Stato Donna, 4 marzo 2022. Nel film “Z – L’orgia del potere”, film del 1969 di Costa-Gavras, film politico che narra il substrato dell’avvento della dittatura dei colonnelli in Grecia, una impressione profonda lascia la scritta finale nei titoli di coda in cui si dice:
“Contemporaneamente i militari hanno proibito i capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, spezzare i bicchieri alla russa, Aragon, Trockij, scioperare, la libertà sindacale, Lurçat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà di stampa, l’enciclopedia internazionale, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Čechov, Gorkij e tutti i russi, il “chi è?”, la musica moderna, la musica popolare, la matematica moderna, i movimenti della pace, la lettera “Ζ” che vuol dire “è vivo” in greco antico”.
Scritta indimenticabile, che mi è tornata alla memoria in questi giorni in cui in alcuni ambienti culturali si rigetta il patrimonio letterario russo con il tentativo, poi rientrato, di sospensione di un corso su Dostoevskji da tenere all’Università Bicocca di Milano. Giungono notizie anche altre decisioni sulla stessa linea di censura: l’allontanamento degli atleti russi dalle paralimpiadi; l’esclusione dei libri russi alla Fiera del Libro per Ragazzi a Bologna.
La censura non è una invenzione della politica moderna, è sempre esistita ed è sempre stata legata al tentativo di difendersi dal sovvertimento delle regole sociali costituite. Nella Grecia antica si ammettevano o si rifiutavano per opportunità politiche i culti degli Dei e degli Eroi. Pensiamo alle Baccanti di Euripide, che ci narrano la punizione che colpisce il giovane re perché ha ritenuto pericoloso per la tenuta della sua città il culto del dio Dioniso ed è finito miseramente sbranato non da belve ma da esseri umani.
L’Occidente che si appresta oggi a partecipare alla guerra fra Russia e Ucraina conosce le regole del gioco della esclusione del nemico e ci ammonisce da 2.500 anni sulla perdita che la censura comporta. Tanto che sempre in quella antica Grecia, culla spesso dimenticata del nostro essere una civiltà, due opere scritte e rappresentate ad Atene raccontano non dei greci vincitori ma dei nemici odiati eppure guardati con umanità: i Persiani e il loro re Serse, che pure aveva causato morti agli ateniesi; i troiani assediati e falcidiati dai greci vincitori ma le cui donne, diventate schiave e deportate, hanno insegnato ai vincitori greci il dolore della perdita di tutto ciò che si ha in tempo di pace: la famiglia, la patria.
I colonnelli greci non amavano i loro antichi letterati, proprio perché hanno insegnato a fare la guerra ma anche a meditare sulla guerra. Noi, che dipendiamo indissolubilmente da questo mondo di pensatori antichi – che hanno dato all’umanità le forme e i contenuti del pensare – abbiamo cancellato in questi giorni tutto quello che ci hanno consegnato. E noi italiani in modo particolare agiamo pesantemente contro Dostoevskij come se il grande scrittore e tutta la letteratura russa fossero responsabili della attuale guerra.
Abbiamo dimenticato che la letteratura, e quella russa in modo particolare, ci esercita continuamente all’analisi lucida dei comportamenti degli esseri umani. Con l’ammonimento implicito che, se non ne comprendiamo le cause interiori, nessun uomo diventa veramente un uomo di pace. Siamo diventati, nei comportamenti, come tutti coloro che hanno ristretto la libertà del pensiero, della lettura, del diritto alla conoscenza; come tutti coloro che hanno bruciato i libri nel corso della Storia. Stiamo testimoniando che i falò dei libri e i falò delle persone non hanno lasciato in noi una memoria vigile.
La frase “perché non accada più”, che si sente pronunciare in ogni manifestazione solenne nei giorni cosiddetti della Memoria, presuppone il rispetto delle creazioni dello spirito dell’uomo e di come esso abbia raggiunto mete encomiabili in tema di libertà. Ma perché quello che ci spaventa non accada veramente mai più occorre garantire vita e dignità ai libri. Soprattutto nei momenti in cui la parte aggressiva che ci costituisce interiormente trova la tentazione della furia di distruzione. Ricordando che bruciando i libri, diventa più facile portare poi al rogo anche gli Uomini.
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