Maternità / Paternità. La casa di Matrjona, Génie la matta (e Marie la bastarda)

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fonte futuriparalleli.it. Su Endoxa, “Prospettive sul presente” (rivista bimestrale – Mimesis editrice – a cura dell’Università di Trieste e della Campania), riflessione su Maternità – Paternità.

Nell’editoriale Maurizio Balistreri espone i nuovi scenari della genitorialità e si augura che gli articoli possano contribuire a ragionare su un tema controverso e “confuso”.

Ho scritto un pezzo con quattro ritratti: Matrjona, Génie, Enea, Geppetto. Ne riporto una sintesi

La casa di Matrjona. Nell’estate del 1953 Ignatic ritornò dal gulag. Tutti gli ex deportati cercavano la città, ma lui voleva vivere in un piccolo villaggio, e insegnare matematica. Ignatic si trovava bene nella casa di Matrjona. “Essa non mi infastidiva con domande. Tutte le donne di Tal’novo la importunavano per sapere di me. Lei rispondeva: Se vi fa di bisogno, chiedetelo voi. Io so soltanto che viene da lontano”

Una casa di costruzione antica e solida, “fatta per una grossa famiglia, ma adesso vi abitava una donna sola di una sessantina d’anni”. Matrjona aveva subito ripetute ingiustizie e sventure, sei figli ed erano morti tutti prima dei tre mesi, senza che avessero una malattia; il marito si era perso durante la guerra; nel villaggio si diceva che aveva il malocchio. Eppure continuava ad essere disponibile con tutti.

“Domani, Matrjona, vieni a darmi una mano. Raccogliamo le patate”. E Matrjona abbandonava le sue faccende, andava ad aiutare la vicina e, tornando, diceva senz’ombra di invidia: “Ah, Ignatic, che patate grosse hanno! Le raccoglievo proprio di gusto, non avevo voglia di andarmene, davvero!”.

Con la pensione si comprò un paio di stivali di feltro, un nuovo giaccone… ma le sue abitudini non mutarono. Matrjona morì in un incidente alla stazione ferroviaria, mentre aiutava dei parenti a trasportare un carro carico di travi.

Alla morte, raccontò Ignatic, emerse l’immagine vera della diversità della donna. “Non si curava delle masserizie… Non s’affannava a comperare le cose e poi custodirle più della propria vita… essa, che aveva sepolto i sei figli ma non l’indole sua socievole, non aveva accumulato averi… Le eravamo vissuti tutti accanto e non avevamo compreso che era il Giusto senza il quale, come dice il proverbio, non esiste il villaggio. Né la città. Né tutta la terra nostra” (A. Solzenicyn)

Génie la matta. Attraversava il paese a passi svelti con al braccio il cestino di legno in cui metteva sempre il sacco di iuta che le serviva da cappuccio in caso di pioggia. Io le correvo dietro con tutta la forza delle mie gambette”. Ogni giorno nelle fattorie a fare qualunque lavoro: mieteva, tagliava la legna, zappava, raccoglieva fave, frutta, puliva pollai e stalle, aiutava le vacche a partorire. Cucinava per le feste, battesimi e matrimoni. Si spostava sempre a piedi, Parlava poco, e nessuno le rivolgeva la parola, se non per il necessario. La chiamavano “la matta”. Sempre insieme con la figlia, Marie, che, quando era piccola, poneva su un sacco di iuta mentre lei lavorava. Più grande le trotterellava a fianco… Génie, se la bambina rimaneva indietro, rallentava solo per dirle: “non starmi tra i piedi”. Spesso piangeva davanti al fuoco. “Non ho avuto niente, io”. “Hai me” rispondeva la figlia. Abitavano in una casupola diroccata, isolata.

Marie si ammalò: “Mi dava tisane di tiglio, mi preparava suffumigi ai fiori di fieno. Mi asciugava e mi cambiava quando ero madida di sudore. La notte, se avevo freddo, mi teneva stretta per riscaldarmi”. Marie, da piccola, andava dalla nonna, che non la voleva, solo il nonno le dava retta. Dopo la malattia, il nonno le disse: “Sei molto magra, bambina mia… Anche lei era magra. Tu le somigli. Ma lei era sempre allegra, cantava dalla mattina alla sera. Dopo c’è stata quella grande disgrazia”. Genie, vittima di uno stupro, non volle dire come era andata, si ritirò a vivere per conto suo, portandosi dietro la figlia. Poi Antoine, un contadino, le chiese di andare a vivere a casa sua. “E la bambina?” “Andrà a lavorare” “No. Marie continuerà la scuola, è brava, studierà”. La terra era poca, ma Génie fu irremovibile e Antoine l’accontentò. Ora Génie non diceva più “Togliti dai piedi”, ma “Studia… Fai i compiti”

La nonna si fece viva. “Hai disonorato la più bella famiglia della regione. E ora, non contenta di aver partorito una bastarda, vai a metterti con la famiglia più sordida del paese. Ma sta’ attenta… Posso farti rinchiudere in manicomio. Una matta in libertà tutti la guardano. Ma una matta rinchiusa se la dimenticano”. Génie vorrebbe un amore senza sofferenze, una vita senza disprezzo. Con Antoine ha un bambino nato dal consenso e dall’affetto, ma la famiglia e la comunità si vendicheranno ancora.

La storia è raccontata dalla bambina. Parla dell’ingiustizia e della speranza, che Marie ritrova nelle parole d’amore che in una notte Pierre le dice in una stazione. (Ines Cagnati).

Per leggere il testo completo e gli altri contributi cfr Endoxa, marzo 2022.

A cura di Paolo Cascavilla, fonte futuriparalleli.it