione, sperimentando anche nuovi campi di utilizzo della lana, rivitalizzando il mercato. Non direi che sono attività folkloristiche, la stessa esperienza viene riproposta a Madrid, dove le pecore durante la transumanza attraversano la città, ed è senza dubbio un effetto scenico di grande suggestione. E Troia non è da meno, quest’anno sono passate davanti alla splendida cattedrale!

Qualche anno fa la versione online del New York Times riportava della transumanza da S. Marco in Lamis in Molise, ne scrivemmo in un articolo per Stato Quotidiano. Anche dall’estero la transumanza è attenzionata

Da sempre. Nei diari e nei resoconti di viaggio del Grand Tour, in cui mi sono imbattuta, l’impatto con queste greggi è descritto come “maestà patriarcale di vaste migrazioni”. E se ne può avere un saggio al seguito della carovana dei Carrino, anche questo fa sviluppo e movimenta economia e cultura, quindi ben vengano se queste rievocazioni sono fatte da persone legate alla tradizione; non è riproduzione di qualcosa di finto, né a favore di telecamera. Sono allevatori, è il loro mestiere, che fanno con passione e per garantire il benessere delle loro greggi.

Cosa intendono i viaggiatori per “maestà patriarcale”?

La citazione è di Emile Bertaux, viaggiatore francese di fine ‘800. Sta per sinonimo di antica, primitiva, legata a società patriarcali e ancestrali.

Salvare i tratturi dall’urbanizzazione selvaggia, o no?

Molti tratturi, parecchi decenni fa, sono stati ceduti alle amministrazioni provinciali per farne delle strade, ma va sempre considerata la plurima funzione che hanno questi tracciati, una sfida per il futuro che il gruppo di lavoro del DRV intende affrontare. Non solo destinati alla mobilità lenta, ma anche ad altre funzioni accessorie in linea con il nostro bellissimo PPTR-Piano paesaggistico territoriale regionale; ad esempio, utilizzarli come corridoi verdi, ovvero connessioni tra aree ad alta naturalità, in una chiave green oggi molto attuale, o come elementi di raccordo fra città e campagna, e comunque sempre pensando a strategie per recuperarne la leggibilità e la riconoscibilità.