StatoDonna, 22 marzo 2022. “Questo è il mio 23esimo anno da restauratrice e conservatrice, e lo dico con un certo orgoglio”. Daniela Pirro lavora con pennelli e colori da sempre, non saprebbe stabilire “un giorno zero” tanto è stato quotidiano il suo rapporto con la bellezza. Lavora a S. Marco in Lamis, da quel laboratorio sono uscite più vivide che mai le sue opere. “Ricordo ancora la resistenza del mio primo committente nell’affidarmi il restauro della bellissima Addolorata di Nicolantonio Brudaglio di Spinazzola (Bat)”. Da quel primo restauro ne sono seguiti altri fra Puglia, Campania e Basilicata.
Ripercorrerli, ora, mentalmente mi emoziona ancora. Difficile dire a quali opere io mi senta più legata, forse l’appena citato manichino vestito della Addolorata del Brudagluo – 1760 – di Spinazzola (Bat), la Crocifissione dello ZT dell’Episcopio di Gravina di Puglia – XVI secolo-, le due cappelle di stucchi e affreschi della Chiesa Matrice di Putignano (Ba) – XVII e XVIII secolo – e la magnifica pala d’altare de La Pietà di Paolo de Maio – 1741- della Cattedrale di Foggia.
Mio padre, Filippo Pirro, artista poliedrico e mente continuamente assetata di sogni e di progetti da tradurre in realtà, mi ha circondata di un numero così alto di stimoli, di odori e di colori che tutto quel mondo è stato da sempre per me naturale. Un cavalletto, un verso poetico, l’odore di solventi e pigmenti, la sensazione della creta umida sotto le mani o il suono silenzioso delle ombre solari per misurare le ore… sono solo alcuni dei tanti ingredienti che oggi mi rendono ciò che sono. Mio padre era un poeta, per cui ho imparato a riconoscere la bellezza intorno a me. Era un pittore, e questo mi ha resa capace di riconoscere le infinite nuances dello spettro cromatico. Era uno scultore, per cui la terza dimensione si faceva concreta sotto i miei occhi. I miei genitori, insieme, erano dei sognatori. Mia madre lo è tutt’ora. In un humus così fertile, non potevo che crescere con un sentimento fortissimo per la bellezza e l’urgenza di preservarla. Dev’essere così che è nata in me la passione per il restauro.
Sono figlia di un filosofo-artista e di una biologa-prof di matematica, nel restauro ho ritrovato entrambe le formazioni avute. Da un lato l’arte, lo spirito, il concetto, la forma, l’idea… dall’altro la scienza, la chimica, gli esperimenti, le indagini diagnostiche, l’ottica, la fisica. Sì, perché il restauro è un poliedro: ogni faccia un mondo da esplorare. Certo, è una professione che chiede sacrificio, un tempo spesso dilatato e non misurabile, una importante dose di pazienza. Per me è una scelta quotidiana, nonostante la doppia professione, insegno lettere con pari entusiasmo in un bel match scuola – libera professione che mi dà continua voglia di fare. Il restauro per me è una certezza, un posto sicuro in cui ritrovarmi.
Sì, l’idea di poter entrare in contatto (materico ed empatico) con la struttura che compone un manufatto artistico, ma anche con l’idea in essa custodita, ascoltarne la storia, interrogarmi sui suoi piccoli o grandi segreti, approfondirne la conoscenza in modo scientifico, vederla tornare in salute… Tutti questi elementi mi hanno resa indissolubilmente innamorata di una professione che ho scelto a 18 anni per uno slancio emotivo, ma che ho amato e amo per la sua ricchezza e le sue tante sfaccettature.
Non è stato semplice tornare nel paese, affermare a testa alta che il restauro è una professione, non un hobby, che c’è un background importante di formazione che permane tuttora, che non si tratta affatto di pennelli e colori da dare a nuovo in modo specchiato e arbitrario. Lentamente ho formato la mia platea, illustrando passo passo cosa un restauro comporta, quante fasi comprende, che cosa chiede un’opera per tornare a “respirare”. Ho lasciato laboratori importantissimi in cui mi sono formata, uno su tutti la Coo.BEC di Spoleto (Pg) che mi ha consentito di prendere parte a restauri e campagne diagnostiche su opere del Raffaello, Pinturicchio, Francesco Melanzio, Antoniazzo da Romano, Cesare Nebbia, Nicholaus Pictor detto l’Alunno, continuando poi, a mio nome, su artisti quali Francesco Fracanzano, Francesco Guarino, Paolo De Maio, Massimo Stazione, Domenico Menzele, Domenico Carella, Nicolantonio Brudaglio, Giacomo Colombo, il monogrammista ZT… per citare solo alcuni nomi.
Dal 2005 ho scelto di scommettere su me stessa e sulle potenzialità di questo meraviglioso territorio, parimenti ricco di bellezza e bisognoso di persone che credano nelle sue forti potenzialità. Non è stato semplice. Quando a 25 anni sono tornata nel mio paese di provincia e ho avviato la mia partita Iva come titolare della Artistica Pirro, molti mi hanno creduta un po’ folle.
Ci sono diverse opere, le più degne di nota sono una scultura lignea policroma ritraente Santa Filomena di San Paolo di Civitate – una vera sfida date le sue condizioni drammatiche- e la bellissima pala d’altare de L’Immacolata tra San Bonaventura e il Beato Andrea Conti di Sant’Agata di Puglia, prossima al rientro in situ.
Provo a trasmettergli la curiosità, la capacità di riconoscere la bellezza, il dinamismo, l’adattamento alle situazioni più varie e la sete di conoscere, tutti presupposti che, da sempre, mi hanno permesso di sfuggire all’inaridimento o all’appiattimento mentale.
E anche dell’omonimo parco artistico-ambientale fra San Marco in Lamis e San Nicandro Garganico creato da mio padre nel 2000. Con l’associazione seguiamo diversi progetti ed eventi, tra cui sento di ricordare il Premio nazionale di poesia “Il Sentiero dell’Anima”, nato e da sempre tenuto con le edizioni del Rosone di Foggia, che quest’anno tocca la 18° edizione, e la campagna di crowdfunding per il restauro de La Partenza, monumento civico di San Marco in Lamis, dedicato al forte tema dell’emigrazione.
Essere una donna ed essere restauratrice è per me quanto di più naturale potessi scegliere di essere. La donna, nelle specie animali, porta avanti la memoria e indirizza la genetica con la procreazione. In un certo senso il restauro fa proprio questo: una operazione di archivio e valorizzazione della memoria, portando con sé una questione legata proprio alla donazione alle generazioni future. Forse la donna è maggiormente vocata rispetto all’uomo, proprio per questi connotati legati all’impronta materna che ci è propria e che tanto caratterizzano la trasmissione di generazione in generazione. Proprio delle donne in generale, poi, è la capacità di vedere la bellezza celata oltre i primi strati superficiali, di scendere in profondità, di non limitarsi alle apparenze. Essere una donna restauratrice, oggi, significa per me avere un compito fondamentale, vista la presenza così forte di Beni culturali su tutto il territorio nazionale. Un lavoro che consente infinite capacità di salvataggio, conservazione, recupero e valorizzazione in una società che predica il dictat dell’usa e getta, tanto sugli oggetti quanto nei valori.
Scheda di Daniela Pirro. Ha conseguito la laurea in Lettere e Storia dell’Arte, presso l’Università degli Studi di Bari, con tesi in Estetica associata alle cattedre di Storia dell’Arte Contemporanea e Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea. Si è contemporaneamente formata come restauratrice presso il Centro di Alta Formazione Professionale En.A.I.P. per i Beni Culturali di Barletta (Bat), diretto dalla Soprintendenza PSAE Puglia. Ha poi perfezionato la sua figura professionale specializzandosi in Conservazione e Diagnostica di Beni Culturali presso la Facoltà di Chimica di Perugia, con il Master in Conservazione preventiva e Diagnostica dei Beni Archeologici e Culturali, in associazione con il CNR di Perugia, la Soprintendenza PSAE dell’Umbria e il Getty Center Museum di Los Angeles.
Ha tenuto la cattedra di Restauro e Conservazione di Manufatti Artistici su Tela, unitamente alla cattedra di Storia e Pratica delle Tecniche Artistiche presso il Centro di Alta Formazione Professionale En.A.I.P. per i Beni Culturali di Barletta (Bat), lo stesso posto in cui si è formata.
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