Stato Donna, 28 marzo 2022. Una domenica pomeriggio. Mi siedo alla scrivania nel mio studio; ho appuntamento con la figura della dea greca Kore, Persefone per i latini, e con le parole del filologo e storico delle religioni antiche ungherese Kàroly Kerényi. Abbasso il volume della tv che ha il solo compito di farmi compagnia. Le parole di Mara Venier scompaiono nel sottofondo.
Poi appare sullo schermo un viso che riconosco: è quello di Gemma Capra, la vedova del commissario Calabresi, viso fra quelli che si sono stampati nella mia memoria negli anni duri nei quali il terrorismo ha fatto pagare al poliziotto l’accusa di essere il responsabile della morte dell’anarchico Pinelli. La signora Gemma ha scritto un libro di cui anticipa il titolo, “La crepa e la luce”, e il punto di vista: quello di una vita pesante ma che “non cambierebbe mai” e ce ne spiega il perché.
Ricorda il colpo di fulmine fra lei e il commissario in una festa di capodanno. Il matrimonio in tempi brevi. Bambini nati uno dopo l’altro. La signora Gemma dice che ha compreso solo più tardi la ragione di quella fretta: avevano un compito assegnato dal destino, quello di mettere al mondo i loro tre bambini, ma avevano pochissimo tempo. Il marito è stato ucciso mentre lei portava nel grembo il terzo figlio, che non ha mai conosciuto suo padre.
Si sofferma su quello che a tutta prima sembra un dettaglio di nessun valore: il giorno in cui gli sparano, il marito cambia due volte la sua cravatta prima di uscire per recarsi al lavoro. Ne indossava una rosa, “ci teneva all’eleganza”, spiega la signora Gemma.. Ma poi sull’uscio ci ripensa e decide per un’altra, di colore bianco, un non colore. Nel chiedere il parere della moglie le rivolge quelle che saranno le sue ultime parole: “E’ il simbolo della purezza, io sono puro”. Il primo incontro finisce con questo ricordo. La guerra all’Ucraina ha assorbito tutti i tempi televisivi di quella puntata.
Mara Venier chiede e ottiene di rivedere la signora Gemma domenica successiva. “Io sono puro”. Quelle parole pronunciate pochi minuti prima di morire lasciano nella moglie lo stupore per questo presentimento. “Sono – afferma la signora Gemma – il suo testamento”. Il commissario era stato accusato da tante persone, terroristi e non, della morte dell’anarchico Pinelli, la prima persona additata come responsabile della strage di piazza Fontana.
Io li ricordo quei momenti e quelle accuse. Ricordo non i terroristi in carne ed ossa ma i loro simpatizzanti, chiamiamoli così. Ricordo a Roma, dove allora vivevo, le scritte sui muri che inneggiavano alla morte di Calabresi. E le minacce, di cui rende testimonianza ora a tutti noi la moglie, erano pesanti e imponevano regole di estrema prudenza a tutta la famigliola. Ricordo in quegli anni di piombo studenti e studentesse del mio liceo pieni di rabbia verso quest’ uomo che era un perfetto sconosciuto a tutti noi. Oggi – a distanza di tanti anni – ci siamo avvicinati ad una possibile verità processuale, con altri indizi e altri nomi.
Ma il pre-sentimento della cravatta bianca è stupefacente in quest’uomo che sentiva il peso di tutte le accuse. È la parola di un uomo che parla in punto di morte. Della massima autorevolezza. Come può accadere questa preveggenza? Ci vengono in aiuto gli scienziati della mente. Ci sono momenti nei quali il livello dello stato mentale, della razionalità, si abbassa. Compaiono altre intuizioni, che sono in grado di diminuire la distanza temporale fra avvenimenti. Sono magnifici assesti che ci vengono dagli istinti e che di solito chiamiamo coincidenze.
Si palesano nei sogni, nel nostro fantasticare ad occhi aperti, nelle visioni. Ma anche in momenti in cui la tensione è forte al punto da connettere, in maniera che pare extra ordinario, la percezione istintiva con il calcolo della ragione. Da quando Freud ha inaugurato ufficialmente nel 1900 la scienza della psiche umana, abbiamo finalmente consapevolezza di fatti fino ad allora inspiegabili e ancora oggi sconosciuti ai più. In questi fatti si può annoverare la coincidenza significativa tra due gesti che non possono avere nessun collegamento razionale. Fra l’assassino che aspetta il commissario proprio quel giorno e il cambio di colore della cravatta si stabilisce un legame privo di ogni nesso causale. Si chiama “sincronicità”. Che è molto più di una semplice e banale coincidenza.
È accaduto e accade a tanti. Un sogno che si avvera. Una data che si invera. Qualcosa del genere è accaduto presumibilmente anche al commissario Calabresi. Oggi, grazie alla testimonianza della moglie, noi conosciamo il vero pensiero del commissario Calabresi sul suo operato, sulle accuse e sull’odio di cui è stato oggetto. C’è credibilità in queste sue parole, certificata e suggellata dal presentire la morte imminente, quando non c’è motivo di mentire agli altri e a se stessi.
“Niente che sia umano mi è estraneo”, sosteneva molti secoli fa il commediografo latino Terenzio. A questa profonda umanità deve la sopravvivenza la signora Gemma e la sua famiglia. Una umanità che le ha consentito di non considerare mostri gli uccisori del marito, ma ancora “persone”. Le riflessioni raccolte in questo libro-testimonianza difficilmente entreranno nel racconto storico di quegli anni. La storia non registra, non può farlo, il dolore delle vittime e la loro reazione al male che si abbatte nella loro vita. Le pagine della Storia si devono fermare all’essenziale e lasciare a noi lettori la comprensione di ciò che avviene dietro i fatti. La signora Gemma ci ha fatto dono del suo aiuto.
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