Lettera a mia madre per dirle tutto quello che amo di lei

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Foto: Simonetta Molinaro

Stato Donna, 8 maggio 2022. La osservo senza farmi vedere mentre apre i cassetti dove le cose sono le stesse da almeno tre anni perché non si è più comprata nulla, dopo. Non ne ha voglia. La pandemia le ha fatto gioco nel non voler entrare nei negozi a scegliere capi che non indosserà, e Internet che lei chiama “il computer” non la convince, perché quelle poche volte che abbiamo comprato qualcosa non è rimasta contenta. Tira fuori biancheria piegata con cura e profumata di pulito per poi rimetterla a posto, per passare il tempo, più che altro. È diventato un po’ nemico il tempo da quando è rimasta sola, tre anni fa appunto, in questa casa così grande e bella dove ogni centimetro è ricordo.

Ogni centimetro costruito con l’orgoglio di chi ha sempre lavorato, in casa e fuori, con la pazienza di chi ha saputo aspettare il momento giusto per riuscire ad aggiungere un quadro, una statuetta, un mobile. Nessuno vi ha mai regalato niente, dici, e questo, se da un lato ha ferito, dall’altro ha fortificato ed unito perché tutto è stato conquistato insieme. E per questo ogni cosa è preziosa, e di gusto personale al di là delle mode che impongono il bianco shabby o il wengè nel bagno padronale. Qui ciascun pezzo è unico, di fattura artigianale, e possibilmente uscito dalle mani di un maestro.

Per questo ogni giorno fa un giro accurato e lento delle stanze spolverando delicatamente i mobili, sistemando oggetti senza tempo, sfiorando le pareti, unica concessione all’usura, che adesso sono bianche di smalto, ma fino a tre anni fa erano ricoperte da una seta cruda carta da zucchero, chiara e ruvida, che le piaceva sentire sotto le dita. Perché, mi diceva, è una bella metafora di certe persone. Da lontano così perfette, poi se ti avvicini le scopri fragili, con quei nodi che sembrano difetti e invece sono la loro unicità, la loro bellezza. Non so di chi parlasse, non gliel’ho mai chiesto perché ha una sua discrezione che rispetto e che ammiro e se non lo vuole dire, non sarò io quella che invaderà il suo spazio intimo.

Che è infinito e delicato. Che piange in silenzio un marito che continua a vedere passare nel corridoio, lo sente appoggiarsi sul letto di notte e le piacerebbe sognarlo di più. Un marito che l’ha protetta ed amata fino all’ultimo dei giorni, consapevole della sua forza che noi figli magari non avevamo nemmeno mai capito fino in fondo perché i figli, si sa, sono un po’ distratti e i genitori non li considerano mai persone, ma entità. Genitori. Papà e mamma. Ruoli. Privilegiati, certo, ma ruoli. Che distraggono dal fatto di essere umani. Esseri umani. Con desideri, volontà, paure, pensieri. Magari disgiunti, diversi dai nostri, quelli su cui siamo concentrati a scapito dei loro.

Foto: librieparole.it

Che poi ad un certo punto, papà non c’è più e tu scopri che tua madre è dotata di vita propria, e quasi ti stupisci, proprio tu che a tuo figlio dici “Guarda che prima di essere tua madre sono una persona” e allora non è vero quando ti dicono “Quando diventerai madre capirai”. Te ne accorgi di botto. E ti piace quello che vedi. Si aggiunge, quella rassicurante, dolce, ferma contezza di sé che ti sembra di non avere quasi mai notato prima, a tutto quello che fino ad allora invece hai amato. La porta della camera da letto che si apriva e il profumo del caffè bollente che la precedeva, e lo fa ancora quando sono lì. Aromatics Elixir e le creme di Estèe Lauder. Le camicette di seta. I capelli rossi tagliati dai Vergottini. Francesine di camoscio bordeaux.

​Il suo vestito da sposa, che ho visto solo in foto perché l’ha regalato prima che io nascessi a una ragazza che si doveva sposare e non poteva comperare un abito. Memoria storica dei compleanni di tutta la famiglia, ma proprio tutta, compresi i cugini di secondo grado, e degli onomastici, che noi siamo gente del sud e ci teniamo e anche se lei è di Ferrara, si è adeguata subito anzi, meglio. Il pane appena sfornato a raffreddarsi sulla griglia e poi tagliato a fette e riposto nel sacchetto di cotone a quadrettini rossi Vichy, cucito da lei.

La macchina da cucire sempre aperta per sistemare, accorciare, stringere i miei vestiti per le feste del sabato sera. I tortellini in brodo, la minestra maritata, e i cannoli siciliani rivestiti di cioccolato fondente per farli rimanere croccanti. E poi il ristorante e la menzione sulla Guida del Gambero Rosso, il nostro orgoglio e la sua gioia. E quel modo garbato di dirti le cose, una specie di guanto di velluto che copre una mano ferma, alla quale ti puoi sempre aggrappare e in fondo ha sempre un po’ ragione, anche se non glielo vuoi dire. Un silenzio che non spaventa ma accompagna, denso di attenzione ed attenzioni.

Il mio Colonnello Bernacca personale, e anche Mentana, che di maratone se ne fa più di lui, tra Covid, guerra, calcio e Giro d’Italia, sua passione segreta ma non troppo, e la sera mi fa il riassunto della giornata perché “Figlia mia, non puoi parlare solo di farmaci e violenza contro le donne”. Il mio sperimentatore di integratori nuovi, meglio di un bugiardino e più precisa delle schede tecniche. Il mio telefono amico se la sera torno tardi o quando esco presto al mattino. Il mio delivery preferito, con il pacco da giù talmente carico di meraviglie, che i Re Magi sembrano dilettanti.

La guardo e vedo la sua solitudine dignitosa. I giornali di cucina, qualche amica un po’ acciaccata da andare a trovare, e certi problemi di salute da tenere a bada. L’apparecchio per la pressione, la scatola delle medicine, e la cyclette. La poltrona di papà e la sua vestaglia quando fa freddo. Certi giorni sono più difficili e lo sento dalla voce, lo intuisco anche se si sforza di chiacchierare per non farmi sentire il peso della lontananza. Lei a me. Solo una mamma lo può fare. Tanti auguri Lia, mamma.

Simonetta Molinaro, 8 maggio 2022