La coppia che non c’è, poi lei si innamora di un altro e sembra assurdo

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Foto: bramocar.it

Stato Donna, 3 aprile 2022. Si mette il rossetto. Rosso. E poi si sistema i capelli dietro le orecchie, come li portava dieci anni fa. Bionda è sempre bionda, ma ha un po’ di rughe in più, certamente. Gli occhi sono di nuovo brillanti, come quando si erano conosciuti e lei era una giovane ragazza con una voce limpida come la sua anima e come la sua mente. Cristallina. E si erano così piaciuti e avevano iniziato a frequentarsi, ma lei era troppo sognatrice per accorgersi delle stonature, di certe discrepanze nella narrazione che lui faceva.

E quando lui le aveva chiesto di sposarlo aveva detto sì, senza farsi troppe domande, senza guardare una differenza di età che quella volta le sembrava molto romantica, ma poi sarebbe potuta diventare un peso. Glielo dicevano i suoi genitori, che non volevano quell’unione anche se lui sembrava gentile e ricco, molto ricco. Ma non furono i soldi a colpirla. Fu il fascino. Un certo modo di parlare, di decidere, di prendere in mano le situazioni, che sembrava protettivo e anche molto maschio, se vogliamo. Comunque.

Si sono sposati, una mattina di maggio, lei con un abito bianco corto e una cinta di raso in vita, lui con un mezzo tight e una gardenia all’occhiello. E i fiori tutti bianchi, ma diversi. Piccoli e grandi, che sembravano messi un po’ a caso e invece lo aveva visto su un giornale al matrimonio di non so quale diva del cinema americano e la fioraia aveva fatto del suo meglio. E il risultato era stato d’effetto e anche il fotografo aveva fatto un bel lavoro e aveva lasciato per tanti mesi nella vetrina del suo negozio le foto più belle del servizio, in bianco e nero.

Lei da sola, con quei capelli biondi raccolti e quel vestito vaporoso al ginocchio che sembrava una ballerina, e poi loro due che si guardavano e ancora mentre salivano in macchina, una spider bianca arrivata dal capoluogo con l’autista in divisa. Insomma era tutto molto bello. E freddo. Distante. Senza passione, solo indifferenza ed un certo cinismo, sempre a sottolineare quello che veniva giudicato come un eccessivo romanticismo, che lei forse per reazione, enfatizzava anche quando non ne aveva voglia.

Era il suo modo per rivendicare le sue scelte, i suoi gusti, il suo carattere, se stessa, alla fine. La guardava e sembrava non vederla, se non in presenza di altri, davanti ai quali era prodigo di complimenti come se lei fosse una sua creatura. E addirittura i suoi primi successi come scrittrice, che quando erano da soli lo facevano addirittura ridere, nemmeno sorridere, diventavano motivo di vanto se c’era chi la applaudiva.

Foto: elle.com

Neanche la nascita delle due bambine lo aveva reso più attento nei suoi confronti. Eppure, si diceva, era un bravo padre, per quanto si possa essere bravi padri se non si è anche dei bravi mariti, dei bravi esseri umani, perché non è che i figli non lo percepiscono il disagio dei genitori, come persone e come coppia, e allora lei cercava di essere una brava mamma e anche una brava moglie per non creare delle dissonanze nelle sue figlie che l’avrebbero percepita come schizofrenica nei sentimenti, e lei questo non lo ha mai voluto.

Perché immaginava di essere la figura cui ispirarsi loro malgrado per costruire relazioni d’amore future e voleva essere fonte di bellezza. E di esempio positivo. Anche per questo non aveva mai lasciato il lavoro, facendo finta di non sentire le frasi un po’ dispregiative sull’inutilità del suo mestiere, che poi lei pensava nessun lavoro è inutile e inoltre le piaceva avere dei soldi suoi che le permettevano di coltivare piccole passioni, come lo studio, i libri, i cosmetici perché non aveva mai capito perché, se ti piace leggere, nell’immaginario delle persone sei sbiadita e trasparente.

Lei, la notavi per forza. È bella ora, che di anni ne ha settanta e anche quando sta a casa e cucina è sempre elegante e gradevole. E truccata. Anche quando legge i libri di poesie, che sono l’occasione per evadere, per non pensare. La poesia l’ha sempre aiutata, soprattutto nei momenti più bui, quando i veli erano caduti e si era accorta della vera personalità di suo marito. Ma non lo aveva mai giudicato, compatito semmai, e si era abituata a non raccontargli mai niente, per non essere derisa o per non sentire usare contro di lei le confidenze che sarebbero state spontanee in circostanze normali.

Ma era successo in diverse occasioni e lei si era troppo mortificata, come quella volta che si era un po’ lamentata del caldo con alcuni amici, una domenica pomeriggio mentre chiacchieravano in giardino, e lui ridendo le aveva detto “Ma tu non fai testo, ormai sei in menopausa” che oggi magari è tutto sdoganato, ma venti anni fa era ancora una cosa da tenere per sè, una cosa propria da raccontare a chi si sceglie per confidarsi. E allora non gli ha mai più raccontato di certi fastidi, di cose intime che poi alla fine ha scelto di non condividere con nessuno, come le sue emozioni e i sentimenti, ma ora si dispiace perché è come se avesse vissuto sotto anestesia per tanti anni.

Fino a quando un giorno ha incrociato l’altro. Di qualche anno più giovane di lei, con un dolore sepolto dentro, che quando si è simili ci si riconosce subito, basta un attimo. E ha finalmente conosciuto la passione, tanto più forte perché da tenere nascosta, perché suo marito stava già male e le sembrava di fargli un torto ancora più grande. Ed era impossibile da gestire con quel carattere pessimo, che già in situazione normale con il tempo puoi solo peggiorare, figuriamoci se in piccoli momenti di lucidità realizzi di stare scivolando senza scampo nella demenza. In quei minuscoli sprazzi in cui sei di nuovo tu, sei il tu peggiore di sempre, arrabbiato come l’animale all’angolo che aggredisce anche chi lo vuole salvare.

Le figlie ormai grandi, con le loro vite, comprendevano certo ma forse come tutti i figli davano per scontato il suo sacrificio e reagivano male quando un po’ timidamente suggeriva la necessità di farsi aiutare. Allora aveva deciso, da sola, ed era scoppiato l’inferno. Mesi e mesi di litigate feroci con queste figlie forse un po’ egoiste, che per tanto tempo non le hanno nemmeno parlato.

Così ogni sabato mattina in macchina, da sola, ripercorre tutta la storia cercando sbavature che possano farla pentire o incrinature che forse non aveva visto. E lo fa mentre lo va a trovare, da dieci anni ogni sabato nella struttura che lo ospita. Attraversa un pezzo di Pianura Padana di cui ormai conosce a memoria ogni metro, con la nebbia dell’inverno e con la caligine dell’estate, e ogni volta parte prestissimo perché fa un giro più lungo e prima si ferma in quell’abbazia dove all’ingresso ti accolgono canti gregoriani, unica concessione al rumore in un posto dove il silenzio è balsamo, medicina.

Entra per pregare e per riflettere perché i sensi di colpa sono ancora lì e anzi, sono aumentati perché adesso è felice. Serena. Nessuno più a criticare i suoi pensieri, a ridicolizzare i suoi sentimenti, a provocare reazioni che non sono mai arrivate, ad impedire qualunque cosa potesse farle piacere. Nessun ricatto riguardante le figlie, nessun commento sull’inutilità di tutto quello che la riguardasse. Che poi ad un certo punto inizi a pensare di essere tu inutile, che la tua stessa esistenza lo sia e fai fatica ad individuare il confine tra le offese gratuite e la realtà, perché chi ti ferisce conosce molto bene le tue vulnerabilità e affonda la spada in maniera chirurgica. Prova a farlo anche adesso, certe volte.

Quando sono lì, seduti uno di fronte all’altra, lui con la tuta che se lo sapesse farebbe macelli, perché prima non sapeva nemmeno che potessero esistere capi d’abbigliamento diversi dalle camicie e le tute erano per i vagabondi. E lei, che cerca di assomigliare alla persona che era, almeno fisicamente, con il rossetto rosso e le camicette di seta. Per farsi riconoscere, che poi forse sarebbe meglio se non fosse così, almeno sarebbe più gentile con un’estranea e non noterebbe nei suoi occhi quell’accenno come di odio che ogni tanto le sembra di vedere, ma forse se lo immagina soltanto. Neanche adesso riesce a comprendere qualcosa di lui. E gli porta un vassoio di bignè alla crema che poi si divideranno gli infermieri perché lui fa fatica a deglutire e assapora solo quel po’ di crema che lei gli offre con un cucchiaino, scoperchiando i bignè e mangiandone la calottina. E mentre lo fa pensa che avrebbe potuto essere diverso se avessero condiviso qualcosa, anche prima.

Stanno lì fino a mezzogiorno, che il sabato il pranzo è più tardi perché ci sono le visite dei parenti, e poi lo saluta abbracciandolo, ma senza sentimenti. E riparte per tornare a casa dove la aspetta il cane, e c’è un po’ di disordine allegro e colorato, dove alle tre arriveranno le figlie che poi hanno capito, e le nipoti che sono adolescenti e vanno più d’accordo con lei che con le loro madri. E poi c’è lui che da dieci anni la ama in silenzio, senza chiedere nulla, senza giudicare pensieri, scelte, comportamenti, ma accompagnando e sostenendo come fa lei con lui.

Un amore come dovrebbe essere, o quantomeno come quello che lei avrebbe voluto e che la vita le ha regalato tardi, forse. Come risarcimento di tanto dolore e che ha scelto di vivere fino in fondo, perché è vero, è romantica e non se ne deve vergognare più.

Simonetta Molinaro, 3 aprile 2022