In treno mi piace guardarmi intorno e capire le storie accanto a me

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Foto: cliomakeup.it

Stato Donna, 29 maggio 2022. Mi è sempre piaciuto viaggiare. Con la macchina meno, forse. Mi piacciono i treni soprattutto. Mi piace quella contiguità apparente alla quale siamo costretti, ma che non dobbiamo per forza condividere, se non per fugaci sfioramenti di gomito seguiti da scuse profuse, perché a nessuno piace farsi toccare dagli sconosciuti. E neanche toccarli.

Mi piace viaggiare da sola, poi. Viaggio leggera, perché poche cose mi servono davvero in realtà. I documenti, un po’ di soldi, il cellulare, qualcosa da leggere, la piastra per i capelli, il giubbotto di pelle. L’essenziale, direi. Il mio essenziale, naturalmente. Mi piace guardarmi intorno. Non solo dal finestrino, che comunque ha sempre un suo perché, ma intorno proprio, in senso letterale. E mi immagino storie che mai racconterò perché non le conosco, ma vorrei o potrei, magari. Ad esempio se attaccassi bottone, ma non lo faccio mai e non incoraggio gli altri a farlo.

Poche, pochissime eccezioni. Con uno mi ci sono addirittura fidanzata e ogni tanto ci siamo scritti per ricordarci con nostalgia una Roma incantata che da allora ho guardato con altri occhi. Io, diciotto anni e la consapevolezza di non avere scelto la facoltà giusta, tornavo a casa carica di delusione e tristezza. Lui, appena laureato, andava a fare il militare ad un passo da me. Mi guardava con dolcezza e chiacchierammo del più e del meno, ma soprattutto ridemmo, perché è la risata la cifra delle mie relazioni.

Foto: scambieuropei.info

Mi diede poi un bigliettino da visita, fresco di stampa e con le lettere scritte in un corsivo raffinatissimo e soprattutto in rilievo. Roba che Lina Sotis avrebbe fatto dei salti sulla sedia, ma io non sapevo cosa significasse e quello che c’era dietro lo scoprii solo quando andai per la prima volta a casa sua, ai Parioli, superfluo dirlo, e rimasi incantata dinanzi ad una parete fatta solo di cristallo. È andata com’è andata, eravamo così giovani. Ma va bene così, per entrambi.

E poi Tiziana, che ci scriviamo ancora e il viaggio da Foggia a Rimini è durato tipo un’ora o così mi è sembrato. Lo devo dire che praticamente abbiamo quasi solo riso? Certo che no. Perché in realtà ci siamo raccontate tanta vita in tre ore e trentanove minuti reali. Come si fa solo con gli sconosciuti che poi sai non rivedrai mai più, o con i preti nel confessionale che poi un’Ave Maria ti pulisce la coscienza.

Ci siamo raccontate le emozioni che in quel momento pervadevano le nostre vite. Io, il dolore mordace ed impotente per la malattia di mio padre. Lei la passione e la cura per questo suo amore appena nato, forse un po’ timido, ma che oggi dopo quattro anni viaggia su gambe sicure e salde. E li vedo sui social sorridenti e lei mi conferma questo amore pieno di rispetto reciproco e di sentimenti reali e le sue parole sono balsamo per me, stretta tra vittime di violenza e conflitti tra colleghi.

Chissà se oggi ci sarà qualcuno di interessante su questi treni che devo prendere. Magari no. Confesso, guardo le donne. Mi piacciono assai, non so perché. Per questo lei cattura la mia attenzione. Sono le otto del mattino e partiamo da Rimini. È giovanissima, non avrà più di diciotto anni e infatti si può permettere quel vestitino di cotone da poco che indossa, perché le sta comunque d’incanto. Così come quei sandali infradito che faccio anche fatica a scrivere per quanto io detesti questa tipologia di calzature. Sandali di una plastica che non riconoscerebbero neanche nella patria del Sol Levante, che calzano piedi sporchi di sabbia già a quest’ora del mattino e che mi fanno pensare ad una notte in spiaggia o ad un bagno all’alba almeno, e me lo testimoniano quei capelli rosso naturale ancora umidi, tenuti indietro da occhiali da sole senza griffe e senza filtri che possano proteggere i suoi occhi verdi.

La voglio chiamare Ambra, è un nome adatto a lei. Ho la fissa dei nomi, per me tutti ne devono avere uno, persone, animali e certe volte anche cose. Mi piace quando il nome è adatto al soggetto, io ad esempio se non mi chiamassi Simonetta vorrei chiamarmi Fiammetta, comunque sempre nel Rinascimento rimaniamo, e non rispondo a chi mi chiama Simona. E i nomi degli altri non li storpio mai, al massimo un diminutivo di simpatia che magari qualcuno si sdegna, ma per me è una cosa bella.

Comunque. Prende dalla borsa di tela, una shopping di quelle che ti regalano agli eventi, sponsorizzate dagli espositori, un cellulare. Finalmente una cosa moderna, bella, adatta alla sua età. E in un lampo capisco che forse non ha ballato sulla spiaggia tutta la notte. Forse lavora in un locale sulla spiaggia. Uno di quei famosi chiringuito che qualcuno ha aperto davvero e non solo per dire cose fighe. Mi spiego così i capelli umidi, i piedi sporchi di sabbia, il vestitino. Intravedo sacrifici, e infatti scende dopo quattro fermate, deve fare molta strada per andare a lavorare. Le auguro di trovare imprenditori seri nella sua vita e se un giorno sarà lei stessa datore di lavoro, che non dimentichi mai quanti treni ha dovuto prendere e quante rinunce ha dovuto fare per inseguire obiettivi e sogni. Buona fortuna, cara.

Di fronte ad Ambra c’è il suo opposto. Pomellato brand ambassador. Anelli, collane, bracciali. E poi la borsa a spalla, l’ultima di Louis Vuitton, e il completo pantaloni di cui riconosco l’azienda perché è quasi un suo cavallo di battaglia. Gli occhiali grandi, molto fashion, coprono un viso tra i quaranta ed i cinquanta anni curato seppure stanco. Capelli perfettamente in piega e un’anima in pena. Tutto il tempo a stendere e piegare le gambe, ad aggiustarsi sul sedile scomodo di un treno regionale che è democratico e non distingue la prima dalla seconda classe e non ha salottini a portata di mano.

Il telefono abbandonato sul sedile di fianco mi racconta di una persona che non sta aspettando chiamate importanti e che nemmeno ne vuole fare perchè forse non ha voglia di parlare. Non ha giornali, non ha libri, non ha nulla se non quella borsetta nella quale so per certo non entrare nulla di che. Mi chiedo, forse per deformazione professionale, se stia andando via da casa senza dirlo a nessuno. Magari ha solo bisogno di riflettere e guarda dal finestrino le vite degli altri come in un giallo famoso di Agatha Christie, sperando però di vedere solo bellezza come quella di cui si circonda, perché se si guarda dentro il buio la cattura. La vorrei chiamare Chiara, come la luce che forse cerca.

Cambio treno al volo trasferendomi in una vettura molto più chic e molto più veloce, mentre dentro di me le faccio gli auguri e cerco di imprimermela nella mente perché se la cercano a Chi l’ha visto, chiamo subito, cavolo. Di fianco a me, Marianna, nome di fantasia simile al suo vero, l’ho sentita parlare al telefono, non devo sforzarmi di abbinare un nome ad un volto. Se dovessi scegliere io, la chiamerei Elettra. Lei è una ricca vera, naturale, e pure da generazioni ma per capirlo la devi osservare bene, vedo molto understatement, come dicono quelli che sanno parlare bene in inglese, ma meno in italiano.

Tshirt di seta, jeans perfetti, sandali di cuoio rasoterra, di quelli comprati a Positano che stanno in scaffali un po’ defilati rispetto a quelli gioiello ma che costano di più, unghie perfettamente ricostruite per sembrare naturali, giacca di lino di Armani, borsa di pelle intrecciata di Bottega Veneta poggiata a terra come una busta della spesa. Parla inglese al telefono, tra una mail e l’altra, scritte alla velocità della luce su un iPad dalla custodia personalizzata, ma anche qui te ne devi accorgere. Chiama a casa Marianna e le risponde la tata, alla quale dà del lei e le chiede a che ora tornano i ragazzi da scuola perché non si ricorda e chiede se c’è suo marito, così magari mangiano insieme una pasta integrale al volo.

Se hai bisogno di chiedere alla tata a che ora escono i tuoi figli da scuola forse lavori con un’imprenditrice scatenata o forse lo sei tu. Mi guardi e ti sorrido da dietro la mascherina, tu ricambi forse stupita e io un po’ mi pento di giocare a questo gioco che però è innocente e non fa male a nessuno e aiuta me a guardare oltre e attraverso. E intanto finalmente sono arrivata in questa città bellissima e sconosciuta piena di piazze e con i monti che appaiono così, all’improvviso. Con il cuore che presagisce un po’ di gioia nonostante un carico di pensieri e di cose non dette e non risolte e di desideri inespressi perché non ho il coraggio di parlare ad alta voce e non è tempo ancora, e con una certa malinconia e con tutte quelle emozioni più o meno evidenti che magari qualcuno avrà letto su di me durante questo viaggio o magari domani, chissà.

Simonetta Molinaro, 29 maggio 2022