Non è tristezza e nemmeno depressione, è il languishing o il “non futuro”

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Foto: GettyImages-Inc Magazine

Stato Donna, 25 maggio 2022. La pandemia in primis, con la perdita di relazioni sociali che per mesi ci hanno costretto a rinchiuderci in casa, costituisce secondo gli esperti uno dei motivi scatenanti di una nuova forma di disagio psico-emotivo. Si tratta del languishing, così gli studiosi americani hanno battezzato il vuoto emotivo di cui sempre più persone soffrono. Le nostre vite sono state a riposo isolate dalla routine quotidiana, per raccontarla come direbbe Pope, e non è bastato a tutti riaccendere i motori della normalità per tornare a vivere appieno delle relazioni sociali.

La mancanza di gioia secondo gli esperti non si traduce in tristezza né in depressione vera e propria, tuttavia il languishing determina difficoltà di concentrazione e spegne la motivazione e, di conseguenza, influenza negativamente il rendimento scolastico o lavorativo e le relazioni sociali.

“In questo lungo tempo di pandemia – hanno spiegato gli psicologi del Gruppo di Lavoro Psicologia dell’Emergenza – Sottogruppo Covid-19 e Recovery – Luigi Chiri, Maira Francesca Valli e Claudio Verrici – ci siamo accorti che c’è un’alternativa al futuro: il non futuro. In questo il languishing sembra avere una sua funzione adattiva ovvero quella di metterci al riparo dalla delusione delle aspettative in un mondo altamente caratterizzato da incertezza”.

In un clima di incertezza e una comunicazione mediatica che fa spesso leva sulle insicurezze e paure della gente molti sembrano aver smarrito il proprio futuro e le proprie certezze tra pandemia, complotti e l’incubo di una guerra alle porte. Basti pensare al numero di richieste pervenute in tutto il mondo per la ricerca di bunker atomici o a quanti ancora vivono segregati timorosi di contrarre il virus.

Al netto di dati che attestano la presenza strutturale di languishing in una fetta di popolazione pari a circa il 10%, è indubbio per molti ricercatori che lo stato di assedio pandemico abbia ampliato e cronicizzato la porzione di cittadini alle prese con questo stato emotivo. Sicuramente la perdita dei marker temporali legati alla quotidianità, in un primo momento, ha diffuso insidiosamente i fattori di innesco del fenomeno salvo poi ipotizzare un incancrenirsi dello stesso a causa di un reale deficit nella prospettiva esistenziale e sulle prospettive future.

In questa chiave, proprio oggi, nel mezzo del conflitto, ha ancora più significato parlare di languishing. Assume, infatti, ancora più rilevanza il nostro rapporto con il futuro e con la sensazione di non riuscire a mettere in campo le nostre potenzialità, le necessità di realizzarci all’interno dei rapporti e delle relazioni con gli altri, con la comunità.

Nel campo della ricerca, riferisce il Gruppo di Lavoro degli Psicologi, si è registrata una crescita esponenziale degli studi legati a questo fenomeno ed è lecito pensare che ancora più attenzione sarà dedicata al languishing non solo in relazione agli stravolgimenti pandemici. Forse ci si chiederà della necessità di individuare un termine nuovo, che suona come l’ennesima etichetta: la psicologia ha focalizzato da tempo che nominare le emozioni aiuta a fronteggiarle, e l’assenza di benessere data dal languishing crea dolore in chi lo vive.

Non avere una diagnosi clinica non significa non soffrire. Pur in assenza di patologie psicologiche conclamate, trascurare le condizioni contraddistinte dall’assenza di benessere (emotivo, psicologico, sociale) significa creare le basi per lo sviluppo di disturbi. I costi umani sarebbero incalcolabili, ed è in quest’ottica che serve favorire l’intervento di professionisti capaci di riconoscere il fenomeno e di incentivare una serie di attenzioni finalizzate al recupero delle determinanti di salute.

Pertanto chiediamoci spesso come stiamo. Analizziamo le nostre emozioni e se quello che abbiamo dentro è un semplice vuoto capace di ridurre al minimo il nostro benessere psicofisico, facciamoci aiutare perché di languishing si guarisce se sostenuti dal giusto supporto professionale.

Maria Castelli, 24 maggio 2022

(Marilia Castelli è giornalista e blogger. Ha pubblicato per la casa editrice Dialoghi il libro “Mia figlia mi sta sul c***o”)

https://www.edizionidialoghi.it/negozio/Mia-figlia-mi-sta-sul-c***o-p455626513