Stefania Marrone: la sua migrazione e il suo amore per il teatro
StatoQuotidiano.it, Manfredonia 25 marzo 2022. Storia di una donna, della sua migrazione al contrario e di un grande desiderio di dare voce a una pratica artistica, il teatro, affinché possa incidere sulla qualità della vita di un territorio.
Protagonista della vicenda, Stefania Marrone, drammaturga della compagnia Bottega degli Apocrifi, che, sabato 26 e domenica 27, spalancherà i battenti del Teatro Comunale con due eventi di eccezione: lo spettacolo “Il Mercante di Venezia. Il teatro dopo la peste” e il convegno “#Futura”.
Nel 2004, Stefania – abruzzese d’origine – , con i suoi compagni di viaggio e di lavoro, il regista e direttore artistico Cosimo Severo e il musicista Fabio Trimigno – entrambi originari di Manfredonia – , si trasferiva proprio nella città di Manfredi, da Bologna, dove aveva studiato Filosofia.
Una migrazione al contrario la sua: dal nord, di solito meta e punto d’arrivo per i giovani che cercano di realizzare i loro sogni, al sud. Con l’idea che un progetto solido può trovare terreno fertile ovunque e che ogni posto può essere quello giusto.
Ed effettivamente, contro ogni pronostico, oggi il Teatro Comunale Lucio Dalla, grazie all’impegno profuso dai tre, offre un servizio permanente di crescita culturale e teatrale, con spettacoli, incontri con artisti del panorama nazionale, iniziative rivolte alle famiglie e laboratori da svolgere con e per i giovani.
Obiettivo: far sì che la città di Manfredonia e il territorio circostante godano di un’offerta culturale di pari qualità artistica rispetto ai grandi centri culturali in Italia, tra cui Roma, Milano, Bologna.
Fondata nel 2000 a Bologna da Stefania, Cosimo e Fabio, e portata a Manfredonia nel 2004, la Compagnia attualmente lavora in sinergia con il Comune, con la Regione e con il Ministero della Cultura; si occupa di progettazione permanente creando reti territoriali e nazionali, riuscendo così a garantire che il Teatro Comunale di Manfredonia, del quale cura la gestione, sia un luogo vivo, generatore di pensieri e di azioni.
Stefania Marrone parla a Statoquotidiano delle attività imminenti, a partire dalla messa in scena de “Il Mercante di Venezia. Il teatro dopo la peste”, che avrà luogo proprio sabato 26 e domenica 27.
“Si tratta di una libera riscrittura per attore e musici dell’omonima opera di Shakespeare. Il drammaturgo inglese aveva elaborato il testo qualche anno dopo la nascita della sua compagnia teatrale, The Lord Chsmberlain’s Men, subito dopo la peste di Londra del XVI secolo. Un’opera, quindi, il cui contesto richiama alla mente la fase pandemica vissuta da tutti noi negli ultimi due anni.
In entrambi i casi, l’opera rappresenta un ritorno sul palcoscenico dopo un periodo di difficoltà per il teatro e per la gente tutta”.
Quali sono i temi dell’opera su cui avete puntato particolarmente?
“Nel tempo in cui Il Mercante di Venezia veniva elaborato, Shakespeare ricevette pressioni da più parti affinché scrivesse un testo antisemita. La peste, allora come oggi, aveva provocato disagi economici, sociali e culturali; come talvolta (troppo spesso) accade in questi casi, la soluzione più praticata dall’umanità nei momenti di difficoltà è l’ostinata ricerca di un colpevole, di un cattivo su cui scaricare tutte le responsabilità. A Londra, nel 1594, questo ruolo toccò agli ebrei, considerati artefici e responsabili dei mali dell’epoca perché prestatori di denaro a interesse che, con loro sistema bancario ante litteram, tenevano sotto scacco un Paese intero”.
Shakespeare, dunque, come rappresentò tutto questo?
“È qui la novità. Shakespeare decise di dare voce alle ragioni di coloro che erano visti come i cattivi da tutti. Le ragioni degli ebrei, mostrando che la realtà è sempre più complessa di quello che appare e che i cattivi, così come i cosiddetti buoni, a volte hanno anche delle ragioni comprensibili e condivisibili a spingerli verso certe posizioni. Perché prima di essere ebrei, o cristiani, o inglesi, o italiani … sono persone, e tutte le persone sono un meraviglioso labirinto.
E l’intenzione della nostra compagnia è proprio quella di mostrare la complessità delle cose, della vita, delle persone.
Come a dire che non esistono solo il bianco e il nero, non esiste una netta contrapposizione tra il buono ed il cattivo, ma tante sfumature e tante ragioni valide sia per gli uni che per gli altri”.
Quale ruolo ha svolto lei nell’organizzazione dello spettacolo?
“Il mio ruolo è stato quello di riscrivere il testo intrecciando tra loro la vicenda narrata da Shakespeare e la vista dell’autore. A raccontarla ci sarà uno straordinario attore, Salvatore Marci, in dialogo con i musicisti: Antonietta Pilolli(violoncello), Giovanni Salvemini (ukulele), Andrea Stuppiello(batteria e percusioni), Fabio Trimigno (pianoforte e violino).
Nelle ragioni che hanno portato Shakespeare a scrivere “Il mercante di Venezia” abbiamo ritrovato le nostre ragioni per riscriverlo oggi”.
Il suo ruolo nella Compagnia degli Apocrifi è, dunque, quello di drammaturga.
“Certo. Il lavoro di riscrittura che svolgo, però, è sempre realizzato in sinergia con gli altri componenti della stessa Compagnia. Il nostro è sempre un lavoro collettivo”.
Il 27 mattina, dalle 10 alle 13, si terrà il convegno #futura.
“Si parlerà in particolare del Partenariato Speciale Pubblico e Privato (PSPP) stilato dall’Amministrazione Comunale e dalla nostra compagnia per la gestione del Teatro Comunale.
Si tratta di una modalità innovativa di gestione, che punta sull’unione di stakeholder privati e pubblici per il raggiungimento di un obiettivo socio-culturale importante.
Interverrà l’avvocato Milella, padre dei partenariati speciali legati ai luoghi della cultura; ci saranno anche esponenti del Teatro Tascabile di Bergamo (primi firmatari in Italia nel 2018 di un partenariato legato a uno spazio teatrale); Scarlattine Teatro, che ha firmato col Comune di Colle Brianza, un partenariato lo scorso dicembre; gli amici del Teatro delle Albe di Ravenna, gli operatori culturali di Puglia.
Accanto a loro, i rappresentati della Regione Puglia e naturalmente del Comune di Manfredonia, che con questa operazione si inserisce a pieno titolo tra le Istituzioni capaci di guardare lontano e mostra di puntare a sviluppare un’ offerta culturale più massiccia per il territorio”.
Quale peso specifico intende portare, come donna, nel progetto?
“Nel nostro settore, purtroppo, le discriminazioni di genere sono argomento frequente. Io sono molto fortunata perché ho incontrato dei compagni di lavoro che non hanno mai messo in atto comportamenti discriminatori.
Nella compagnia svolgo il ruolo di rappresentante legale, oltre che di drammaturga, perché ci sono le persone con cui lavoro fianco a fianco da ventidue anni che credono in me come io credo in loro.
Nel mio lavoro, quindi, porto il mio sguardo al femminile nelle varie situazioni, augurandomi che questo si traduca in senso di cura per i progetti, le attività e i collaboratori che le realizzano.
Trovo che anche in ambito culturale sia ormai aperto un varco al futuro dell’imprenditoria femminile; mi piacerebbe, tuttavia, che nel nostro, come in tutti gli ambiti, non ci fosse più necessità di parlare di parità di genere, perché questo significherebbe finalmente che la disparità è retaggio del passato”.
Progetti per il futuro?
“Proprio il convegno #futura che rappresenta a tal proposito un punto di partenza.
Il partenariato speciale nasce per la realizzazione di un grande programma di valorizzazione del Teatro comunale di Manfredonia, che vedrà la Compagnia degli Apocrifi e il Comune lavorare insieme per rintracciare finanziamenti da dedicare tanto all’ottimizzazione degli spazi del teatro quanto alle attività. L’obiettivo è rendere il Dalla, già inserito nel dibattito teatrale nazionale come Centro di Residenza della Regione Puglia, un polo internazionale della drammaturgia contemporanea.
In cantiere, c’è anche la produzione “C’era una volta l’Africa”, dove il protagonista della storia è Bakary Diaby, l’attore guineano che insieme all’ivoriano Mamadou Diakité ha reso Bottega degli Apocrifi di fatto una compagnia interetnica, così come di fatto è interetnica a suo modo la città di Manfredonia e l’Italia tutta.
Crediamo che anche questo restituisca il senso dello stare in un territorio diventandone specchio e molla di cambiamento al tempo stesso”.