Irma Ciccone, attrice: “Sono cresciuta a pane, amore e fantasia”

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Stato Donna, 6 giugno 2022. Ogni tanto si perde fra le tante sue vite. Dice proprio così Irma Ciccone mentre si concentra sulla traccia di idee che riguardano il suo lavoro. Attrice di teatro, sua passione da sempre, insegnante di italiano agli stranieri e artigiana, vocazione scoperta durante il lockdown quando le scene erano chiuse, l’arte ferma e lei si è “reinventata” con una macchina da cucire che le ha regalato il suo compagno.

Sono cresciuta a pane amore e fantasia, citando il titolo di un famoso film all’italiana. A casa mia respiravi aria di arte, armonia, ricerca del bello”. Suo papà era chirurgo, amante della natura e degli animali, lei ama i cani “in modo sfrenato”.

Cos’altro hai ereditato per via paterna?

Il senso di libertà di seguire quello che mi piace fare, ho un fratello medico e un altro che ha la cattedra di pittura all’Accademia di Foggia, ognuno ha seguito le sue passioni.

“Da grande voglio fare l’attrice”. Pensavi così?

È qualcosa che ho scoperto sin da piccola seguendo la vena artistica di mia madre pianista, insegnante di educazione musicale. Con lei sono andata per la prima volta a teatro e me ne sono innamorata perdutamente. Un posto sacro, unico, enorme, con questi lampadari che io fissavo e che trovavo splendidi, nella magia delle luci che si spengono e il sipario che si apre.

I punti di riferimento nel tuo cammino?

Ho studiato recitazione mentre mi laureavo in lettere all’ università di Roma, ho frequentato lo Ials. Mio punto di riferimento è stato Daniela Giordano, insegnante preziosa oltre che un’attrice fantastica. Lei è stata regista della compagnia di cui facevo parte, siamo stati in tour in Europa, Canada, Stati Uniti, una delle esperienze più arricchenti della mia vita.

Il ruolo che ami di più

Amo i ruoli comici, le tragedie non le amo tanto. Se dovessi pensare a un’attrice direi Monica Vitti, cui non vorrei rassomigliare in niente perché lei è unica e sola, ma sin da piccola l’ho amata, come Franca Valeri, Bice Valori, Anna Magnani, sì, di Anna Magnani non si può non apprezzare la sua verità. Amo il teatro più che il cinema, i film mi piace vederli, in questo settore ho fatto qualcosa, niente di particolare, mi è sembrato un po’ monotono il ripetere le stesse scene.

Poi il teatro per ragazzi

Ho iniziato a camminare da sola trovandomi bene con Raffaella Montrano con cui ho creato “Fuori circuito teatro”.

Perché questa scelta?

Con Carla Marchini, direttrice del teatro ‘Le Maschere’ a Roma, avevo già lavorato in questo ambito, e credo che sia una delle cose più belle che si possa fare, avere fra il pubblico dei ragazzi è sempre una sorpresa, qualcosa in divenire. Poi a me piace molto improvvisare seguendo l’onda del pubblico, è un gioco costante. Ho 52 anni ma in me c’è sempre la fanciullina.

Come nasce “Matrioske”?

Abbiamo creato questo collettivo Matrioske per unire arti diverse, io mi occupo di teatro, Daniela D’Elia dell’illustrazione ma anche del teatro stesso, Monica Carbosiero della fotografia insieme a Maria Palmieri, Patrizia Affatato della lavorazione di carta e creazioni floreali,  Daniela Tzvetkova di sperimentazione di stampe su tessuti e carta.

“Hello sunshine” è la firma delle tue creazioni in pandemia

In quel periodo ho sentito la necessità di creare e ho scoperto la mia parte artigiana di cui ignoravo l’esistenza. Ho creato bambole, ventagli, borse, sono stata premiata come figura di artista che non si è lasciata abbattere ma si è reinventata. È una cosa parallela che faccio, non è un negozio ma una pagina su facebook e mi piacciono tantissimo i tessuti africani.

Parlaci della tua esperienza con gli stranieri

Ho insegnata per 3 anni italiano al Cara di Borgo Mezzanone, ho incontrato ragazzi che cercavano di migliorare non solo la lingua ma di acquisire modi essere totalmente diversi dalla loro cultura di appartenenza. Mi hanno insegnato la forza del sorriso. Incontravo gente senza scarpe, a scuola con le ciabatte mentre io arrivavo arrabbiata per la bolletta da pagare. Loro non sapevano nemmeno cosa fosse. Mi hanno insegnato a trovare l’essenziale, che è invisibile agli occhi, come dice il piccolo principe.

Hai fatto teatro con loro?

Sì, ma prima abbiamo creato una grande famiglia. Mi chiamavano “mamma”, oggi qualcuno lo sento ancora, qualcuno è in giro per l’Europa, qualcuno ha messo su famiglia. Abbiamo realizzato uno spettacolo che si chiama “Tunkan”, il viaggio, quello da loro affrontato per arrivare in Italia, in collaborazione con delle scuole di Foggia.

Che esperienza è Casa Sankara?

A Casa Sankara, per la maggior parte, sono ragazzi che arrivano dal Gambia, Costa d’Avorio, Mali, qualcuno dal Senegal. Fanno un lavoro molto pesante perché lavorano tutti in campagna. Nonostante si sveglino la mattina alle 5.30 e tornino a casa verso le 13-14, con questo caldo, dalle 16.30 sono tutti in classe con i loro libri e i loro quaderni vogliosi di imparare. Sono rispettosissimi, e questa è una cosa molto bella.

Come ti dividi fra tutto?

Non lo so, io sono molto felice di fare tutti questi lavori che mi rendono piena.

Paola Lucino, 6 giugno 2022